Vita d'artista
Io non so che cosa esattamente voglia dire oggi una "vita d'artista". È stata la Bohème francese a instillare nelle coscienze degli individui con generiche aspirazioni all'arte il "modello" da allora dominante. Ossia: "separazione" dalla vita borghese con i suoi pesi, divieti, convenzioni, anche meschinità e grettezze, e conduzione di una vita senza fissa dimora, come i bohémiens appunto (gli zingari), una vita sregolata, in preda a sensazioni forti e tutta consegnata al proprio demone artistico. Completava il ritratto - spesso un compiaciuto autoritratto - il rifiuto del perbenismo borghese, attestato con l'assunzione di droghe. Non cocaina o morfina, in genere assunte dai nobili per via dell'alto costo, ma l'assenzio, la droga dei poveri. Basta leggere Murger, Balzac o Zola per documentarsi su questi bohémiens francesi. "Vissi d'arte" canta Tosca, e se visitate la Division 48 del Cimitero del Père Lachaise dove vi sono sepolti gli artisti morti negli anni '30-40 dell'Ottocento, Delacroix, Nerval, Balzac, troverete una filiera di tombe del tutto anonime con scritto sotto il nome del defunto, di cui s'è persa la fama, la dicitura écrivain, musicien, peintre a comprova che forte fu, all'avvio della società borghese, quella in cui Guizot invitava all'Enrichissez-vous ("arricchitevi", attenzione: Guizot non l'ha mai detto) il richiamo di una altrettanto ricca vita dello spirito.
È chiaro che questo modello di vita, antitetico a quello borghese negli stili e nelle opzioni di fondo, è storico, nel senso che prima non c'era nei modi e nelle configurazioni sociali da allora divenuti di prammatica e bisogna pertanto vederlo nella sua evoluzione, dal "nascimento" direbbe Vico, fino a oggi. Prima della Bohème degli anni 1830 non esistevano letteralmente gli "artisti", o meglio, quelli che siamo abituati a conoscere dalle opere liriche, che vivevano di stenti nelle soffitte, e che per tutto l'Ottocento e fino ai primi due decenni del Novecento alimentarono le avanguardie e da allora la figura di artista fino a oggi. Prima, ai tempi di Ariosto per esempio, si era al servizio (letteralmente ) dei nobili. Lo furono almeno fino al '700 anche artisti come Sammartini, Mozart e Haydn, quest'ultimo per tutta la vita portò placidamente la livrea da valletto dei nobili ungheresi Esterházy. Ancor prima lo fu, dicevo, il delizioso Ariosto che si lamentò nelle sue Satire di doversi occupare dei cavalli ("e di poeta cavallar mi feo") del Duca d'Este, disperso, il povero, in Gaffargnana. Erano perciò i ricchi che mantenevano gli "artisti", come servitù né più né meno. E gli artisti, talora di controvoglia come Ariosto, spesso placidamente come Haydn, si acconciavano a quella vita di subalterni.
Flaubert, che viveva di rendita, non sopportava le pose dei bohémiens. Li sfotteva, gli artisti, diceva che si portavano in riva al mare e si interrogavano sulle cose ultime, teatralmente. Disprezzò sempre Dumas (soprattutto per il suo Antony che servì da modello per la nuova sensibilità artistica, tutta pose), Alphonse Karr, Musset, ecc., i quali credevano che per "essere" artisti bisognasse per intanto "fare" gli artisti, cominciando a "vestirsi" da artisti.
Flaubert fu invece fedele per tutta la vita alla massima che occorresse piuttosto "vivere da borghese, e pensare da semidio" , pur odiando i borghesi forse ancor più degli artisti. Scriveva in una lettera:
Bisogna recitare durante la propria esistenza due parti: vivere da borghese e pensare da semidio. La soddisfazione del corpo e della testa non hanno nulla in comune. Se si incontrano mischiate, prendile e conservale. Ma non le cercare mai insieme, perché sarebbe sbagliato, e questa idea della felicità, del resto, è la causa quasi esclusiva di tutte le sciagure umane. Teniamo il fondo del nostro cuore per spalmarlo come una tartina, il succo intimo delle passioni per metterlo in bottiglia: conserviamo una riserva di sublime per i posteri. Sappiamo cosa perdiamo ogni giorno a causa degli sgocciolii del sentimento?
Neanche Paul Valéry amò gli artisti bohémiens e ripeteva perciò che "si può essere poeti e pagare l'affitto". E' inutile aggiungere che nei periodi di effervescenza sociale (penso al nostro '68) il modello dell'artista-bohémien ha particolari ritorni di fiamma. Ma io in genere, quando sento che qualcuno ha abbandonato la regolare vita borghese per l'arte, mi metto in sospetto e nutro scetticismi cosmici. La penso esattamente come Flaubert e Valéry. Jean Cocteau, che per conto suo ebbe vita brillante, quasi bohémien, e amava ripetere: "Il faut être un homme vivant et un artiste posthume. "Occorre essere un uomo vivo e un artista postumo".