Emozioni in aula? Si, grazie!

Emozioni in aula? Si, grazie!

Le emozioni e l’empatia rappresentano, negli ultimi tempi, uno dei temi più trattati nei campi delle scienze umane. Soprattutto da quando, grazie al contributo degli studi psicologici e sociologici, si è iniziato a considerarle alla base del comportamento individuale e sociale. Se ci pensiamo bene la nostra esistenza è costellata di emozioni, ne siamo completamente immersi. Le emozioni rappresentano la “colonna sonora” della nostra vita e determinano il modo in cui interagiamo nel mondo. “Emozione” deriva dal latino emovere, ossia trasportare fuori, smuovere, scuotere. In questa sede non entrerò nel merito di cosa sono le emozioni, a cosa servono o in cosa si differenziano rispetto ai sentimenti, tanto meno ne fornirò una classificazione accademicamente dettagliata. Quello che mi limiterò a fare è porre l’attenzione su quanto queste, insieme all’empatia, rivestano un ruolo determinante nell’ambito dell’apprendimento e della formazione aziendale.

Quando anni fa incominciai ad introdurre le emozioni nei momenti formativi rivolti alle persone e ai team di cui ero responsabile, oltre ad accorgermi di essere considerato un marziano, iniziai ad intravedere quella che sarebbe stata la chiave per ottenere migliori risposte da parte delle persone e che avrei chiamato in futuro “la via” che conduce all’azione. Le persone a cui mi rivolgevo, nella fattispecie tutti consulenti di vendita, si dimostravano ricettive rispetto al tema, in quanto la loro attività quotidiana era si, fondata sull’azione, ma non erano in grado di elaborare e veicolare funzionalmente quella potente energia che condizionava, spesso negativamente, le loro performance aziendali: LE EMOZIONI. La realtà aziendale cui sto facendo riferimento ha visto la mia collaborazione per quasi due decenni e devo ammettere ancora una volta che è grazie (anche) a lei che ho potuto crescere come professionista e accumulare quelle competenze che oggi metto a disposizione dei miei clienti in qualità di consulente e formatore. Le modalità ed i programmi formativi dell’epoca, sebbene per molti versi utili ed esaustivi, non risultavano tuttavia completamente efficaci. Mancava qualcosa, quella spinta capace di attivare il potenziale dormiente dentro di noi che non vedeva l’ora di manifestarsi; mancava finanche l’empatia e la capacità di riconoscere i bisogni emotivi delle persone che avrebbe permesso loro di modificare i comportamenti, rendendoli maggiormente funzionali al raggiungimento di importanti traguardi aziendali. Le emozioni si traducono infatti in cambiamenti fisici e psicologici che influenzano il pensiero e il comportamento. E come afferma J. LeDoux, nel suo libro Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni: “una mente senza emozioni non è affatto una mente, è solo un’anima di ghiaccio: una creatura fredda, inerte, priva di desideri, di paure, di affanni, di dolori o di piaceri”. Tutti aspetti che i colleghi di cui sopra conoscevano bene, ma che non sapevano trasformare in quella famosa “via che conduce all’azione”.

Tornando ai giorni d’oggi, sono sempre più convinto che una formazione efficace non può prescindere dal mettere in campo la sfera delle emozioni in quanto non è solo con l’intelligenza e la razionalità che si apprende e si impara. Per tanto tempo, la tendenza dominante nel sistema formativo aziendale e di istruzione scolastica è stata quella di preferire principi lineari e curriculari, ignorando la complessità degli esseri umani. Oggi, grazie a numerosi studi, è stato dimostrato quanto è importante la sfera emotiva e affettiva nella comunicazione, nell’interazione sociale e nell’apprendimento, perché si è finalmente capito che l’essere umano è un sistema complesso di razionalità ed emotività. L’emozione incide fortemente sul processo di apprendimento perché agisce come guida nella presa di decisioni e nell’elaborazione delle idee. Jean Piaget, psicologo e pedagogista svizzero, sottolinea, guarda caso, l’importanza delle emozioni nel processo di apprendimento. Egli proclama che, per lo sviluppo armonico della personalità di chi deve imparare è necessaria un’interazione fra la sfera cognitiva e quella affettiva. Tra i numerosi studi nel settore, si distinguono inoltre quelli degli psicologi statunitensi Howard Gardner e Daniel Goleman. Il primo assume che il discente che scopre con entusiasmo un mondo nuovo, apprenderà con maggior successo e con minore resistenza rispetto a un compito imposto che considera privo di interesse. Egli sostiene, inoltre, che se si vuole che certe conoscenze siano interiorizzate e successivamente utilizzate, necessita applicarle in un contesto in grado di suscitare emozioni. Lo psicologo statunitense Daniel Goleman, sostenitore del concetto di Intelligenza emotiva, dimostra il valore che questa ha per tutti gli individui, sia piccoli sia grandi, nell’ambito relazionale, di apprendimento e lavorativo. Goleman è pienamente convinto che l’Intelligenza emotiva influisce nelle attività di vita quotidiana, e quindi professionale, ed è responsabile dei successi o degli insuccessi della persona. Lo psicopedagogista Benjamin Samuel Bloom, invece, ritiene che le emozioni giocano un importante ruolo nei processi cognitivi legati alla memoria, in quanto la forza dei ricordi dipende dal livello di attivazione emozionale generato dall’apprendimento, per cui esperienze vissute con una partecipazione emotiva di livello medio-alto vengono archiviati nella nostra mente come “importanti” attraverso il coinvolgimento del sistema limbico, nello specifico dall’amigdala e dalla corteccia orbito-frontale con la conseguenza di essere ricordati con maggiore probabilità. Dalle riflessioni di cui sopra si evince che la formazione, perché sia utile ed efficace, deve prevedere necessariamente una dimensione emozionale, ponendo massima attenzione alla dimensione interiore e alla formazione di essere umani completi in un contesto di libera espressione, senza filtri o resistenze. Emozionare ed emozionarsi rende la formazione un percorso “empatico” che riduce la distanza tra esso e le persone; e una formazione che a sua volta da dignità alla sfera emotiva genera coesione tra le persone avvicinandole. E' magia...

Esprimere emozioni piacevoli genera ulteriori emozioni piacevoli, ed essere consapevoli di questo processo significa avviare un percorso virtuoso verso la valorizzazione delle emozioni. Per raggiungere performance formative in termini di coinvolgimento ed efficacia, è infatti importante imparare a stimolare le emozioni positive e, al contempo, “elaborare” quelle spiacevoli senza però ignorarle quando si manifestano. Le emozioni diventano una risorsa formativa se nominate, riconosciute e classificate; processo questo più ostico, in quanto siamo poco abituati ad esercitarlo, ma al contempo percorribile attraverso opportune esercitazioni in aula e al di fuori del contesto didattico. Anche nel caso in cui i discenti esprimono indifferenza non dobbiamo dimenticare che anche quest’ultima è un’emozione e che, come tale, va riconosciuta. Esprimere le emozioni favorisce la connessione non solo tra i membri del gruppo, ma anche tra il gruppo stesso ed il formatore/docente ed è opportuno che questi sia preparato a “gestire” prima le proprie e poi le emozioni degli altri. Imparare ad osservarsi e conoscere le reazioni di sé stessi e degli altri, consente di lavorare richiamando in causa le emozioni determinando i limiti, senza il rischio di imbattersi in dinamiche “rischiose” che sono di esclusiva competenza degli psicologi o di counsellor professonisti. Estromettere le emozioni dal processo formativo sarebbe come “svuotare” l’aula (o il contesto)  rendendola un luogo “sterile”, in cui le relazioni sono impersonali e i contenuti didattici “un pasto insipido da ingerire per forza”.

A chiamare in causa le emozioni, sarà quindi il formatore/docente che a sua volta dovrà aver frequentato possibilmente percorsi di sviluppo personale e di perfezionamento di talune abilità comunicative, relazionali ed empatiche; sarà lui (o lei) a richiamare l’interesse, generare situazioni in cui si stimolano curiosità, desideri, aspettative, cercando punti in comune con l’esperienza e la vita personale dei colleghi e di sé, mettendosi per primo in gioco. Questo significa che dovrà coinvolgere e valorizzare il singolo che, insieme agli altri, creerà un gruppo, invitando ad esempio alla partecipazione attiva e all’interazione, oppure facendo domande utilizzando una modalità di conduzione orientata al Coaching. Farà inoltre ricorso a specifici esercizi, a strumenti di assestment, a storytelling, a libri, all’impiego di foto, di filmati, di musica, ballo, teatro, sport, lavoro di gruppo, ma anche sessioni all’aperto che favoriscano la connessione con la natura e con l’ecosistema. Elementi questi che, assieme “al saper fare” del formatore-docente, diventano utili strumenti di coinvolgimento e di partecipazione, generatori al loro volta di emozioni. Ogni relazione formativa tra docente e studente deve essere caratterizzata da incontro e scambio, partecipazione, fiducia, stima, dialogo e comprensione, creando un terreno in cui le emozioni diventano indispensabili per il buon funzionamento di un gruppo la cui qualità ed efficacia dipende dalla rete di relazioni affettive e dalle molteplici motivazioni a stare insieme. 

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