EPITAFFIO: SOCIETÀ COOPERATIVA CATTOLICA ASSICURAZIONI, VERONA

EPITAFFIO: SOCIETÀ COOPERATIVA CATTOLICA ASSICURAZIONI, VERONA

Prima di parlare della fine di Cattolica, vorrei dire due parole su mia madre. Mia mamma, alla tenera età di 85 anni, si è rotta il femore, cadendo in casa. Subito il quadro clinico prospettatoci era senza speranza: non avrebbe più camminato, a quel età le ossa non si ricompongono più! Lo stesso destino occorso alla povera (bis)nonna Giulia, rimasta in sedia a rotelle per 13 lunghi anni, fino alla morte. Così, ci siamo preparati così ad organizzarle una vita futura da inferma. Senonché, dieci giorni dopo l’uscita da l’ospedale, mentre l’accudivo, ho visto prima mia madre sedersi sul letto con le gambe penzoloni, poi poggiare i piedi a terra, quindi alzarsi. Trascinando i piedi, si è spinta fuori dalla stanza fino alla cassapanca rossa in corridoio, sulla quale si è seduta. “Ma non ti fa male mamma?” ho chiesto sbalordito. “Eh… un po’...” Sono passati sei mesi da allora e mia madre, oggi, percorre i 30 metri di corridoio, dalla sala alla stanza in fondo, speditamente. Almeno cinquanta volte al giorno, come la Pellegrini in vasca centrale.

Un miracolo? Non direi. Com’è potuto accadere, allora? Perché ha l’Alzehimer. Non si ricorda nulla, nemmeno di essersi rotta il femore, nemmeno di essere inferma, nemmeno che i medici sono convinti lo sia, nemmeno che non può guarire. Lei la mattina si sveglia e fa quello che ha sempre fatto: si alza e cammina, una sorta di sindrome di Lazzaro, e nulla e nessuno la distoglierà mai dal suo scopo.

Perché, per commentare l’ingloriosa fine della Società Cooperativa Cattolica Assicurazioni, la cito a esempio? Perché mi sarebbe piaciuto che qualcuno, in questa vicenda, si fosse ispirato a lei. Entrata nell’orbita Generali, dopo 124 anni di storia, la Compagnia si appresta, a breve, a diventare una SPA come tutti speravano e desideravano. Quasi tutti… Se è ben vero, infatti, che una società cooperativa quotata in borsa è un ossimoro, la soluzione per risolvere la contraddizione di termini era comunque duplice: o trasformarla in SPA, o farla uscire dalla borsa. Ebbene: non si è levata una, dico UNA, singola voce a proporre la seconda soluzione. Per metterla almeno sul piatto della bilancia, per discuterne l’opportunità, o anche solo per dare fastidio e provocare una reazione; per provare a morire, almeno, con dignità, rivendicando il diritto a vivere. Il nulla, il vuoto assoluto.  Perché? Perché così come non si guarisce da un femore rotto a 85 anni, non si può chiedere il delisting di un titolo. Non si fa, non è opportuno. Tutti i soci hanno considerato il passaggio a SPA come ineluttabile, certi che non fosse possibile tornare indietro. Nemmeno si è provato a lanciare la sfida, a provare a capire cosa sarebbe stato necessario fare, per cacciare i mercanti dal tempio.

Già, i mercanti... Leggo dichiarazioni strabilianti del tipo: “Warren Buffet ha vinto un'altra scommessa.” Scommessa? Buffet non sta ad aspettare alla finestra che le cose accadano: gli eventi, lui, li determina. È lo stakeholder, il banco. Con l’allontanamento del suo uomo dal board ha deciso di giocare duro, e gli effetti si sono visti. In capo a pochi mesi (giusto quelli del lockdown) è riuscito a fare di una società, apparentemente solida e redditiva, un relitto su l’orlo del crack. L’uno-due, ispezione IVASS e valutazione Standard & Poor’s, avrebbero fatto vacillare colossi ben maggiori. Le azioni intimidatorie poste in essere nei confronti della Compagnia, un giorno, saranno oggetto di studio, per tacere di quelle che non conosciamo, perché condotte in via riservata. Alla fine è arrivata l’offerta che non si può rifiutare. La società viene, di fatto, commissariata, saranno le Generali a ripulire le stalle. La borsa esulta, il titolo fa segnare un grottesco +35% in un giorno. Per chi avesse ancora dei dubbi che questa non sia stata una gigantesca operazione speculativa, abilmente condotta, ora non ne avrà più. Ma tanto, chi se ne frega! Anche i cassettisti si fregano le mani.

Ovvio che della fine di Cattolica non importi a nessuno, fuori dalle mura da Verona, meno ovvio che tra le mura la classe politica e imprenditoriale veronese, assista passiva e inerte a l’inabissamento. Se alcuni non hanno capito cos’è successo, il più fanno finta di non capirlo. Verona perde un altro pezzo, un’altra istituzione finanziaria storica, l’ultima a cedere. Finisce, come l’aeroporto Catullo, nel cono d’ombra di Venezia. Il processo di marginalizzazione e provincializzazione della città continua. I temi di dibattito diventeranno: cosa fare del cortile di Giulietta e come (o dove) costruire un nuovo stadio. Questo passa il convento. Verona? Si avvia a diventare un paesone ricco di storia e bei monumenti. Classe dirigente? Non esiste più, sostituita da palancai che si atteggiano a raider.

Una città senza memoria il che, a ben vedere, rende l’esempio di mia madre, non poi così calzante.


 


bruno Dal Bosco

agricoltore presso dal bosco bruno

4 anni

Concordo pienamente, hai detto cose che volevo dire anch'io, purtroppo il danaro vince sempre, poveri noi.

Pietro Barana

Manager - Actor

4 anni

Bravo Luca. Mi viene in mente il personaggio di Ezio Greggio: il critico tritatutto. Ma qui è il neoliberalismo a tritare tutto.

L’operazione permette a Generali di rafforzare la presenza in Italia, nel ruolo di primo azionista di uno dei principali player domestici. Insomma un chippino, che porterà fin da subito in dote molti frutti nel principale mercato core e nelle casse della compagnia triestina. E nel futuro, chissà, c'è già chi parla di fusione, inglobando Cattolica, come fu per Ina, Toro e Alleanza.

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