"Che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere" (L.Colombini)
Quando ho aperto la mail contenente questo articolo ho sentito un enorme vuoto dentro. Perché? Perché per me Edward non è semplicemente "il protagonista di una storia di cronaca triste", ma è un bambino che ho conosciuto e con cui ho avuto l'opportunità di condividere brevi momenti di un semplice sabato di libertà. Sono giorni che ci penso su e non riesco a dar senso a ciò che questi bimbi devono vivere ogni giorno.
Edward è uno dei troppi bambini "ospiti" del carcere di Rebibbia. Bambini che hanno commesso "il grave reato" di venire alla luce.
Ricordo la primissima volta in cui partecipammo ad "un'uscita". Appuntamento ai cancelli del carcere femminile, meta, la casa protetta di Leda.
Ricordo come appena arrivati all'appuntamento i "volontari anziani" ci diedero "istruzioni" ed informazioni su come si sarebbe svolta quella giornata. Ricordo che mentre aspettavamo che il pulmino del Comune di Roma uscisse dal cancello con su i piccoli passeggeri, l'ansia di non essere all'altezza e la paura di poter fare o dire qualcosa di sbagliato mi assaliva, diventando ogni secondo più forte.
Poi sono arrivati, erano tutti in silenzio e seduti composti, bimbi e bimbe di 2, 3 anni, che ci guardavano curiosi e spaesati, quasi a chiederci "posso fidarmi di te?"
I "volontari anziani" ci invitarono a prendere posto, ognuno vicino ad un bimbo o una bimba, per quel giorno noi saremmo stati il loro "adulto di riferimento".
Ricordo come nel viaggio di andata iniziai a far di tutto pur di riuscire a strappare un sorriso alla bambina che sedeva al mio fianco, ma lei nulla, impassibile, mi guardava con quegli occhi grandi che mi facevano sentire piccolo piccolo.
Durante quel giorno abbiamo creato un legame di fiducia e le mie ansie, le mie paure sono sparite man mano che le ore scorrevano. Abbiamo giocato, mangiato, fatto il risposino e la merenda e, concentrato su ogni istante che stavamo trascorrendo insieme, quasi avevo dimenticato che al termine di quella giornata l'avrei riaccompagnata, non a casa dalla sua mamma, ma in una cella all'interno del carcere.
Nel viaggio di ritorno ricordo come mi si addormentò in braccio, e mentre lei dormiva io mi sentivo stravolto e scombussolato. Non riuscivo ad immaginare come si potesse spiegare ad un bambino che il mondo senza sbarre potesse esistere un solo giorno a settimana.
Anche un solo giorno passato con questi bambini sa cambiarti in modo profondo, ti scuote, ti sposta qualcosa dentro.
Arrivati nuovamente davanti ai cancelli di Rebibbia siamo dovuti scendere, a noi non è permesso varcare quei cancelli. La piccola, nonostante i miei sforzi, si svegliò e mi guardò dritto negli occhi facendomi sentire nuovamente piccolo piccolo. Non sono stato capace di dirle nulla se non un semplice ed impacciato "ciao", gli ho stampato un bacione sulla fronte, l'ho fatta sedere composta al suo posto e, mentre il pulmino varcava il cancello, io mi sono resoconto che un pezzettino di me è rimasto anche lui su quel pulmino ed ha anche lui varcato quel cancello.
Mai un bimbo o una bimba dovrebbero vedere il mondo attraverso delle sbarre.