In un mondo sempre più digitale, quale spazio per l'emotional experience?
Nessuno l’avrebbe mai potuto pensare: eppure il mondo è cambiato. Senza nessun preavviso.
Il Covid-19 ha stravolto le abitudini comunicative, relazionali, personali e lavorative e siamo, senza accorgercene, prede di una tecnologia sempre più invadente. L’essere umano è diventato «merce» attraverso tutti i dati che la rete mette quotidianamente a disposizione delle big tech trovandosi a transitare in un «regno digitale» in cui meccanismi del reale e agenti nativamente artificiali diventano sempre più veloci e intelligenti.
È arrivato il momento di affrontare un cambiamento epocale e cavalcarlo.
È noto oramai che l’industria 4.0 ha cambiato e continuerà ancora cambiare profondamente la nostra vita, specie dopo aver esperimentato questo difficile periodo pandemico.
Studenti, professionisti, manager e aziende siamo chiamati ad affrontare una nuova sfida: sviluppare il proprio “digital mindset”, che non significa semplicemente utilizzare dispositivi tecnologici, piattaforme di gestione o usare i social network, ma concentrarsi sulle proprie competenze digitali, diventando digitali nel modo di ragionare e relazionarsi con il proprio lavoro, i propri servizi, prodotti e soprattutto con i propri pubblici.
Il mercato sembrerebbe essersi spostato tutto su di una piattaforma digitale. Strategie, approccio comunicativo, vendite e pubblici sono mediati dall’intelligenza artificiale e dagli algoritmi, che oramai fanno parte del nostro DNA, ma mentre tutto ciò è già una realtà, qui e ora, molti descrivono questo scenario come fantascientifico e drammaticamente incerto, dimenticando che oramai gli algoritmi sono in pianta stabile negli organici di molte aziende e non solo: in quasi tutti gli ambiti delle nostre vite.
In quest’ottica, e nonostante tutto credo però che, più che mai, l’Essere Umano debba essere salvaguardato e messo al centro di questa rivoluzione, perché alla base della sopravvivenza umana c’è l’anima e lo spirito che non possono essere semplicemente accantonati.
Bisogna tenere conto dell’uomo, un uomo fatto di sogni, di sentimenti, di talenti, di passioni, di ripulsioni, di relazioni, di esperienze, ma soprattutto di emozioni. Urge perciò mettere l’uomo in grado di elevare il proprio livello competitivo di fronte a questo nuovo scenario. Fare, non solo formazione continua per allenarlo all’antifragilità e dotarlo degli strumenti necessari per riuscire a governare il cambiamento, ma lottare perché l’essere umano non perda il suo diritto proprio quello di “essere umano” e continui vivere di esperienze di cui ora siamo privati. Perché sarà la nostra parte più umana ad avere un ruolo chiave per definire la relazione tra l’uomo e l’intelligenza artificiale.
Il modo? Puntare sulle digital experience a tutto campo creando realtà immersive che possano regalare le stesse emozioni,
Fare sì che le persone possano lavorare, divertirsi e vivere questo binomio virtuale-reale godendo di esperienze emozionali quasi reali. Le tecnologie sempre più avanzate di oggi ce lo consentono. Dobbiamo ammettere che il digital emotional/sensorial experience, come la realtà virtuale e immersiva, definirà buona parte delle esperienze che continueremo a vivire in futuro. Basta imparare a pensare e agire in chiave digital.