Disponibilità mentale dell'acquirente
Partendo dal già illustrato concetto che qualunque attività commerciale (a scopo di lucro) per sopravvivere sul mercato è obbligata a vendere i propri prodotti o servizi, e che per venderli deve farsi conoscere, acquisire una clientela ed affermarsi trasmettendo autorevolezza, fiducia e consapevolezza del marchio con continui, forti segnali e messaggi promozionali; valutiamo più nel dettaglio la convenienza odierna nel fare marketing sui social. Cosa spinge l’utente all'acquisto? Di solito la necessità di soddisfare un bisogno o la volontà di appagare un desiderio, anche se ci sono acquisti che non sono affatto giustificati da motivazioni ma sono fatti d’impulso, derivati da uno stimolo che in qualche modo ha fatto scattare nella mente della persona il “clic” all'azione. Poi ci sono anche gli acquirenti compulsivi, gli acquisti fatti per “vendetta o ritorsione” ed altre forme che lasceremo al mondo della psicologia e non a quello del marketing di cui proviamo invece ad occuparci in questa sede.
Se l’acquirente non compra il mio prodotto per caso o perché lo colpisce in quel momento, ma lo sceglie preventivamente tra altri, vuol dire che il mio brand rientrava già in precedenza nella mappa mentale dell’utente, magari in seguito ad un lavoro promozionale, previa stimolazione sensoriale (visiva, uditiva, tattile, olfattiva o altro a seconda della tipologia di prodotto), il tutto rafforzato dalle informazioni mentali utili accantonate col tempo in merito. Se il lavoro pubblicitario è stato ben fatto, sarà di qualità, con la giusta dose di martellamento mediatico (non troppo perché poi stufa né troppo poco perché si tende a dimenticarlo), segnali di solidità e serietà del marchio abbinati ad altre azioni di branding, tutto contribuirà a far accrescere l’immagine dell’azienda che l’utente avrà nella propria disponibilità mentale. Ciò permetterà al marchio di occupare posizioni di rilevo tra i tre/quattro modelli che verranno per primi in mente all'utente quando penserà a quel determinato bene o a quell'oggetto. Anche un acquisto emotivo non ponderato o impulsivo sarà però tale, grazie ad una o più azioni di marketing ben piazzate: la giusta visibilità in vetrina per il prodotto, il venditore che riesce a far innamorare un cliente toccando i tasti giusti, una promozione aggressiva o comunque stimolante, una pubblicità invitante che trasmette sensazioni ed informazioni mirate, un profumino che far venire fame e così via. Qui la differenza ce la giochiamo con un unico lancio di dadi e non è detto che riesca sempre bene, ma facendo leva sulle emozioni e sulle sensazioni sensoriali è forse più facile per certi versi convincere l’utente perché è un lavoro che può piacere o meno, visto che è profondamente influenzato da elementi e gusti personali, ma da risultati immediati quindi è più pratico, a differenza del brand management che prevede l’utilizzo di tecniche di marketing per creare, gestire e sviluppare una marca, che richiede ovviamente molto più tempo, più investimenti e più risorse da destinare, per un risultato che peraltro non è mai garantito in termini di ritorno economico proporzionale.
E’ possibile soddisfare un desiderio dell’utente mediante l’appagamento di necessità consapevoli o lo stimolo di bisogni latenti. Le prime sono in posizione dominante nello spazio mentale dell’utente, che è quindi già predisposto alla loro ricerca: anzi si attiverà autonomamente per trovare la soluzione in tempi che saranno strettamente legati all'urgenza del bisogno. Qui l’attività promozionale dell’impresa deve quindi fare leva affinché il proprio brand venga mentalmente associato dall'interessato a quel determinato prodotto o servizio in modo prioritario rispetto ad altri concorrenti, dato che generalmente le prime cose che ci vengono in mente sono quelle che in via riflessa ed istintivamente abbiamo imparato ad apprezzare o abbinato a quell'immagine, registrando la correlazione brand/prodotto o servizio/marchio.