Rubino Ventura, ebreo di Modena
Per riprendere il discorso sui personaggi “peculiari” dell’Ottocento italiano, che possono essere utilizzati come comparse nella nostra narrativa steampunk, oggi parlerò di un compagno d’avventura di Avitabile, assai meno noto, però, di Abu Tabela: Ruben ben Torah, Rubino Ventura, ebreo di Modena.
Se Paolo Avitabile colpisce l’immaginazione per la sua ferocia, Rubino è un individuo completamente diverso: una di quelle simpatiche canaglie che, per mettere insieme pranzo e cena, danno fondo alla loro sfrenata fantasia e a un’incredibile arte di arrangiarsi.
Ruben, che all’occorrenza, a seconda dell’interlocutore, dice di chiamarsi “Jean-Baptiste”, contraendo persino un matrimonio cattolico e raccontando ad una missionaria inglese di avere un pronipote monaco domenicano e segretario particolare di Pio IX, è forse nato nel 1794. E’ stato di certo arruolato nell’esercito napoleonico: però, dato che nessuno avrebbe dato spago a un misero fantaccino, si è costruito a parole una fantasmagorica carriera militare, millantando di avere raggiunto il grado di colonnello, di essere cavaliere della legion d’onore e di aver combattuto a Wagram (1809), nella campagna di Russia e a Waterloo.
Quel che è certo è che il Ducato di Modena, assegnato alla restaurazione all’ultrareazionario arciduca Francesco d’Austria-Este (1779-1846) è non solo poco propizio agli ebrei, di nuovo rinchiusi nei ghetti aboliti da Napoleone, ma pure, tra gli Stati italiani, il meno gentile coi reduci napoleonici. Per cui, qualsiasi fosse stato il suo passato militare, Ruben per non fare la fame, secondo uno storico locale, si mette in società con pittore locale, per piazzare falsi quadri rinascimentali a ricchi lord inglesi: in ogni caso, a causa di un diverbio con la polizia ducale, causato dal suo ehm spirito imprenditoriale, Ruben prende armi e bagagli e se ne scappa a Costantinopoli, dove per qualche tempo fa il mediatore di noli marittimi e il contrabbandiere.
Dato che la giustizia del sultano è assai meno clemente di quelle estense, appena Ruben ha il sentore di essere indagato, scappa a Teheran. Secondo quanto raccontato da lui in vecchiaia, sarebbe stato assunto come colonnello per addestrare la fanteria persiana, ma la gelosia dei consiglieri inglesi l’avrebbe costretto a dimettersi. In realtà il principe Abbas Mirza aveva da tempo riorganizzato l’esercito con istruttori britannici e nel 1821-23 era impegnato in una campagna vittoriosa in Mesopotamia contro l’Impero Ottomano. Sembra perciò più credibile la testimonianza del barone Karl Alexander Hugel secondo il quale a Teheran Ventura avrebbe trascorso dieci mesi in vana attesa di un impiego qualsiasi presso la corte.
L’unica cosa certa è che a Teheran incontra Jean François Allard (1785-1839), un provenzale (di Saint Tropez) che dal 1803 al 1815 e da soldato semplice a capitano aveva servito nel 23e dragons all’Armée de Naples, nei cacciatori a cavallo napoletani in Spagna, nei dragoni della guardia imperiale, nello stato maggiore del maresciallo Brune e infine nei corazzieri a Waterloo, arruolandosi poi nell’esercito egiziano. Secondo Hugel è Ventura, quasi alla fame. a convincere Allard che in Persia non c’è futuro: secondo un altro viaggiatore francese, Fontanier, è l’ambasciatore russo a Teheran a suggerire loro di andare a cercare fortuna nel Punjab, probabilmente nell’intento di usarli come spie.
Sorto nel 1707 dalle ceneri dell’impero Moghul, quello dei Sikh si estendeva ad Est del passo Khyber, tra l’Afghanistan, il Kashmir e il Sindh. Distribuiti in dodici baronie di varia estensione (Misl), con un’assemblea federale (Sarbat Khalsa) e una poderosa cavalleria feudale di centomila guerrieri (Fauj-i-jaghirdari), riuniti nel 1799 da Ranjit Singh (1780-1839) sotto l’autorità di un imperatore (maharaja) e in una capitale (Lahore), i Sikh dominavano saldamente una popolazione composta per un decimo di indù e per otto decimi da musulmani. Il trattato anglo-sikh del 1809 limitava l’espansione meridionale del Punjab Raja al fiume Sutlej, dalla cui sponda indiana, a Ludhiana, un residente britannico monitorava l’ultima potenza indigena non ancora assoggettata alla Compagnia delle Indie Orientali.
Così “Ulur” e “Wuntoors” (Allard e Ventura) cominciano il loro il viaggio a Lahore, somigliando nel caso migliore alla coppia di sergenti impersonati da Sean Connery e Michael Caine nel celebre film del 1975 tratto dal racconto di Rudyard Kipling, l’Uomo che volle farsi re, nel peggiore a Totò e Peppino.
Si pagano vitto e alloggio imbrogliando i gonzi con il gioco delle tre carte nei bazar e e facendo i muezzin; eppure, strada facendo, devono avere avuto un non ben chiaro colpo di fortuna, dato che i due arrivano con molti servitori, affittano una buona residenza e si presentano dal maharajah con una robusta mazzetta di 100 rupie, cominciando poi una trattativa, per essere assunti, degna di due venditori di tappeti.
Che li abbiano mandati i russi, al maharajah non passa mai per la mente: sospetta invece che i due, sedicenti ferengi (francesi) e musahib (compagni) di Napoleone, siano agenti segreti inglesi: alla fine preso per stanchezza, con poca fiducia nelle loro capacità, non li definisce nel contratto sahib (gentlemen), ma gorahs (mercenari bianchi), concede uno stipendio mensile di 500 rupie per addestrare all’europea un piccolo nucleo di forze regolari che prese il nome di “Brigata Francese” o “truppe reali”.
Nel frattempo, entrambi occupano, modello squatters, la casa ottagonale di un sirdar, che era stata in precedenza una polveriera e prima ancora la tomba di Anarkali (“Melograno”), arsa viva per ordine del marito geloso, l’imperatore moghul Akbar. Una volta sposati i due avventurieri si trasferiranno in nuove residenze, Ruben però, che si accaserà a Ludhiana nel 1825 con rito cattolico officiato da un missionario fatto venire da Lucknow, forse era un poco complicato trovare un rabbino da quelle parti, con un’armena, figlia di un ufficiale francese a servizio della begum , ricevendo dal maharajah e dai sirdars fastosi regali di nozze del valore di 40.000 rupie, si terrà la tomba per sistemarvi il gineceo ( zenana) della moglie.
La sua nuova casa è a poca distanza, e si fa notare dai visitatori per un atrio affrescato e una sala da pranzo rivestita di specchi. L’affresco, eseguito da pittori locali, rappresenta le imprese belliche di Allard e Ventura. In un diario di viaggio pubblicato nel 1845, William Barr ironizza sulla grossolana fattura e la mancanza di prospettiva: le figure sovrastano le fondamenta, la cavalleria carica in cielo e i cannoni sono voltati dalla parte sbagliata per permettere ai serventi di caricarli. Nel 1849 la casa di Ventura è requisita per il residente britannico ed è ancor oggi sede del segretariato del Punjab. La zenana di madame Ventura diviene invece chiesa cristiana e poi sede dell’Archivio di stato. Secondo lo studioso Mohammed Ahsan Quraishi durante il soggiorno di Allard e Ventura è stata distrutta una delle iscrizioni persiane che adornavano la tomba e che recitava
“L’uomo o la donna innocente assassinato senza pietà e morto dopo grandi sofferenze è un martire agli occhi di Dio”
Allard il mestiere delle armi lo conosce bene e mette su una brigata di dragoni; Ruben, invece, qualcosa improvvisa e accrocca una brigata di fanteria composta da due battaglioni di sikh e uno di gurkha (Ghoorkha Poltan) con uniformi, armamento e addestramento simili a quelli dei sepoys inglesi. Nonostante queste premesse, per una serie di colpi di fortuna, del tipo esercito nemico che sbaglia la strada, con la sua cavalleria che finisce affogata in un fiume, l’esordio dei due, nella battaglia di Nowshera, è un’inaspettata, specie per il maharajah, e grandiosa vittoria.
Tenendo fede al detto napoleonico
Preferisco un generale fortunato ad uno bravo”
Ranjit Singh decide di dare finalmente fiducia a Rubino: negli anni seguenti gli emolumenti di Ventura sono decuplicati e la sua brigata partecipa, sempre sotto il comando superiore di un generale sikh, perché fidarsi è bene, non fidarsi e meglio a numerose spedizioni per domare ribellioni delle tribù pathans e del fanatico Syed Ahmad Ghazi e sottomettere la regione afghana di Peshawar, distinguendosi nella presa di varie colline fortificate nella valle di Kangra (Kotla, Srikot, Terah, Riah, Pulhar) e nella successiva raccolta di contribuzioni. Proprio la sua abilità nell’accrescere i ricavi delle imposte vale a Rubino la nomina a governatore della provincia di Derajat (1832-35) e poi del Kashmir (1835-37). Pur sospettando giustamente che Rubino trattenga per sé una quota consistente delle imposte, il maharajah chiude un occhio sulle vedendo le rendite delle provincia triplicare e la città di Multan prosperare
Nel frattempo, Rubino si inventa un nuovo mestiere: alla ricerca delle tracce di Alessandro Magno, diventa una sorta di Indiana Jones, esplorando gli stupa abbandonati e anticipando Tucci, scopre la civiltà del Gandhara, rendendosi conto di come le raffigurazioni di Buddha siano influenzate dalla scultura greco romana.
Nel 1837 Ventura ottiene un incarico diplomatico a Parigi e a Londra, ma le notizie sulla cattiva salute del maharajah e sull’intervento inglese in Afghanistan lo convincono a rientrare in anticipo. Col trattato tripartito di Simla del 25 giugno 1838 il maharajah ha accettato di unirsi agl’inglesi per rimettere sul trono di Kabul il vecchio emiro Shujah Shah Durrani spodestato nel 1809, lo stesso uomo al quale Ranjit Singh aveva estorto il celeberrimo diamante Koh-i-Nor.
Nell’ aprile 1839, mentre l’Armata inglese dell’Indo si riuniva a Quetta, Ventura prende a Peshawar il comando di 6.000 soldati del Punjab e 4.000 mercenari gurkha di Shujah Shah. A richiedere che il comando sia assegnato a Ventura era stato l’agente diplomatico inglese a Ludhiana, colonnello Sir Claude Martin Wade, il quale lo ritiene il più capace degli ufficiali europei e l’unico in grado di mantenere la disciplina delle truppe. Queste recalcitrano all’ idea di dover combattere al fianco degl’inglesi, e, non appena l’esercito si meta in marcia, proprio il battaglione scelto, il Ghoorkha Poltan, si ammutina, pretendendo una paga maggiore.
Ventura li fronteggia coi cavalieri irregolari sikh, ma non può impedire che, a bandiere spiegate e a suon di banda, i verdi fucilieri se ne tornino a Peshawar,dove ahimè, vengono impalati dal buon Avitabile.
Alla morte di Ranjit, avvenuta il 20 giugno 1839, il contingente sikh è richiamato a Lahore. Mentre il potere centrale si disfa nelle lotte di successione, il 7 agosto gl’inglesi occuparono Kabul, l’11 novembre uccidono l’usurpatore e il 1° gennaio 1840 sciolgono l’Armata dell’Indo. Tra giugno e dicembre 1840 Ventura sottomette i distretti ribelli di Kulu e Mandi espugnando 200 fortini e il grande campo trincerato di Kumlagarh, e nel 1841 è ricompensato col titolo di conte di Mandy.
Ma le cose degenerano con rapidità: Il 2 novembre scoppia la rivolta afghana, il 6 gennaio 1842 il generale Elphinstone abbandona Kabul con 4.330 militari e 12.000 civili e il 13 la colonna è interamente sterminata a Jagdalak. Avitabile è tra quelli che ne trassero profitto, fornendo alle forze britanniche inviate a vendicare Elphinstone non solo il massimo sostegno logistico ma pure un prestito personale di un milione di rupie, mettendo così al sicuro il suo bottino, riciclato e convertito in un solido credito da riscuotere in Europa, dove fa definitivamente ritorno nel 1843. Le cose sono meno facili per Ventura, sia perché il suo patrimonio era soprattutto immobiliare, sia perché era maggiormente coinvolto nelle lotte di potere grazie al suo stretto rapporto col capo dell’esercito Sher Singh. Costui è assassinato il 15 settembre 1843 e Ventura ne approfitta, vista la mala parata, per congedarsi. Deve però restare un anno a Simla per sistemare le rendite dei feudi ( jaghirs) ricevuti dal maharajah e solo nell’ottobre 1844 può partire per l’Europa.
Giunto a Parigi, dove è insignito della Legion d’Onore, si dedica alla bella vita e a speculazioni azzardate, si ritrova di nuovo povero in canna. Ma Rubino, non si arrende e decide di ritentare la fortuna in India nel 1848, dove intraprese un pericoloso delle parti tra inglesi e sikh. Gioco che gli è propizio, dato che Londra, per toglierselo dai piedi, gli accorda una liquidazione di 20.000 sterline, più un vitalizio di altre 300 annue per l’esproprio della casa e del jaghir intestato alla figlia. Per di più, ottiene 15.000 rupie di arretrati dal morente governo sikh.
Così, con le tasche piene, torna in Francia, dove trascorre gli ultimi anni della vita, muore nel 1858, come un ricco gentiluomo di campagna…
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