Stefano Tacconi, la #leadership, i racconti di calcio e di vita
Mi aspettavo un seminario sulla leadership (così era stato annunciato) e avevo portato con me un quaderno, che è rimasto praticamente vuoto, così come sono rimaste inutilizzate le slides che avevano preparato per l'ospite d'onore. Ma sull'altro piatto della bilancia porto a casa la conoscenza di un personaggio da sempre sopra le righe, che nel mondo ovattato e sempre troppo politically correct del calcio è un'eccezione.
Anni fa Stefano Tacconi disse che Trapattoni nella sua Juve supervincente contava poco o nulla in termini di leadership, sollevando un polverone. Oggi non ha avuto esitazioni nel dire che in nazionale, a parte Buffon (che è ormai al tramonto), non ci sono più veri leader, così come non ce ne sono più nell'Inter e nel Milan. Che la leadership vera ce l'ha sempre la Juventus come società, perché ti dà delle direttive per comportarti bene, soprattutto nella vita.
Ha detto che lui al posto di Sacchi in quel Milan così pieno di campioni avrebbe vinto tre volte tanto; che non ama quegli allenatori che non hanno mai giocato a calcio (lo stesso Sacchi, Zaccheroni, Spalletti); che quando vogliono, i calciatori possono far fuori sul serio un allenatore (accadde alla sua Juve quando in panchina sedeva Maifredi, uno al quale Tacconi rimproverava costantemente di non aver mai vissuto situazioni di campo e di aver letto solo i libri di teoria).
Ha detto che una volta chi sbagliava veniva appeso all'attaccapanni dello spogliatoio; che forse nell'intervallo di Cardiff qualcuno avrà anche esagerato, in questo senso; che ai suoi tempi c'era fame e oggi invece girano troppi soldi; che i 90' di gioco per chi va in campo sono "lavoro" (inteso anche come routine) e che le emozioni vere per un calciatore si vivono fino all'imbocco del sottopassaggio; che i genitori rovinano tanti giovanissimi talenti del calcio perché proiettano su di loro le speranze che non sono mai riusciti a soddisfare; che lui non può fare l'allenatore perché non ha assolutamente pazienza e che tornerà a fare il cuoco (laddove aveva iniziato) per seguire le sue passioni.
Parole al miele per Conte (il vero simbolo della leadership, un mix caratteriale tra Trapattoni e Boniperti), Zoff (il suo mito e il suo allenatore ideale) e Scoglio, che da psicologo non amava entrare troppo nelle dinamiche di spogliatoio e lo lasciava gestire a 3-4 uomini-cardine di cui si fidava.
In definitiva, tra considerazioni condivisibili ed altre discutibili, è stata una bella immersione nella vita e nella carriera di un campione che ha vinto tanto e ne ha viste tantissime, per capire cosa avviene dal di dentro nel mondo del calcio ad alti livelli: cose che un comune spettatore non potrà mai comprendere fondo...