Valencia, il conto dei danni non lo pagheranno gli assicuratori
Il copione si è ripetuto anche in Spagna. Dana, l’inondazione che nei giorni scorsi è costata la vita ad oltre 200 persone in provincia di Valencia e danni per 31,4 miliardi - è il dato riportato nell’ultimo numero di Economist - ha lasciato praticamente indenne, ancora una volta, il settore assicurativo. La stima dei danni assicurativi li colloca attualmente intorno ai 3.5 miliardi ma i risarcimenti verranno in massima parte posti in pagamento dal Consorcio de Compensación de Seguros (CCS), organismo pubblico finanziato con una quota della raccolta assicurativa del paese, principalmente dalle polizze relative al rischio auto, casa, multirischio e vita. Tutto questo consente di utilizzare al massimo lo strumento della mutualità assicurativa poiché, appunto, le modalità di finanziamento non tengono conto della differente rischiosità di chi paga l’obolo. In quel sistema le tariffe assicurative non risentono delle grandi catastrofi, come quella che ha colpito Valencia, perchè il conto viene trasferito al consorzio. Nel casi di Valencia quest’ultimo indennizzerà non solo i danni agli edifici ed alle vetture. Ma si farà carico anche dei risarcimenti dell’assicurazione sulla vita di chi è deceduto a causa di Dana. Il CCS ha nel proprio salvadanaio - ha riferito in questi giorni Expansion - un tesoretto di €10 miliardi e quindi è in grado di intervenire rapidamente anche dopo un evento così disastroso. Per aver diritto ai risarcimenti è soltanto necessario che l'immobile danneggiato abbia una polizza assicurativa e che il danno sia causato da fenomeni coperti dal consorzio: alluvioni, terremoti, tempeste cicloniche atipiche. Resta fuori, però, la grandine presa in carico direttamente dalle compagnie.
Se cambiamo paese ed arriviamo in Francia anche in quel caso il sistema consente di mitigare i costi delle polizze per gli assicurati più rischiosi. La fa però in un modo indiretto consentendo alle compagnie di cedere allo stato, in riassicurazione, i rischi che non intendono assumere in proprio. Il mercato assicurativo fa ricorso a questa provvidenziale ciambella di salvataggio per tenersi alla larga dagli eventi più gravi. Pertanto, quando si verificano, è lo stato che copre il “picco” di quei disastri, mitigando il costo per le compagnie e, indirettamente, per gli assicurati.
Questi esempi di buone pratiche non sono stati fatti propri dall’Italia nel costruire lo schema, obbligatorio a carico delle aziende, di protezione dalle catastrofi naturali istituito dalla legge di bilancio 2024. La sua attuazione è già in ritardo di un anno per la mancanza della normativa secondaria. La bozza di decreto attuativo dello schema assicurativo - circola clandestinamente in attesa che il provvedimento veda la luce a quasi un anno dal concepimento - chiarisce che la convenzione attivabile dalle compagnie con la Sace (organismo pubblico) offrirà una sorta di riassicurazione proporzionale. Lo stato cioè non prenderà a proprio carico i rischi “maggiori” ma semplicemente una quota del portafoglio rischi (entro un quota massima di risarcimenti per 5 miliardi l’anno) che le compagnie decideranno di cedere alla Sace in cambio di una quota parte dei premi assicurativi. I costi delle coperture necessariamente ne risentiranno e coloro che chiederanno una polizza nelle zone più rischiose del paese - ad esempio la Romagna per le alluvioni e l’Abruzzo per i terremoti - rischieranno di vedersi proporre premi esorbitanti con limitazioni e franchigie di ogni tipo. La mutualità assicurativa potrebbe in parte operare qualora l’obbligo di assicurarsi, sancito dalla legge, risultasse effettivo. Ma poiché, al momento, non si capisce su cosa riposi - cioè in pratica cosa rischiano le imprese che non si assicurano - è assai concreto il pericolo di antiselezione. Cioè che correranno ad assicurarsi soltanto le imprese più rischiose. Se non verranno trovate efficaci contromisure la nuova normativa, a dispetto delle speranze che ha suscitato, rischia di tramutarsi in un flop.
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Chief Risk Officer Prysmian S.p.A.
1 meseSono anni che vado dicendo che l’unico sistema applicabile in Italia sarebbe quello mutualistico con limitazione sugli indennizzi in caso di abusi edilizi e non conformità alle normative dei fabbricati. Data la minore diffusione delle coperture assicurative in Italia rispetto ad altri paesi lo schema dovrebbe applicarsi a tutti indifferentemente: chi non si è assicurato o paga un contributo specifico oppure non avrà alcun indennizzo. Invece si sta proponendo un sistema misto peraltro unico al mondo nel quale il principio ispiratore è quello di non voler scontentare i followers (ed intenzionalmente ho usato questa parola al posto della parola elettori).
Presidente CEC srl
1 meseE’ proprio quella interlocuzione “….. si deve tener conto….” che invece crea anche a mio avviso molte perplessità su come verrà adottata in concreto la concessione di contributi pubblici, dopo il prossimo evento catastrofale, con la legge in vigore! Perché non si è voluto scrivere già nell’art 102, tanto per essere chiari: “ai soggetti non assicurati non verranno concessi finanziamenti e/o contributi pubblici a fondo perduto”?
Board Member & Italian Country Manager
1 meseCaro Riccardo, finalmente qualcuno che descrive con chiarezza come funziona la copertura dei rischi catastrofali nei paesi a noi vicini geograficamente, economicamente, culturalmente.
Segretario generale AIBA - Associazione italiana Brokers di assicurazione e riassicurazione, Policy and Training Senior Advisor - Forum finanza sostenibile, Sustainability Advisor presso GERIN - TROPEI
1 meseTutto ok...ma il comma 102 della legge.... Dell'inadempimento dell'obbligo di assicurazione da parte delle imprese di cui al comma 101 si deve tener conto nell'assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni di carattere finanziario a valere su risorse pubbliche, anche con riferimento a quelle previste in occasione di eventi calamitosi e catastrofali. Questa è la sanzione e davvero NON è poco....