A tu per tu con Leonardo Martellucci: “Sono come Ulisse che sfida gli Dei”
Terni: Leonardo Martellucci è eccessivo e puro, non ama le mezze misure e i compromessi. Lo incontro nel suo atelier, un luogo dell’anima, che mi parla di salvezza ed eterno contrasto.
“Io voglio essere libero, non sono interessato all’aspetto commerciale dei miei dipinti, sono come Ulisse che sfida gli Dei. Nelle mie opere utilizzo tecniche miste: smalti, colori acrilici, anche materiale di scarto che trovo nei cantieri”.
Niente male per il pittore ternano che ha esposto nel 2008 alla Biennale di San Pietroburgo e nel 2012 alle Crisolart Galleries di New York e Barcellona inviando il curatore delle sue opere, che lo assiste sugli aspetti economici e contrattuali.
Gli dico che “Donna Afgana” è un’opera enigmatica, quell’occhio misterioso che sembra scrutare oltre.
“E’ un mistero insondabile, un nutrimento dell’anima; molte religioni reprimono la figura femminile attraverso i loro dettami e la repressione. Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell’arcobaleno, bisogna rispettare la bellezza e la grazia svelata.”
La citazione di Diderot è una delle sue tante massime illuminanti e sferzanti che mi regala in questa afosa mattinata di Giugno. Mi parla di salvezza dell’uomo e di individualismo che sfiora l’anarchia: il suo manifesto ideale è “Lettere ai contadini sulla povertà e la pace” di Jean Giono.
“L’uomo ha paura dell’ignoto ma io nei miei dipinti voglio evadere dalle prigioni mentali. La sola strada per la verità è l’amore, è l’unica strada per la salvezza; e si può ottenere solo oltrepassando il limite prestabilito, fuori dagli schemi. L’Arte salva ma è anche la donna più esigente che io abbia conosciuto, vuole tutto per sé, è amore per l’umanità”.
Mi convinco che ho di fronte non solo un artista, ma un filosofo e anche uno scrittore, dato che ha già pubblicato “La mia Dea” e ne ha in cantiere un altro (“Il mio Testamento”), dove racconta e descrive le sue tele con testi poetici ed evocativi.
La Piramide della Discordia l’ha dipinta in occasione del G8: “ Discordia, non concordia: voglio dire le cose come stanno, che è il compito di un artista. La V in alto sta per Vaticano, che insieme alle nazioni rappresentate dalle bandiere opprimono il mondo. Il Capitalismo rampante soffoca, è subumano, è come un campo di concentramento; io invece bramo il ritorno al Mondo dell’Invisibile, autentico, sconosciuto. Cosa fa un bambino sulla spiaggia? Prende la sabbia e ammucchiandola costruisce una piramide, senza preconcetti o convenzioni programmate; è un atto creativo, spontaneo, che mi sforzo di insegnare ai ragazzi tramite le mie lezioni private di pittura”
Facciamo una breve pausa, il tempo di una sigaretta e di sguardi rapiti su quei tratti violenti, quei colori che sembrano gridare alla tela bistrattata, colate imperiose che suggeriscono un qualcosa di follemente inspiegabile.
Provo a stuzzicarlo e chiedo a Leonardo, uomo del dubbio, indagatore delle fobie e dei sogni umani, cosa ne pensa di Andy Warhol, epigono della Pop Art, che sosteneva che l’Arte in sé non ha nulla di sublime: “Warhol è un stato un genio della comunicazione più che un artista, con una vocazione prettamente commerciale che svuota l’Arte di sacralità. Ma non mi piace affatto il suo messaggio: io non posso vivere con scadenze giornaliere e controllare l’estratto conto in banca o riprodurre le mie opere in serie cambiando dettagli insignificanti. Piero Manzoni o l’orinatoio di Duchamp…è Arte? Parliamo piuttosto di Van Gogh o Modigliani, che già la loro sola esistenza è sublime”.
Poi Leonardo mi chiede di poter parlare della sua opera intitolata La Morte. (foto copertina)
“Parliamo di un cambiamento: io voglio esaltare l’esistenza, quando morirò andrò libero verso il mio cammino invisibile. Non ho paura, il buono che sarà di me vivrà attraverso i ricordi; sarò come le sterne dal volo agile, tornerò alla vita come Sisifo torna ogni volta al suo macigno. Come un uomo che gocciola d’umanità, con le sue mani che hanno accarezzato l’esistenza, lontano da ogni arroganza e vanità pomposa. Conosci Alvaro Mutis? E’ un eterno viaggiatore solitario, io ci scorgo la vita nei suoi libri: il pensiero rivolto sempre ai reietti, agli ultimi, la quotidianità della vita e il dover affrontare la morte, una forza misteriosa che ci spinge a navigare e non naufragare.”
Mi legge la sua poesia “Quando morirò” e mentre scandisce solennemente le parole guardo la tela della Morte: devo congedarmi e lo saluto, ma sarei rimasto volentieri a parlare di vita ed Arte.