Sanità italiana sempre più in sofferenza ma dal Fascicolo sanitario arriva una buona notizia

Sanità italiana sempre più in sofferenza ma dal Fascicolo sanitario arriva una buona notizia

Per il 2024 lo stato darà una bella sforbiciata al finanziamento della sanità che passerà al 6,2% del Pil in confronto al 6,7% del 2023. Le cifre vengono dalla Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF), approvata dall’Esecutivo nelle scorse settimane. Sono quasi 2 miliardi di euro in meno. Rispondendo alle critiche il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sostenuto che il problema principale è  quello di “come le risorse vengono spese”. Ma non sembra proprio che il modo migliore per eliminare le code di attesa agli ospedali o l’obsolescenza delle strutture sanitarie pubbliche passi per un taglio ai finanziamenti. E, a proposito di come le risorse vengono spese, si potrebbe osservare che il costo del 110% – 71,8 miliardi secondo un report di Nomisma – equivale a più di metà della intera spesa sanitaria italiana prevista per il 2024 (133 miliardi).

Il governo attuale, peraltro in buona compagnia con tutti quelli che l’hanno preceduto, non sembra intenzionato ad avviare un effettivo riordino del welfare state che integri in modo più razionale i compiti della sanità pubblica e privata. Le due aree della sanità italiana si parlano comunque – ad esempio l’ospedale Gemelli di Roma, struttura privata per eccellenza, lavora per l’85% della sua capacità operativa con il SSN – ma in un modo non efficiente. E continua a salire la spesa di tasca propria (out of pocket), in gran parte non intermediata, che le famiglie sostengono in mancanza di risposte da parte del sistema sanitario pubblico. Ha ormai superato i 40miliardi di euro ed è pari in media, ha  reso noto la Banca d’Italia nel corso di un’audizione parlamentare, a 570 euro procapite contro i 470 euro degli altri paesi europei. Naturalmente stiamo parlando di una media e chi spende di tasca propria è soltanto chi può permetterselo. Gli altri, semplicemente, non si curano o vengono mal curati.


In questo scenario problematico una delle aree in maggiore sofferenza è rappresentata dalla medicina di base, vicina al collasso. Nei prossimi anni – è emerso in un recente convegno a Milano (l’Health Insurance Summit) promosso dall’EMF group – il numero dei medici di base si ridurrà del 40% a causa dell’andata in pensione degli attuali titolari degli ambulatori non rimpiazzati a sufficienza da nuovi sanitari. È vero che le compagnie di assicurazione stanno offrendo sempre più spesso servizi di telemedicina che intervengono quando il telefono del medico di base (sempre più spesso) squilla a vuoto. Ma se queste due aree, quella assicurativa e quella pubblica, continuano a non parlarsi il rischio concreto è di una grande confusione con l’affastellarsi di diagnosi e prescrizioni che potrebbero divergere le une dalle altre. Una Babele che, forse, potrà essere evitata. Dagli interventi al medesimo convegno milanese si è appreso che sostanziali, positive, novità sono in arrivo in un’altra area critica della sanità italiana, quella del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). Finora quel file che documenta la storia clinica di ciascun paziente, era diverso da regione a regione e, quasi sempre, non conteneva le prestazioni erogate da strutture private. È una realtà che sta cambiando velocemente con uno dei progetti finanziati dal PNRR. Già nel 2022 sono state redatte linee guida che impongono un’armonizzazione dei fascicoli sanitari i tutte le regioni italiane e che – udite udite – dovranno essere alimentati anche dai dati privati (entro 5 giorni dalla data della diagnosi/prescrizione). Il progetto è ora in fase avanzata di esecuzione ed anche regioni che sono partite in grande ritardo (ad esempio la Campania) stanno recuperando rapidamente il tempo perso.

Un’unica infrastruttura telematica con tutti i dati sanitari, privati e pubblici, è indispensabile per integrare al meglio le aree oggi separate della sanità italiana consentendo ai pazienti di abilitare alla conoscenza della loro intera storia sanitaria quanti li hanno in cura, privati o pubblici che siano o in qualunque regione operino. Questi potranno dunque intervenire con piena cognizione di causa. Potrebbe essere l’inizio di una vera riforma del welfare state. Battaglia vinta dunque? I numeri dell’agenzia per l’Italia Digitale, benchè incompleti e con talune evidenti contraddizioni (vedi tabelle), sono incoraggianti ma l’esperienza passata deve renderci diffidenti. Fino all’ultimo non possono essere esclusi colpi di coda di regioni gelose della propria autonomia o di garanti della privacy che spesso antepongono il loro potere di veto agli interessi effettivi dei cittadini.


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