BeFake AI, boutade social o c'è qualcosa di più?
Why be real when you can be fake?
La domanda - da stabilire fino a che punto provocatoria - è il claim di Be Fake AI una nuova social app lanciata in sordina sugli store a metà agosto.
In sostanza una versione speculare e antitetica di Be Real, in cui immortalare "a chiamata" il proprio qui e ora, attraverso la doppia istantanea selfie+POV. La differenza rispetto a quest'ultimo è non dover necessariamente documentare la propria misera quotidianità, fatta di luoghi di passaggio, gabinetti, supermercati, androni malandati e anonimi scorci suburbani ma poter creare in tempo reale una proiezione virtuale di sé.
Anche qui infatti una notifica ci avverte che è il momento di condividere la nostra immagine (20 min di tempo per farlo senza dover acquistare crediti), ma grazie all'intelligenza artificiale possiamo raccontarci ogni volta in modo diverso. Il tool è di fatto un motore AI basato su prompt che permette la modifica rapida di immagini. L'interazione diretta con la fotocamera, la disponibilità di una gallery di prompt già preconfezionati (ed editabili) e la possibilità di creare ex novo i propri o copiare quelli di altri utenti, rende le opportunità creative potenzialmente illimitate. È possibile accompagnare ogni immagine con una caption e taggare altri utenti, oltre ovviamente a commentare e condividere i post degli altri.
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Ad essere onesti i primi giorni di utilizzo non mi fanno gridare al miracolo, l'app ha pochi download e utenti prevalentemente d'oltreoceano. Il feed è di fatto una serie di immagini più simile al database di avatar di un RPG online che a una bacheca social e in generale la patina "fantasy" e iper fake dei contenuti già dopo pochi scroll toglie ogni velleità di esplorazione.
Tanto più che la mancanza di video e - apparentemente - di un algoritmo di segmentazione dei contenuti rende il tutto estremamente statico e lontano anni luce dalla dinamicità di social più maturi (Tik Tok e IG su tutti).
Forse l'hype da Midjourney è in calo; probabilmente anche il meccanismo ansiogeno dell'ispiratore BeReal (che pure si basa su un principio di verismo, almeno concettualmente, interessante) non è alla lunga facilmente digeribile; sicuramente gli utenti sono ancora pochissimi e l'interfaccia troppo elementare, ma è certo che quello che sembra mancare in sintesi, al di là della volontà furbacchiona di cavalcare l'entusiasmo per le possibilità ludiche dell'AI per tutti, è un motivo solido per continuare ad utilizzare l'app una volta esaurita la curiosità iniziale.
A meno di non sposare la tesi della fondatrice Kristen Garcia Dumont, secondo cui BeFake, lungi dall'essere una parodia estemporanea di altri social, sarebbe il manifesto di una nuova avanguardia che rifiuta i meccanismi di autorappresentazione post-reality (laddove la realtà è necessariamente costruita e omologata per renderla desiderabile o quantomeno accettabile), una "full and total rejection of the authenticity movement, which is inauthentic".
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