#ameNONmi piace Il naufragio di Crotone e la scelta sciagurata dei grandi brand: quando la pubblicità fa male
Quel che è accaduto in seguito al naufragio di Crotone è solo l’ultimo esempio di una deprecabile abitudine che ha preso sempre più piede. Ne parlo ora perché volevo trovare parole che potessero essere spese con la lucidità dalla ragione e che non fossero solo considerate una reazione emotiva.
Questa volta #ameNONmipiace. Non mi piace che sui siti delle principali testate giornalistiche nazionali diversi video riguardanti lo sciagurato naufragio di Crotone, ma anche la guerra in Ucraina ed altri eventi luttuosi, siano preceduti da spot di grandi brand.
#ameNONmipiace, come persona e come professionista della comunicazione.
Come è possibile? Come è possibile che su testate nazionali che si occupano di notizie anche i video con riferimenti a tragedie inaudite siano preceduti da spot di celebri marche di pasta, catene food e persino dal video di una app di Tim in cui si annuncia la finta morte del geco Leon, un video che vorrebbe essere divertente e in altre circostanze lo sarebbe pure ma qui è sola la macabra chiosa di un cinismo nero e senza appello?
Non sono Biancaneve, e so bene che “la pubblicità è l’anima del commercio”, sono in questo mondo da oltre trent’anni, e il ruolo della demi-vierge non mi si addice.
Ma la collocazione di questi spot non è solo eticamente inqualificabile, moralmente imperdonabile (opinioni personali potrebbe suggerire qualcuno).
Peggio: è, professionalmente parlando, un errore madornale.
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La collocazione di questi spot è il manifesto sfacciato del presappochismo che impera in certi uffici marketing dove le visualizzazioni sono tutto e il contesto non rileva; è la certificazione di testate giornaliste che si fanno riscrivere il codice deontologico dall’ufficio commerciale.
Davvero era indispensabile? Davvero pensiamo che lo spot della pasta che “dove c’era lei c’era casa” prima delle bare di chi “casa” l’ha lasciata per disperazione, prima del cordoglio del Presidente della Repubblica, prima del dolore, faccia bene all’azienda, alla reputation, alla brand awarness? Non è invece un clamoroso autogol? E cito questo esempio, ma potrei citarne altri cento.
Chi se ne importa delle centinaia di migliaia di visualizzazioni, delle mille mila finte morti del geco Leon, quando 13 secondi dopo sul mare nostrum galleggiano 70 corpi esanimi?
E quelle migliaia di euro incassate dalle testate per questi interventi pubblicitari, sono proprio quelle che salveranno i loro bilanci esangui?
Io credo di no.
#restiamoumani, certo, ma restiamo anche professionisti veri e seri: capaci di distinguere quando la pubblicità fa bene e quando francamente fa male, molto male.