Teorie, antinomie e prospettive epistemologiche per la Psicologia e lo Psicologo contemporanei

Intervento presentato al Congresso degli Psicologi Italiani:

La Professione dello Psicologo. Norme di tutela, Libero Mercato, Etica Professionale,

tenutosi a Roma il 20-21-22- 05-2004, presso la Sala Convegni Hotel Es, organizzato dal Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi


Le date tra parentesi, che compaiono nel testo associate ai nomi degli autori, si riferiscono all’anno dell’edizione originale delle opere e rinviano alla bibliografia che sarà pubblicata al termine del presente saggio. Il saggio, anche nella versione italiana, si compone di tre parti e sarà pubblicato integralmente nel prossimo numero di “Psicoterapia Professionale”.


Generalmente la riflessione epistemologica sulla psicologia non è accolta con particolare entusiasmo da parte degli psicologi: anzi. L'atteggiamento che solitamente viene manifestato sia da chi fa ricerca, sia da chi al contrario applica operativamente i risultati ottenuti dalla ricerca stessa, è spesso quello della diffidenza, se non del fastidio o, peggio, del disinteresse. Un tale disagio può in linea di massima avere una sua giustificazione quando ad occuparsi dei problemi epistemologici della psicologia sono dei non-psicologi (ed in genere dei non scienziati "specializzati" ad insegnare agli scienziati il loro mestiere). Così come è comprensibile il timore che la concretezza, il rigore e la forza dimostrativa della ricerca empirica vengano compromessi da una teorizzazione epistemologica dietro alla quale si vede rispuntare il volto dell'astratta speculazione filosofica. Tali paure, tali resistenze, sono però meno giustificate e meno facili a capirsi se i problemi metodologici, in gran parte sconosciuti al pensiero scientifico classico, vengono affrontati dall'interno, cioè dagli psicologi stessi. E questo come esigenza e necessità del bisogno di fare chiarezza sulla natura e sul significato dei propri strumenti concettuali, dei propri fini e dei propri procedimenti. Tanto da far diventare la riflessione sull'epistemologia della psicologia, non un'esercitazione meramente speculativa, estranea alla ricerca e alla prassi applicativa, bensì una forma di riflessione concreta che parte dalla ricerca e dall'ambito applicativo, restando ad essi legata e funzionale(1). Ciò la renderebbe, inoltre, parte costituente e necessaria alla costruzione della specificità della propria identità professionale. Necessità che oltre tutto si impone proprio in ragione della particolare classe di fenomeni di cui la psicologia si interessa, che non ci permette nessun tipo di separazione tra momento teorico e momento applicativo.

Gli psicologi, infatti, incontrano "oggetti" ed "eventi" che sono il risultato delle attività mentali e comportamentali di chi li produce (l'osservato), ma anche dei concetti e delle teorie che loro adottano in qualità di osservatori. Per di più, gli psicologi si vedono costretti a confrontarsi ed a misurarsi con asserti la cui validità non è sempre riconducibile alle spiegazioni della logica e nemmeno all'evidenza della fattualità empirica. Piuttosto, al contrario, tali asserti sembrano dipendere dalle categorie conoscitive messe in atto, come dalle procedure euristiche mediante le quali gli individui costruiscono la propria esperienza. Le loro strategie conoscitive cioè si intersecano con gli eventi osservati e le loro scelte teoriche se ammettono una certa realtà come spiegazione assoluta, possono perdere quei fenomeni la cui complessità rivendica la loro appartenenza a diversi domini della ragione(2). "Nella storia naturale dell'essere umano", scrive Gregory Bateson, "l'ontologia e l'epistemologia non possono essere separate; le sue convinzioni (di solito inconsapevoli) sul mondo che lo circonda determineranno il suo modo di vederlo e di agirvi, e questo suo modo di sentire e di agire determinerà le sue convinzioni sulla natura del mondo. L'uomo vivente è quindi imprigionato in una trama di premesse epistemologiche ed ontologiche che, a prescindere dalla loro verità e falsità ultima, assumono per lui carattere di parziale autoconvalida"(3).

La psicologia odierna, presente nell'ambito dell'esercizio della professione psicologica e che viene a costituire la parte prevalente del bagaglio culturale che si intende far acquisire ai futuri psicologi, è la psicologia indicata come "psicologia scientifica", la cui nascita è in genere collocata negli ultimi decenni dell'800. La psicologia scientifica studia sostanzialmente i medesimi fenomeni indagati dalla psicologia pre-scientifica (percezione, memoria, immaginazione, emozioni, il sonno e i sogni ecc..). Ciò che contraddistingue la psicologia scientifica non è quindi l'oggetto o gli oggetti della disciplina: essa non si differenzia perché studia fenomeni nuovi rispetto a quelli studiati nel passato. La diversità consisterebbe al contrario nel modo con cui i fenomeni sono indagati, ossia nel metodo. Ad ogni buon conto, anche se la psicologia scientifica si distingue da quella filosofica per il fatto che non procede sulla base di pure speculazioni ma attraverso rimandi all'esperienza empirica, il riferimento ai dati sensoriali non mancava nella psicologia pre-scientifica. E, nella psicologia scientifica, sono pur sempre presenti concetti e argomentazioni che hanno una base puramente teorica, senza che vi sia la possibilità di una loro riconduzione a elementi di ordine empirico. In altre parole, così come la psicologia per così dire "filosofica" o "razionale" si è avvalsa, oltre che di procedimenti puramente speculativi, di constatazioni di tipo empirico, così anche la psicologia scientifica non consiste unicamente di affermazioni sostenute, direttamente o indirettamente, da evidenze empiriche.

Queste considerazioni, ci suggeriscono una maggiore continuità e gradualità nel passaggio dalla psicologia pre-scientifica a quella scientifica e ci inducono a considerare più approfonditamente quale sia lo statuto epistemologico della psicologia.

La psicologia, come tutta la scienza, ha un costitutivo carattere pubblico, sociale e linguistico. Si compiono indagini sui fenomeni indagati per poter poi enunciare qualche cosa circa ciò che si è studiato. Si compiono ricerche affinché i loro risultati possano essere presentati ad altri, discussi, criticati, approvati, presi come punto di partenza per ulteriori sviluppi. E perché questo possa avvenire, occorre che le conoscenze acquisite, o che si presume di aver acquisito attraverso un lavoro di ricerca, assumano una forma verbale.(4) Ma la psicologia appare essere frammentata nei contenuti, nei metodi e proprio nei suoi linguaggi. Così come molto più profondamente essa appare essere divisa e contraddittoria nella definizione dei fondamenti e dei criteri della propria scientificità, cioè risulta essere epistemologicamente divisa e contraddittoria(5).

Appunto per l'estrema complessità di questa scienza, gli psicologi quindi non possono considerare solo marginalmente e confinare alla periferia delle proprie discipline ogni attenzione e formazione tesa ad analizzare quanto avviene nell' ambito specifico dei loro "saperi". Riconosciuto che lo scopo di una disciplina scientifica è quello di sviluppare dei discorsi sulla realtà di cui essa si interessa, occorre stabilire qual è il tipo di fondamento che tali discorsi devono avere per poter essere accettati come scientifici e quale è il loro valore pragmatico di applicatività (salva restando la possibilità di dire legittimamente qualcosa sulla realtà basandosi su altri fondamenti, di tipo non scientifico).

Con il termine di epistemologia (da episteme o scienza e logos o discorso) si è soliti indicare quella branca della teoria generale della conoscenza che si occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di validità del sapere scientifico, tanto delle scienze cosiddette esatte (logica e matematica), quanto delle scienze cosiddette empiriche (fisica, chimica, biologia; psicologia, sociologia, storiografia ecc..). Pur connessa con la teoria generale della conoscenza o gnoseologia, l'epistemologia trova il suo significato predominante come quello di studio o discorso critico sulla scienza. In particolare essa analizza tutto ciò che avviene nelle scienze, dalle loro genesi e sviluppi storici, ai loro metodi, procedure, strutture, ipotesi, teorie, leggi, interpretazioni, validità e criteri di demarcazione. E' sinonimo di Filosofia della scienza e di metodologia e a differenza della scienza che è essenzialmente descrittiva, l'epistemologia è essenzialmente prescrittiva(6).

Uno dei principali scopi di tutte le epistemologie è stato quello di individuare le regole, i principi ed i fondamenti che gli scienziati consapevolmente o inconsapevolmente applicano veramente e con successo nelle loro procedure e nell'esporre i risultati delle loro ricerche(7). Dal momento che l'epistemologia è inscindibile dalla scienza, nel senso che "la scienza senza epistemologia, se pur si può concepirla, è primitiva ed informe"(8), "Non si può sostenere di non possedere un'epistemologia. Chi lo sostiene ha semplicemente una cattiva epistemologia"(9). Tutti noi, quindi, applichiamo una qualche forma di epistemologia più o meno consapevolmente alle nostre "pratiche" di psicologi, al nostro utilizzare una strumentazione concettuale fabbricata da modelli, ipotesi, teorie e leggi.

Dal punto di vista epistemologico all'interno del discorso scientifico modelli, ipotesi, teorie e leggi sono "cose" diverse. Con il termine modello si intende indicare una rappresentazione schematica e astratta, che può essere di diversi gradi, di un pezzo di realtà. Ha una funzione prettamente euristica e di solito viene introdotto come ipotesi di lavoro, che se vera, o meglio, reificata, diventa teoria(10).

L'ipotesi è, invece, un asserto che sta alla base di un ragionamento. Nella ricerca scientifica, è un asserto che viene assunto come spiegazione di uno o più fatti e che necessita controlli osservativi e/o sperimentali. Una volta tratte le conseguenze ed effettuati i controlli, se il suo contenuto informativo e la sua forza previsiva e/o esplicativa risultano convalidati e solidi, sia pur provvisoriamente, di solito viene elevata a teoria e a legge(11).

La teoria è un asserto che descrive, spiega e/o predice in maniera schematica, generalizzata e coerente un pezzo di realtà. E' controllabile, provvisoria e da essa si possono dedurre delle conseguenze anche per ulteriori applicazioni(12).

Nella scienza non sempre le leggi si distinguono nettamente dalle teorie. A dire il vero vi è spesso uno scambio dei loro usi e la sovrapposizione delle loro caratteristiche. Ad ogni modo, oggi ci sono delle note distintive che contraddistinguono le leggi e che vengono generalmente loro attribuite. La legge descrive le regolarità degli eventi e le relazioni tra i fatti. Ha carattere invariabile o uniforme, universale o generale e anche statistico o probabilistico. E' predittiva ed è controllabile empiricamente(13).

Nel nostro lavoro quotidiano di psicologi applichiamo un "sapere" che è interamente costituito da teorie e modelli che assolvono due funzioni: una conoscitiva ed una operativa, rispettivamente complementari. Le teorie hanno una finalità esplicativa e rappresentano, dunque, un tentativo di organizzare una serie di leggi derivate da una collezione di dati empirici, la più ampia possibile, con lo scopo di spiegare la successione di eventi specifici e di prevederne la comparsa. Quando viene a mancare la corrispondenza fra organizzazione delle leggi e nuovi dati sperimentali o osservativi, nascono problemi di interpretazione che dovrebbero portare alla falsificazione della teoria o di alcune sue parti. L'apporto di nuovi dati dovrebbe provocare quindi il consolidamento, l'indebolimento o addirittura il rifiuto della teoria che pure li ha prodotti, a favore di una nuova versione che possa inglobarli coerentemente. Uno degli aspetti problematici presenti in psicologia però è che nella sua conoscenza scientifica non esistono fatti in sé, ontologicamente dati. Fatti e spiegazioni emergono attraverso l'uso di una teoria e dei suoi modelli esplicativi o interpretativi, metodologicamente organizzati(14). Una teoria può avvalersi di modelli iconici o analogici con differente grado di isomorfismo rispetto alla realtà presunta o data. Ciò non pregiudica l'adeguatezza della rappresentazione rispetto alla specificità dell'evento, ma introduce il rischio della "letteralità", ossia di farci perdere di vista che certe configurazioni concettuali e linguistiche, non sono realtà ontologiche, ma rappresentazioni ed espedienti teorico-metodologici. Ovvero finzioni della ragione più che fotografie di presunte realtà o di fatti psicologici(15).

D'altro canto, il modello non è esplicativo: è un'applicazione metaforica e/o analogica della teoria. E', detto diversamente, una rappresentazione della realtà, non la sua descrizione. Non richiede quindi preliminarmente una base consistente di dati empirici. Né un puntuale riferimento ai nuovi dati prodotti dalla sperimentazione. Al contrario di quanto avviene per la teoria, allora il modello, anche se perde via il valore euristico, è più o meno utile, ma non è mai falsificabile. E' proprio grazie al suo valore euristico che il modello può essere indispensabile nella fase iniziale del percorso o dell' iter conoscitivo, pertanto utile per indirizzare la ricerca e selezionare i primi dati empirici ai fini dell'elaborazione teorica. Esso, tuttavia, va mantenuto se e fino a quando si dimostra sufficientemente aperto e flessibile, cioè pronto a essere sostituito qualora la ricerca lo contraddica. Qui il rischio è di sostituire alla teoria il modello, assumendo come costitutivi della prima gli elementi metaforici propri della seconda e utilizzandoli anche a livello esplicativo. Il modello, inaccessibile al controllo empirico in quanto costitutivamente metaforico, contiene in sé, o può comunque ipotizzare al bisogno, le risorse necessarie alla sua sopravvivenza. Ciò anche quando si rivela palesemente incongruente con il dato di realtà che pretende di includere.

In buona sostanza, lo psicologo ha accesso al "reale" attraverso una qualche forma di preconoscenza. Egli produce, in quanto scienziato, spiegazioni di spiegazioni, o se si preferisce, interpretazioni di second'ordine. Da ciò derivano le complessità teorico-concettuali e di metodo a cui si cerca di rinunciare in partenza, coltivando ingenuamente l'ideale di una scienza basata su fatti puri e semplici.

Come sostiene Marhaba, "Mentre il fisico ha a che fare con teorie fra loro antagoniste, ma tutte interne al medesimo sistema di riferimento, lo psicologo deve scegliere fra sistemi di riferimento diversi e contrapposti. In altre parole, il tessuto epistemologico della psicologia è coperto di lacerazioni, a differenza di quello sostanzialmente unitario delle scienze naturali tradizionali"(16). Queste lacerazioni hanno assunto nel passato come nel presente una forma caratteristicamente antinomica (dal greco anti, contro, e nòmos, norma, legge), cioè dato un problema epistemologico, vi sono per esso due soluzioni radicalmente alternative ambedue egualmente dimostrabili. Va per di più aggiunto che, a complicare il tutto, in seno alla medesima prospettiva epistemologica possono "coabitare" teorie fra loro diverse o alternative, come teorie psicologiche fra loro simili o identiche possono appartenere a prospettive epistemologiche fra loro diverse o contrastanti. Volendo dare un esempio per il primo caso, si può ricordare l'antagonismo presente tra la concezione associazionistica dell'apprendimento come processo graduale, e la concezione gestaltica dell'apprendimento come acquisizione subitanea (insight). In questo caso l'opposizione è solo teorica, in quanto sul piano epistemologico ambedue le soluzioni sono deterministiche: date certe condizioni, che sono strutturali per il gestaltista, di esperienza passata per l'associazionista, il soggetto non può non apprendere. Per la seconda situazione, invece, si può mettere in evidenza come sia la Psicologia della Gestalt, sia la Psicologia umanistica insistano sulla nozione di "totalità": una parte in un tutto è diversa da una parte isolata. Tuttavia, il fondamento epistemologico è assai diverso. Il globalismo della Psicologia della Gestalt è naturalistico, mentre il globalismo della Psicologia umanistica è antropomorfico(17).

Nel tentare di definire da un lato le caratteristiche che accomunano la psicologia alle altre scienze naturali e dall'altro le caratteristiche che configurano il tipo specifico, attuale o ideale, della scientificità psicologica, tra i principali punti di disaccordo sul piano epistemologico e metodologico, è possibile individuare diverse contrapposizioni o antinomie.

Da una parte vi sono quegli psicologi (in maggioranza specialmente nei paesi "anglo-sassoni") che aderiscono alla linea scientifica tradizionale, quella naturalistica, che studia i processi psichici estraendoli dal loro contesto storico. Sull'altro versante un certo numero di studiosi, soprattutto europei, ha tentato di inserire l'indagine psicologica nella prospettiva storico-ermeneutica, ribaltando il naturalismo classico e assegnando come oggetto di tale indagine non già l'individuo astratto, bensì la condizione storica specifica che caratterizza e dà senso alla condotta dell'individuo. In questo caso l'opposizione investe il modo fondamentale di concepire la conoscenza e gli stessi oggetti di studio. Il paradigma naturalistico, coerentemente alla sua visione della realtà come datità esterna, adopera metodologie misurazionistiche, che costringono i fenomeni psicologici a diventare "cose" osservabili e le persone "organismi" assoggettati a leggi di funzionamento. L'ordine dei significati, in questo paradigma, è preventivamente stabilito dalle teorie e il traguardo dell'oggettività costringe a rifiutare come inquinante qualunque visione soggettiva. Secondo l'approccio storico-ermeneutico, l'obiettivo della ricerca psicologica al contrario non è la registrazione fedele e spassionata dei fenomeni, ma l'interpretazione dei significati personali e sociali(18).

Una contrapposizione sempre basta sulla radicale diversità di intendere la conoscenza e gli stessi oggetti di studio, possiamo distinguerla tra gli psicologi di orientamento mecanomorfico e quelli di orientamento antropomorfico. L'orientamento mecanomorfico si caratterizza come una posizione epistemologica che ritiene sia il compito della psicologia lo studio dei fatti psichici considerati quali eventi naturali, immutabili rispetto al fluire storico, che devono perciò essere affrontati con il metodo delle scienze naturali (empirico-analitico). Di contro, l'orientamento antropomorfico ritiene che il compito della psicologia sia lo studio degli eventi psichici, non riducibili ad eventi naturali, che devono perciò essere affrontati ricorrendo prevalentemente ai metodi propri delle scienze umane e sociali (storico-ermeneutico)(19).

A questo proposito Marhaba sottolinea come l'orientamento mecanomorfico voglia una psicologia scientifica con l'accento posto sull'aggettivo "scientifica", mentre come l'orientamento antropomorfico tenda verso una psicologia scientifica con l'accento posizionato sul sostantivo "psicologia". Detto in altro modo, le eterogenee ed inconciliabili psicologie mecanomorfiche (comportamentismo vecchio e nuovo, psicoanalisi freudiana, psicologia della gestalt, ecc..) hanno in comune la preoccupazione primaria di imitare o almeno adeguarsi alla "scientificità matura" delle scienze naturali, e in particolare della fisica. Le psicologie antropomorfiche (le psicofenomenologie, il costruttivismo, la psicologia narrativa o culturale, le psicoanalisi eterodosse di C. Jung e di A. Adler, la psicologia umanistica, ecc..) più recenti e meno dissimili, all'opposto, si preoccupano soprattutto di aderire quanto più possibile alla complessità dell'individuo concreto nella realtà quotidiana. Nella prospettiva mecanomorfica per conoscere gli uomini bisogna prima fare una psicologia scientifica. Nella prospettiva antropomorfica, al contrario, per fare una psicologia veramente scientifica bisogna prima conoscere gli uomini(20).

Occorre comunque sottolineare, che il contrasto di queste diverse epistemologie non deriva da una maggiore o minore considerazione per il problema della "scientificità", ma dall'esistenza di modelli di scientificità qualitativamente diversi. Infatti l'origine del problema nasce dalla contrapposizione tra empirismo e razionalismo, contrapposizione che indubbiamente va considerata di livello logicamente superiore rispetto all'antinomia mecanomorfismo-antropomorfismo. Tanto è vero che, mentre l'istanza "empirismo" implica necessariamente la posizione meccanomorfista, dato lo stretto collegamento con una opzione di stampo positivista che impone l'adozione del metodo delle scienze naturali, l'istanza "razionalismo" si dirama lungo due linee di sviluppo distinte, collegate strettamente alle posizioni mecanomorfista e antropomorfista. Da un approccio razionalistico discende perciò l'epistemologia definibile come naturalismo razionalistico, che giustifica le assunzioni tipiche della psicologia mecanomorfista, secondo la quale le funzioni psichiche seguono leggi immutabili rispetto il fluire storico (sul modello delle funzioni fisiologiche). Così come vi deriva l'epistemologia storicistico razionalista, presupposto fondamentale per lo sviluppo della psicologia antropomorfista, secondo la quale gli eventi psichici, così come l'individualità, sono mediati da fattori socio-storici oggettivi: c'è discontinuità, cioè, tra realtà fisica e realtà psichica(21).

Gli psicologi contemporanei sono concordi nel far precedere alla formulazione delle ipotesi e teorie la registrazione dei dati psicologici empirici. Un simile accordo tuttavia scompare non appena si passa a definire la natura e le modalità di questo processo di registrazione o osservazione empirica.

Secondo gli psicologi di orientamento fenomenologico i dati devono essere recepiti nella loro immediatezza, secondo gli psicologi non fenomenologi i dati , prima di essere considerati veramente tali, devono essere sottoposti a un esame di carattere logico. Quindi, per chi aderisce alla prospettiva fenomenologica l'oggetto della psicologia è l'esperienza immediata (immediatismo fenomenologico). Secondo l'altra prospettiva (mediatismo logico), l'oggetto della psicologia è l'esperienza mediata.

Questa antinomia nasce agli inizi del secolo nella psicologia europea più sensibile alla tradizione filosofica ed oggi gode di una rinnovata attenzione e riscoperta da parte della psicologia nordamericana(22).

Il mediatismo logico sostiene che per lo psicologo (e per qualsiasi altro scienziato) l'esperienza immediata, sensibile, concreta, diretta e quotidiana è il solo modo possibile di stabilire un primo contatto con il materiale empirico che lo interessa. Tuttavia, l'esperienza immediata non è il vero dato su cui possiamo saldamente fondare ipotesi e teorie, è solo un indizio, un punto di partenza: è solo un'indicazione che serve a stimolare e a guidare la ricerca. Il processo di astrazione che dall'esperienza immediata conduce al "dato reale" deve seguire il criterio logico della "verosimiglianza precostituita": il dato esiste per la psicologia scientifica solo se è possibile spiegarlo. Il dato ha sempre una natura mediata dalle nostre categorie conoscitive(23) ed è, di conseguenza, sottoposto ad una sorta di filtro o di esame logico preliminare.

Di altro avviso è l'immediatismo fenomenologico secondo cui l'esperienza immediata, i dati psichici recepiti così come appaiono di primo acchito al soggetto percepiente, cioè tutto ciò che esperiamo direttamente dentro e fuori di noi, prima di qualunque concettualizzazione abbozzata o sistematica, costituisce proprio l'oggetto della psicologia. Il dato che appare è sempre vero ed ha diritto all'esistenza scientifica per il solo fatto che appare. Quindi, il dato immediato non viene interpretato in partenza, bensì viene acriticamente e simpateticamente "assaporato" nella sua piena e completa tonalità esperenziale. Lo psicologo a tal fine deve predisporsi, quanto meglio è in grado di fare, alla "ricettività pura". Questo con lo scopo di far "parlare" il dato senza limitazioni di sorta, in tutte le sue riposte sfumature, della propria specifica esistenza(24).

Tra le antinomie della psicologia va menzionata la contrapposizione presente tra le psicologie di orientamento soggettivistico (prevalentemente cliniche) e quelle di orientamento oggettivistico. Nel suo aspetto originario è presente nell'opposizione tra soggettivismo e comportamentismo. Nella prospettiva soggettivistica, scopo della psicologia è lo studio della soggettività umana, dell'esperienza cosciente interiore, nelle diverse forme e contenuti: significati, intenzioni, sensazioni personali ecc. Nella prospettiva comportamentistica lo studio psicologico dell'uomo e degli altri organismi viventi deve prescindere completamente dalla coscienza e dalle sue implicazioni. Deve invece focalizzarsi sul "comportamento", inteso come l'insieme delle reazioni dell'organismo accessibili a un osservatore esterno all'organismo stesso(25).

Attualmente il fronteggiarsi di queste diverse impostazioni trova spazio soprattutto nel dibattito che cerca d'affrontare il tema dei rapporti tra mente e cervello. Qui l'attenzione per gli aspetti qualitativi di coscienza, cioè gli aspetti relativi proprio alla soggettività, sono le argomentazioni che vengono opposte ai tentativi del materialismo eliminativista di rimpiazzare le descrizioni mentalistiche con quelle delle neuroscienze(26).

Continuando in questa breve esposizione delle antinomie più comunemente incontrate in psicologia, restano da affrontare gli aspetti del quantificazionismo e antiquantificazionismo, quelli del teoreticismo e antiteoreticismo e, infine, quelli presenti nel dibattito insanabile costituito dall'opposizione esistente tra psicologi di orientamento riduzionistico e quelli di orientamento antiriduzionistico. Antinomia particolarmente importante (e appunto per questo lasciata per ultima) soprattutto ai fini della riflessione sulla possibilità di volgere verso un modello integrato ed una condivisione di un linguaggio comune.

Relativamente alla questione quantificazionismo e antiquantificazionismo le prospettive che si oppongono sono rappresentate da quelle proposte dagli psicologi di orientamento quantificazionista, che prediligono la sperimentazione di laboratorio e la ricerca sul campo con metodologie statistiche, nella convinzione che i dati psicologici possano e debbano essere tradotti in costrutti misurabili ed esprimibili sotto forma di funzioni matematiche. Sull'altro versante, invece troviamo gli psicologi d'orientamento antiquantificazionista, secondo i quali i dati psichici non sono suscettibili di misurazione come i dati fisici perché non costituiscono continuità omogenee(27).

Per quello che riguarda la contrapposizione teoreticismo-antiteoreticismo, schematicamente possiamo indicare l'antiteoreticismo come una posizione tendente all'esclusione programmatica della teorizzazione di livello superiore ai dati empirici. Secondo questa posizione vengono ammesse soltanto le leggi, cioè i nessi funzionali tra variabili (generalizzazioni empiriche). Le variabili intermedie sono considerate come semplici anelli razionali (linguistici) tra diversi contesi empirici. Questo significa che per l'antiteoreticismo i concetti hanno contenuti empirici (fattualismo o empirismo puro).

Il teoreticismo, invece, ammette i concetti di derivazione non empirica (costrutti teorici). I contenuti di questi non sono rilevabili mediante operazioni osservazionali e trascendono le relazioni funzionali empiriche che coordinano in qualità di enunciati logicamente coerenti (procedimento ipotetico-deduttivo)(28).

L'antiteoreticismo, sostenuto dall'epistemologia positivista, consiste in un'opzione antimetafisica che prescrive gli assunti fondamentali quali il fenomenalismo o empirismo, secondo cui non ci sono idee trascendentali, esistenti autonomamente, e le teorie sono solo parole riferite all'esperienza, cui non aggiungono nulla.

La metodologia sperimentale e clinica in psicologia, evolve comunque verso il teoreticismo, in cui i fatti devono essere inseriti in un discorso complessivo composto anche di costrutti ipotetici, i cui contenuti sono concetti di derivazione non empirica.

Se l'antiteoreticismo non può che basarsi su un'assunzione induttivista e su un'epistemologia operazionista, che garantisce il primato e l'oggettività dei dati osservativi empirici, una posizione teoreticista resta comunque aperta ad entrambe le possibilità. La teoria, pertanto, può essere considerata sia come un'elaborazione successiva alla raccolta di dati, o come un tessuto concettuale che, oltre a sistematizzare i dati, precede l'osservazione stessa e la guida(29).

Detto più semplicemente, secondo gli autori teoreticistici la psicologia ha bisogno, per progredire, di teorie e di modelli che presentino un alto livello di coerenza interna e di formalizzazione matematica. E che, secondariamente, servano a costruire schemi applicativi, interpretativi e soprattutto predittivi di eventi psichici quali, ad esempio, i processi dell'apprendimento o i processi mnestici. Viceversa, secondo gli psicologi antiteoreticisti la psicologia deve rifuggire dalle costruzioni teoriche che rischiano di condurla su un piano d'astrattezza e di inverificabilità. Essa deve attenersi rigorosamente alle regole dell'esperimento codificato dalla tradizione baconiana e galileiana.

In termini molto generali, l'antinomia riduzionismo-antiriduzionismo in psicologia viene ricondotta proprio ai rapporti esistenti fra la psicologia e le altre scienze. Vi viene argomentato che secondo l'impostazione riduzionista i problemi psicologici devono essere affrontati e risolti nei termini delle scienze naturali tradizionali (fisiologia, biochimica, ecc.) e che secondo gli antiriduzionisti, al contrario, i problemi psicologici devono essere affrontati e risolti solo nei termini di una scienza specificatamente e totalmente psicologica(30).

In verità, occorre sottolineare che il problema del riduzionismo e dell'antiriduzionismo è sempre stato al centro del dibattito della scienza nel suo complesso. Gli scienziati ed i filosofi della scienza, ma non soltanto loro, lo considerano il nucleo fondamentale dell'intera questione scientifica. Questa particolare attenzione deriva dall'idea che dalla sua risoluzione dipendono numerosissime altre problematiche di particolare importanza, che si estendono dai campi della ricerca pura a quelli umanistici e addirittura extrascientifici. E' naturale pertanto, che tutti coloro che se ne sono occupati rivendichino con accanimento la supremazia della propria posizione. E' un argomento in cui si è detto tutto come anche il suo contrario e dove spesso il termine di riduzionismo è stato interpretato con il significato di riduttivismo se non addirittura con quello di semplificazionismo.

Con il termine di riduzionismo si intende la trasformazione di un asserto in un altro più semplice e chiaro, di una teoria in un'altra più esplicativa e previsiva. I tipi di riduzionismo sono invero molti e vanno da quelli causali a quelli di definizione. Possiamo infatti distinguere: il riduzionismo ontologico, quando un livello strutturale viene ridotto ad un altro; il riduzionismo metodologico, quando ad esempio le spiegazioni biologiche rilevanti si ottengono analizzando i sottostanti processi fisico-chimici; il riduzionismo epistemologico, quando le teorie e le leggi di un campo sono casi speciali di quelle formulate in qualche altro campo. In più sono possibili anche riduzioni intrateoriche (intralevel) e interteoriche (interlevel). Le prime riguardano le riduzioni di teorie all'interno di una stessa disciplina, mentre quelle interteoriche avvengono tra le varie scienze o, se si vuole, tra i vari livelli linguistici o strutturali(31).

Come si può facilmente intuire già da queste prime battute, l'antinomia riduzionismo-antiriduzionismo ci pone nel vivo della questione che si sta cercando di affrontare, cioè non solo quella del sapere e dei suoi linguaggi, bensì anche quella della possibilità di stabilire se in psicologia si possa costruire, e in che modo, un linguaggio condiviso e un modello integrato, oppure se questa possibilità non è data essendo incommensurabili e intraducibili tra loro linguaggi, modelli e teorie.

In psicologia, come del resto in tutte le scienze, ci sono numerosissime discipline e sottodiscipline, sempre più specialistiche. Oltre ad una continua interazione e coevoluzione tra le discipline, si assiste ad un'ininterrotta proliferazione di nuove discipline, di specializzazione di settori sempre più circoscritti. La maggior parte dei settori sono costruiti da modelli, ipotesi e leggi incompleti, contemporaneamente sovrapposti, contraddittori e alle volte perfino da paradigmi rivali(32). Questo perché c'è il mondo che noi tentiamo di descrivere in qualche linguaggio, scientifico o di altro genere. Si pone però sempre un problema circa il fatto se ciò che noi diciamo del mondo corrisponda o no al mondo quale è in realtà. Ci piacerebbe conoscere la vera natura di tale rapporto di corrispondenza. Possiamo però solo indicare il rapporto in modo incerto, poiché per cercare di esprimerlo dobbiamo usare il linguaggio in una forma o in un'altra(33).

Nel descrivere il mondo, siamo noi che costruiamo i livelli di realtà, siamo noi che li mutiamo in continuazione e che li adattiamo a seconda delle esigenze e del progredire delle nostre conoscenze. Lo scienziato, e lo psicologo come tale, essendo legato e non potendo prescindere dal proprio cervello e dalla propria storia individuale, essendo cioè biologicamente e culturalmente limitato, non riesce a conoscere a fondo nessun oggetto di indagine fermandosi soltanto all'aspetto olistico e comportamentale. E neppure riesce a cogliere lo stesso oggetto da più punti di vista contemporaneamente. Egli riesce a comprendere soltanto una parte alla volta e appunto per questo, lo scienziato aggredisce il mondo e lo provoca da lati diversi per costringerlo a rivelare i suoi segreti ed eventualmente a cambiarlo, prevederlo e/o utilizzarlo. A questo scopo, cerca, tenta, di configurare i principali livelli strutturali del mondo entro uno dei possibili livelli linguistici, sistematizzando quanto più possibile il linguaggio utilizzato entro una scienza, una disciplina che gli possa corrispondere. Ecco perché storicamente si sono formati tanti livelli della realtà, che non sono uguali a quelli di ieri e che con ogni probabilità domani saranno ancora differenti. I vari livelli sono quindi approcci diversi allo stesso fenomeno, evento od oggetto o a loro gruppi. Sono aspetti diversi di descrizione, di spiegazione, di previsione e di controllabilità dello stesso fenomeno. Tutto ciò lo possiamo rappresentare entro lo schema che qui si propone(34):

Principali Livelli Strutturali Principali Livelli Linguistici Discipline Corrispondenti - Macroscopico o Molare



- Medico

- Biologico

- Neurologico

- Chimico (macromolecolare-molecolare)

- Microscopico

- submicroscopico

- Linguaggio Ordinario

- Religioso e Teologico

- Letterario

- Linguistico

- Pedagogico

- Filosofico

- Epistemologico

- Logico

- Matematico

- Astronomico

- Ecologico

- Etologico

- Storico

- Sociologico

- Politico

- Giuridico

- Economico

- Psicologico

- Medico

- Biologico

- Neuroscientifico

- Chimico

- della Fisica

- Linguaggio Ordinario

- Religiose e Teologiche

- Letterarie

- Linguistiche

- Scienze dell’Educazione

- Filosofiche

- Epistemologiche o Filosofiche della Scienza

- Logiche

- Matematiche

- Astronomiche

- Ecologiche

- Etologiche

- Storiche

- Sociologiche

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Tra i fattori che hanno contribuito all'attuale concezione dei livelli qui presentati occorre sicuramente ricordare la svolta linguistica avvenuta negli anni '20 per opera soprattutto del Tractatus di Wittgenstein (prima di allora le spiegazioni scientifiche avevano carattere essenzialmente ontologico) e le argomentazioni dei molti sostenitori della theory-laden(35).

I rapporti tra i livelli strutturali, i livelli linguistici e le corrispettive discipline vanno in senso orizzontale, estensionale, intenzionale, verticale, diagonale e dinamico. Basta pensare, ad esempio, all'afasia, oggetto di analisi da parte di sociologi, antropologi, linguisti, filosofi, pedagogisti, psicologi, medici e neuroscienziati. Tali rapporti sono quadridimensionali: vi sono corrispondenze tra il livello strutturale e quello rispettivo linguistico, vi sono interazioni tra le componenti entro lo stesso livello sia strutturale che linguistico, ci sono le interrelazioni complesse fra i diversi livelli strutturali e linguistici, e le strutture ed i linguaggi si trovano in una continua e dinamica evoluzione strutturale e semantica. A tutto ciò vanno poi aggiunti i vari metalinguaggi, cioè i criteri di indagine, i metodi e le sue euristiche con le rispettive interpretazioni epistemologiche le quali, con le loro varie sovrapposizioni, non necessariamente sono separate: piuttosto sono inscindibilmente connesse con la scienza. Inoltre, le complicatissime e numerosissime interazioni e sovrapposizioni e l'inarrestabile sviluppo dei livelli, con l'incessante proliferazione di discipline borderline, non permettono né delle verità stabili ed assolute, né delle demarcazioni nette e durature. Rendono, cioè, ogni distinzione possibile estremamente difficile e contingente. In sostanza, questi livelli sono convenzionali, coesistenti, interagenti, dinamici ed in continua evoluzione, sempre e comunque limitati e finiti.

Il linguaggio ordinario è convenzionale come gli altri ed è il sostrato di tutti i linguaggi - ognuno con la propria storia - che a loro volta lo modificano in continuazione. Le varie aree linguistiche si sovrappongono in maniera più o meno ampia, hanno confini mutevoli e sono regolate da logiche diverse. Sono proprio queste logiche, questi significati diversi che impediscono la traduzione da un linguaggio ad un altro, sia nella scienza in generale così come nella Psicologia in particolare. Basta pensare all'intraducibilità del linguaggio ordinario in quello formale espressa da G. Ryle(36), o si tengano presenti le motivazioni di Quine per l'indeterminatezza della traduzione(37).

Come non ci possa essere traduzione completa tra un linguaggio ed un altro, è sufficiente considerare la maggiore ricchezza semantica, la maggiore forza esplicativa e previsiva del linguaggio scientifico rispetto a quello ordinario e la diversità di contenuto informativo tra i vari linguaggi della scienza. A titolo di esempio si può constatare la differenza tra gli enunciati "la rosa è rossa" e "la lunghezza d'onda delle sue radiazioni è 6950 angström.

Tutto quanto argomentato, presente nella scienze e nella psicologia come scienza, potrebbe indurci a supporre che si vada verso una qualche forma di antiriduzionismo. Ma, un esame più accurato, ci mostra come tutte le scienze nel loro sviluppo cercano di scoprire sempre più cose, mirano ad ampliare e a perfezionare le proprie conoscenze. Cercano spiegazioni e teorie sempre più esaustive e precise degli stessi fenomeni, modificando e sostituendo quelle ambigue, fuorvianti e falsificate. Tendono cioè ad una maturazione il più completa possibile, con l'intento di giungere alla scoperta delle leggi di composizione e di interazione tra le parti dei fenomeni che cercano di indagare. Tuttavia, per ottenere un linguaggio condiviso, il solo modo che permette di mettere insieme le varie tessere dell'intero mosaico necessita prima che una scienza abbia ottenuto un suo pieno sviluppo e una sua maturazione. Che possa, ovverosia, permettere una riduzione, cioè una connessione tra le teorie presenti al proprio interno e, quando ciò è permesso, addirittura di una connessione con i livelli strutturali e linguistici delle altre scienze. Ad ogni modo si può parlare di riduzione solo per le teorie completamente sviluppate e corroborate.

L'antinomia riduzionismo-antiriduzionismo è pertanto un'opposizione che scaturisce da un fraintendimento. Tutte le scienze sono di fatto protese verso questa direzione. Senza questa regola metodologica, norma o principio regolativo implicito o esplicito non si lavora, non è possibile fare scienza. Non è possibile cioè utilizzare e produrre una conoscenza e una pratica caratterizzati da : il principio di controllabilità o di falsificazione empirica; il rasoio di Ockam; la corrispondenza, la consistenza e la coerenza logica; la strumentalità; l'operazionalità; la pragmaticità; l'applicabilità o l'universalità; la ripetibilità; la comparabilità, l'analogicità o l'associabilità; la correttività(38).

Per ridurre occorre prima sapere cosa, quando e perché si riduce. Molti scienziati alle volte vengono tratti in inganno dal settore in cui operano, dal loro campo circoscritto di ricerca, e fanno fatica a vedere come le teorie da essi elaborate siano riducibili a quelle di altre aree di indagine. Anch'essi, volenti o nolenti, applicano ogni giorno direttamente o indirettamente e più o meno consapevolmente una qualche forma di riduzionismo.

La riduzione implica in sostanza, il tentativo di collegare le osservazioni condotte a certo livello strutturale, con quelle ottenute indagando il livello subito sottostante. Per ottenere questo occorrono però delle adeguate "premesse aggiuntive" o dei "principi ponte" (C.G. Hempel)(39), delle "condizioni di connettibilità" e "condizioni di derivabilità" che ci consentano riduzioni omogenee o eterogenee (E. Nagel(40)). Oppure , seguendo le argomentazioni di Quine sulla indeterminatezza della traduzione, le riduzioni sono possibili perché si "traduce non per identità dei significati stimolo, ma per approssimazioni significative dei significati stimolo". L'indeterminatezza, sostiene Quine(41), non vuol dire che non vi è alcuna traduzione accettabile, ma che ce ne sono molte. Infine Shaffner argomenta che la riduzione è possibile quando e solo quando tutti i termini primitivi della teoria secondaria corretta, compaiono o sono associati con quelli della teoria primaria, in modo che tra loro vi sia corrispondenza. Da ciò dovrebbe conseguire la derivabilità della secondaria dalla primaria, la possibilità che la secondaria fornisca previsioni più accurate e controllabili, che la secondaria deve essere spiegabile dalla primaria e in ultimo che il rapporto tra teorie deve essere quello dell' "analogia stretta"(42).

Il programma riduzionista non appare essere quindi un processo rigido con il quale un insieme fisso di idee viene spiegato in termini di un altro insieme fisso di idee del livello inferiore. Esso è piuttosto un processo interattivo che modifica i concetti a entrambi i livelli, via via che la conoscenza si evolve. E si pone come il solo metodo capace, almeno a livello ideale, di permettere la possibilità di un linguaggio condiviso non solo tra i diversi "saperi" della psicologia, bensì anche tra quelli delle diverse scienze.

In psicologia, molto spesso è stato segnalato come assumere il riduzionismo come prescrizione scientifico-normativa significhi optare per "il realismo ontologico e monista" e come accettando il materialismo riduzionista, la psicologia diventi "un capitolo della biologia da affidare alla neurofisiologia". A questo punto di vista si può obiettare che il problema del riduzionismo è costituito solo dal problema del livello strutturale a cui ci si vuole collocare e quello del relativo linguaggio entro cui si vuole configurare la realtà che si intende esaminare.

Il riduzionismo non sentenzia l'esistenza di una realtà unica sola e valida. Le realtà del mondo scaturiscono, anche per il riduzionismo, dal livello di descrizione a cui ci si vuole attenere. Pertanto, il riduzionismo neurofisiologizzante nulla toglie alla psicologia, anzi può renderle ragione di certi fenomeni, come del resto la psicologia può fornire preziose indicazioni alle neuroscienze. Mutatis mutandis, è un po' quello che avviene tra la biologia e la chimica, ma nessuno si sogna di esigere la liquidazione della biologia come scienza autonoma.

L'equivoco che porta a aborrire il riduzionismo e a semplificarlo nell'espressione di una metodologia unica è il fatto di non tener presente che oltre al materialismo riduzionista, è presente una sua forma per così dire "estremista": il materialismo eliminativista(43). Il materialismo riduzionista sostiene che la mente è un processo e non una sostanza e che, come la scienza moderna ha riformulato il concetto di materia in termini di processi, la mente non è stata ripensata come una forma particolare di materia. La mente, secondo quest'ottica, non è altro che un processo che dipende da particolari disposizioni della materia: è una particolare organizzazione "biologica" a dare origine ai processi mentali. Secondo il materialismo eliminativista lo schema concettuale psicologico ordinario è una concezione falsa e radicalmente fuorviante delle cause del comportamento e dell'attività cognitiva. Pertanto vi si propone di abbandonare il linguaggio mentalistico esattamente come abbiamo abbandonato il parlare di possessioni demoniache, allorché fu elaborata la moderna teoria dell'epilessia. Si dovrebbe quindi rimpiazzare la terminologia mentalistica con una nuova terminologia desunte dalle neuroscienze: con risultati un po' paradossali, a mio avviso. Questo tipo di strategia conoscitiva se può rivelarsi appropriata per capire, ad esempio, alcuni meccanismi della dislessia risulta essere, al contrario, del tutto inadeguata per studiare i rapporti tra stereotipi e pregiudizio.

Convinto insieme ad Altri che il mentale sia il risultato di "processi interattivo-simbolici", di connessioni intrasistemiche o "di rappresentazioni collettive" (G.H. Mead, G. Bateson, E. Durkheim, S. Moscovici) e che ci vogliono due cervelli in interazione simbolica per avere una mente(44), non riesco a non scorgere un'utilità nel prendere in considerazione un "programma di ricerca" che tenti di connettere mondo, mente e cervello, cercando di meglio comprendere ed integrare le modalità con cui questi "sistemi" siano tra di loro interconnessi e abbiano relazioni: che si cimenti cioè a rintracciare il passaggio dal biologico allo psichico. La mente sfuma nel mondo o nei mondi e il mondo o i mondi sfumano nella mente. Essa non si può solo descrivere come funzioni del cervello, ma è certo che senza cervello non si può parlare di mente. Non vi è quindi dualità tra mente e cervello, come non vi è dualità tra onde e particelle nella fisica subatomica secondo quanto afferma l'interpretazione della fisica quantistica(45).

La supposta irriducibilità tra "fatti" o "eventi" sociali, culturali, psicologici e naturali ha sentenziato la divisione tradizionale in scienze naturali e scienze, che per simmetria, bisognerebbe chiamare non-naturali, o meglio ancora, come non pertinenti all'ambito della natura. Fra quest'ultime rientrano le scienze sociali(46). Ma, questa separazione è un richiamarsi ai limiti della nostra conoscenza, o, in termini provocatori, all'inizio della nostra ignoranza. E' una dicotomia che applichiamo a fenomeni che non riusciamo a spiegare o a processi di sistemi dinamici di cui ignoriamo le condizioni iniziali rilevanti e/o le variabili che poi intervengono: piccoli cambiamenti iniziali possono generare fenomeni anche molto distanti fra loro.

La psicologia come scienza si colloca, metaforicamente parlando, come terra di mezzo per eccellenza e le antinomie che la caratterizzano scaturiscono proprio da questo su trovarsi esattamente a metà tra le scienze che richiedono una separazione tra oggettivo e soggettivo e le scienze che invece rivendicano un'attenzione particolare alla soggettività e al vissuto, occupandosi della relazione tra soggettività e oggettività(47). Questa "ambiguità" della psicologia anziché costituire un tallone d'Achille, l'espressione di una sua fragilità epistemologica, o la dichiarazione di una non avvenuta maturazione scientifica, è in realtà da considerare una risorsa strategica da tradurre in prassi operativa. A tutti gli effetti, precisamente, questa condizione della psicologia apre non ad un accesso alla natura effettiva delle cose, ma alla consapevolezza che l'accesso al mondo da parte sia del senso comune (linguaggio ordinario), come della scienza, non sia mai diretto, besì mediato da assunti paradigmatici, da teorie e metodi, strumenti e quindi schemi cognitivi espliciti adottati dall'osservatore. L'atteggiamento che da ciò ne consegue è quello che caratterizza un diverso scienziato, realista, "critico", sofisticato, interno, oppure "ipotetico". Il realismo ipotetico è pluralista, ammette una realtà in qualche modo indipendente dalle nostre teorie, ma sostiene che questa realtà non è mai esterna, semplice, bruta, ovvero non concettualizzata(48). Per il realista ipotetico l'obiettività della scienza si manifesta solo entro i criteri della ricerca, solo dopo che è stato deciso il problema all'interno di una certa disciplina, insieme alle variabili, al metodo e alle procedure di controllo: solo dopo ossia che ci si è collocati ad un certo livello strutturale e ad un certo livello linguistico.

Assolutizzare un sistema di pensiero, una teoria, può condurre a risultati eccellenti entro quell'ordine di realtà a cui esso è pertinente. Per gli psicologi realisti concettuali la realtà non è indipendente da un certo contesto, dalle sue forme di relazione e dalle pratiche conoscitive, interne ed esterne, che stratificandosi la costruiscono, la modificano o la dissolvono. Non esistendo una fonte privilegiata di conoscenza, né un'unica realtà possibile, la scelta teorica in psicologia è una scelta pragmatica. Un aspetto ritenuto importante di tale scelta è che la teoria sia in grado di accogliere, all'interno del proprio discorso esplicativo, ciò che porta a costruire quella determinata realtà a cui non è estraneo il punto di vista dell'osservatore, ovvero le sue intenzioni e categorie mentali.

Lo psicologo pertanto, considerata la problematicità estrema della propria scienza, dovrebbe essere realista entro un dato contesto e relativista rispetto alla scelta del contesto, ossia propenso a variare la propria fonte di conoscenza a seconda di come essa si configuri(49).

E' difficile trovare un'epistemologia che non possa venir suffragata da alcuni casi della scienza. Sembra quasi che tutte siano appropriate e descrivano correttamente la scienza. Ma, se l'epistemologia è l'analisi di tutto quanto avviene nella scienza ed è essenzialmente prescrittiva, allora una simile strategia si rivela una politica da orticello privato: si cercano solo conferme a sostegno del proprio punto di vista. Quello che è veramente difficile è trovare un'epistemologia che spieghi non solo le singole procedure ma tutti i casi, che comprenda tutto quello che ha luogo nella scienza. Essa, chiaramente, deve anche contenere una valida soluzione di tutte le forme di riduzione e antiriduzione precedentemente patrocinate dalle varie epistemologie e possibilmente di quelle future. Nell'attesa di questa novella "età dell'oro", la soluzione che si prospetta è quella della capacità dello psicologo di muoversi a più livelli, adottando specifiche diverse nel laboratorio o nel setting terapeutico. Questo non significa promuovere e giustificare l'ecletismo (travestito da pluralismo metodologico), ovvero un modo di procedere privo di garanzie teoriche e svincolato dai criteri della ricerca di base. Vuole indicare piuttosto come lo psicologo debba essere necessariamente un pensatore a più livelli.



Note:

1 Cfr. Marhaba S., Antinomie epistemologiche nella psicologia contemporanea, Giunti, Firenze, 1976, p. 5-8.

2 Cfr. Salvini A., Argomenti di psicologia clinica, Domeneghini, Padova, 1998, pp. 15-65.

3 Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976, p. 345.

4 Cfr. Antonietti A., "Presupposti epistemologici della psicologia", http://cepad.unicatt.it/formazione/antonietti/psige/epistemo.htm

5 Cfr. Marhaba S, op. cit., p. 6.

6 Cfr. Gava G., Lessico epistemologico, CLEUP, Padova, 1992, p. 23.

7 Cfr. Gava G., Un'introduzione all'epistemologia contemporanea, CLEUP, Padova, 1987, p. 9.

8 Einstein A., Conoscenza ed errore, Einaudi, Torino 1982, p. 5.

9 Bateson G., "The Thing of It Is", 1997, p. 147.

10 Cfr. Gava G., Lessico epistemologico, op. cit., p. 43.

11 Cfr. ibid., pp. 37- 39.

12 Cfr. ibid, pp. 56-57.

13 Cfr. ibid. pp .39-40.

14 Cfr. Salvini A., Argomenti di psicologia clinica, op. cit. p. 35.

15 Cfr, ibid., pp. 15-116.

16 Marhaba S., Antinomie epistemologiche nella psicologia contemporanea, op. cit. p. 29.

17 Cfr., ibid., pp. 23-24.

18 Cfr. Armezzani M. Esperienza e significato nelle scienze psicologiche, Editori Laterza, Bari, 2002, pp. V- 115.

19 Cfr. Fiora E., Pedrabissi I., Salvini A., Pluralismo teorico e pragmatismo conoscitivo in psicologia della personalità, Giuffrè, Milano, 1988, p. 51.

20 Cfr. Marhaba S., Antinomie epistemologiche nella psicologia contemporanea, op. cit. p. 32.

21 Cfr. Fiora E., Pedrabissi I., Salvini A., Pluralismo teorico e pragmatismo conoscitivo in psicologia della personalità, op. cit., pp 52-82.

22 Cfr. Marhaba S., Antinomie epistemologiche nella psicologia contemporanea, op. cit. pp. 66-83.

23 Cfr. ibid., pp. 66-67.

24 Cfr. ibid., pp. 68-83.

25 Cfr. ibid., p. 84.

26 Cfr. Bechtel W., Filosofia della mente, Il Mulino, Bologna, 1992, pp.168-174; ed anche cfr. Antonietti A., Il luogo della mente. Un'introduzione alla psicologia attraverso il mind-body problem, FrancoAngeli, Milano, 1996, pp. 9-31.

27 Cfr. Marhaba S., Antinomie epistemologiche nella psicologia contemporanea, op. cit. pp. 119-153.

28 Cfr. Fiora E., Pedrabissi I., Salvini A., Pluralismo teorico e pragmatismo conoscitivo in psicologia della personalità, op. cit., p. 53.

29 Cfr., ibid. pp. 53-57.

30 Cfr. Marhaba S., Antinomie epistemologiche nella psicologia contemporanea, op. cit. pp. 49-65.

31 Cfr. Gava G., Lessico epistemologico, op. cit., p. 50.

32 Cfr. Gava G, Il riduzionismo della scienza, Guerini scientifica, Milano, 1997, p. 114-115.

33 Cfr. Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1999, pp. IX-XIX; ed anche cfr. Marconi D., Wittgenstein. Il "Ttractatus", dal "Tractatus" alle "Ricerche", Matematica Regole e Linguaggio privato, Psicologia, Certezze, Forme di vita, Laterza, Roma, 1997, pp. 3-13.

34 Cfr. Gava G, Il riduzionismo della scienza, op.cit., p. 114.

35 Tesi formulata da N. R. Hanson della natura attiva dell'osservazione (Pattern on Discovery,1958) e della conseguente pregnanza teorica delle nostre osservazioni. Il ricercatore è 'prigioniero' di una determinata visione del mondo, incommensurabile rispetto a visioni alternative. Gli oggetti di cui le teorie parlano cambiano insieme alle teorie che li descrivono. I fatti sono 'carichi di teorie' e non possono fungere da giudice imparziale nella controversia tra i sostenitori di punti di vista differenti. Hanson ha così concluso che nella scienza si vede solo "ciò che si vuole o si aspetta di vedere".

36 Cfr. Ryle G., Dilemmi, Ubaldini, Roma 1968.

37 Cfr Gava G, Il riduzionismo della scienza, op.cit., pp. 45-68.

38 Cfr. Gava G., Un'introduzione all'epistemologia contemporanea, op.cit., p. 15-16.

39 Cfr Gava G, Il riduzionismo della scienza, op.cit., pp. 10-26.

40 Cfr. ibid., pp. 27-44. Una riduzione omogenea si ha quando gli enunciati descrittivi della scienza secondaria o ridotta, sono essenzialmente omogenei a quelli della scienza primaria o riducente. Nelle riduzioni eterogenee, invece, i termini descrittivi della scienza secondaria non compaiono in quelli della primaria.

41 Cfr. ibid., pp. 45-68.

42 Cfr. ibid., pp. 69-84.

43 Cfr. Di Francesco M., Introduzione alla filosofia della mente, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, p. 88-95.

44 Cfr. Salvini A., Argomenti di psicologia clinica, op. cit. p. 27.

45 Cfr. Galzigna L., La mente. Complessità e irriducibilità dell'attività mentale normale e patologica, Piccin, Padova 2001, pp. 11-15.

46 Cfr. Sparti D., Epistemologia delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna, 2002.

47 Cfr. Armezzani M. Esperienza e significato nelle scienze psicologiche, op. cit. pp. 4-115.

48 48 Cfr. Salvini A., Argomenti di psicologia clinica, op. cit. p. 20.

49 Cfr, ibid. pp. 56-60.



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