Siria: quello che non sappiamo, la frammentazione e i suoi fattori storici
La nascita della Siria moderna
La genesi della Siria moderna affonda le sue radici nella dissoluzione dell’Impero Ottomano, avvenuta nel contesto della Prima Guerra Mondiale e delle sue conseguenze geopolitiche. L’accordo di Sykes-Picot (1916) e il mandato francese sancito dalla Società delle Nazioni nel 1920 furono strumenti centrali nella creazione di uno stato siriano le cui frontiere, arbitrariamente tracciate, ignoravano le dinamiche etniche, religiose e tribali locali. Tale configurazione geopolitica, artificiale nella sua essenza, pose le basi per una cronica instabilità che avrebbe caratterizzato la storia successiva del paese.
La Siria emerse come un mosaico di gruppi etnici e confessionali – sunniti, alawiti, drusi, cristiani e curdi – uniti più da una comune dominazione coloniale che da un autentico sentimento nazionale. Il mandato francese non fece che accentuare queste divisioni con una politica del "divide et impera", rafforzando alcune minoranze, come quella alawita, attraverso il loro reclutamento nelle forze armate. Questa scelta amministrativa non solo alimentò tensioni interetniche, ma legò il futuro delle istituzioni siriane a una logica di potere settaria e clientelare.
L’ascesa del nazionalismo arabo e del partito Ba’ath
Con la fine del mandato francese e l’indipendenza nel 1946, la Siria entrò in una fase di instabilità politica caratterizzata da frequenti colpi di stato militari. In questo contesto, il nazionalismo arabo emerse come un’ideologia aggregante, alimentata dall’aspirazione a un’unità transnazionale araba. Il partito Ba’ath, fondato negli anni ’40 da Michel Aflaq e Salah al-Din al-Bitar, si fece portatore di questa visione, unendo gli ideali di socialismo, panarabismo e laicità. Tuttavia, la sua applicazione pratica si rivelò profondamente diversa dall’utopia promossa.
Il Ba’ath divenne ben presto uno strumento di centralizzazione autoritaria e controllo settario. L’ascesa di Hafez al-Assad nel 1970 consolidò questo processo: alawita di origine, Assad instaurò un sistema di potere basato su un’alleanza tra la comunità alawita e settori dell’élite sunnita e cristiana, rafforzato da un apparato militare e di sicurezza onnipresente. Sebbene il regime promuovesse una retorica di unità nazionale e progresso sociale, esso operava attraverso meccanismi di esclusione e repressione sistematica.
L’era di Hafez al-Assad: stabilità autoritaria e repressione
Durante i trent’anni di governo di Hafez al-Assad, la Siria visse una stabilità politica apparente, costruita su un sistema di potere fortemente centralizzato. I tre pilastri principali del regime erano:
L’esercito: Dominato da ufficiali alawiti, esso rappresentava non solo uno strumento di difesa, ma anche un garante della continuità del potere.
Il partito Ba’ath: Funzionava come un meccanismo di cooptazione delle élite urbane sunnite e cristiane, creando una parvenza di inclusività.
La rete di sicurezza e intelligence: Un sistema capillare che monitorava e reprimè ogni forma di dissenso politico o religioso, come dimostrato dal massacro di Hama nel 1982, in cui l’esercito distrusse intere aree urbane per soffocare una rivolta islamista.
Questa stabilità si basava però su una gestione economica clientelare e una profonda disparità tra regioni urbane e rurali. Le regioni periferiche, abitate in prevalenza da sunniti e curdi, furono sistematicamente trascurate dal punto di vista dello sviluppo, alimentando un risentimento che sarebbe esploso nel 2011.
Bashar al-Assad e l’illusione della modernizzazione
Con la morte di Hafez nel 2000, Bashar al-Assad ereditò una Siria caratterizzata da forti tensioni sociali e istituzionali. Presentatosi come un riformatore, Bashar promise modernizzazione e apertura economica, ma il suo governo si limitò a interventi di facciata che non affrontarono le radici delle disuguaglianze interne. Le dinamiche settarie e clientelari rimasero intatte, mentre la polarizzazione tra aree urbane privilegiate e regioni rurali marginalizzate continuò ad ampliarsi.
Le riforme economiche, orientate verso una liberalizzazione controllata, beneficiarono soprattutto l’élite urbana e legata al regime, aumentando il divario socioeconomico. Parallelamente, la repressione politica si intensificò, impedendo qualsiasi forma di dissenso organizzato. Questo quadro fece sì che la Siria entrasse nel 2011 con una società profondamente frammentata e un regime incapace di adattarsi alle richieste di cambiamento.
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La Primavera Araba e l’inizio della guerra civile
Le proteste della Primavera Araba, esplose nel 2011, rappresentarono un punto di rottura per la Siria. Le manifestazioni, inizialmente pacifiche e concentrate in aree marginalizzate come Daraa, furono represse con violenza estrema, scatenando un conflitto armato che si trasformò rapidamente in una guerra civile. Questo conflitto rivelò e amplificò le divisioni settarie e regionali latenti.
Le principali dinamiche emerse furono:
Fedeltà delle minoranze al regime: Gli alawiti e altre minoranze, come i cristiani, rimasero in gran parte fedeli al regime, temendo rappresaglie sotto un governo dominato dai sunniti.
Frammentazione dell’opposizione sunnita: L’opposizione si divise tra gruppi moderati e fazioni radicali, come al-Nusra e lo Stato Islamico, che sfruttarono il vuoto di potere per consolidare la propria influenza.
Autonomia curda: I curdi approfittarono del caos per stabilire una propria amministrazione autonoma nel nord-est.
La frammentazione della Siria
La guerra civile ha portato a una frammentazione territoriale senza precedenti, con il paese diviso tra:
Governo di Assad: Sostenuto da Russia e Iran, controlla le principali città e la fascia costiera.
Le forze curde: Amministrano il nord-est con il supporto degli Stati Uniti, proponendo un modello federale.
I ribelli sunniti: Concentrati a Idlib, sostenuti dalla Turchia ma privi di una leadership unitaria.
Lo Stato Islamico: Sebbene sconfitto territorialmente, ha lasciato una rete di radicalizzazione attiva.
Conclusioni
La Siria rappresenta un caso emblematico di fallimento nella costruzione di uno stato-nazione inclusivo. La sua storia moderna è segnata da divisioni settarie, autoritarismo e interferenze esterne, che hanno contribuito a perpetuare una dinamica di conflitto. Il conflitto iniziato nel 2011 non è che l’ultima manifestazione di queste contraddizioni storiche, portando il paese a una frammentazione apparentemente irreversibile.
Medico Oculista, Riabilitazione ipovisiva, , Metabolomica, Neuroscienza Applicata nello Sport.
1 settimanaCome sempre grazie per questa dettagliata rcostruzione storica dove la incapacità ( mi permetto di suggerire forse voluta appositamente?) di integrare realtà’ sociali, etniche, religiose completamente differenti mi fa , seppure con le dovute puntualizzazioni, al conflitto esploso nella ex Jugoslavia dove si pretendeva di auspicare (??..)una pacifica coesistenza di neostati smembrati ove coesistevano profonde differenze etniche, culturali e religiose… mi domando ancora una volta se tutto questo accada per una visione molto miope della diplomazia internazionale o se sia subdolamente voluta per fare esplodere la miccia a catena della guerra che non dimentichiamo distrugge paesi, popolazioni, sogni e speranze per un futuro migliore da parte quasi sempre dei più deboli ed indifesi ma arricchisce in maniera spropositata i Signori della Guerra…..che tristezza!!!!