Francesco Paolo Michetti, pittore abruzzese.in foto: Cocullo.Le Serpi (dettaglio), 1900
in foto: Le Serpi (dettaglio), 1900
“[…] Siam tornati insieme alla dolce patria, alla tua ”vasta casa„
Non gli arazzi medicei pendono alle pareti, nè convengono dame ai nostri decameroni,
nè i coppieri e i levrieri di Paolo Veronese girano intorno alle mense,
nè i frutti soprannaturali empiono i vasellami che Galeazzo Maria Sforza ordinò a Maffeo di Clivate.
Il nostro desiderio è men superbo: e il nostro vivere è più primitivo,
forse anche più omerico e più eroico se valgono i pasti lungo il risonante mare,
degni d’Ajace, che interrompono i digiuni laboriosi […]”
Il Piacere, dedica. G. d’Annunzio
Francesco Paolo Michetti e Gabriele d’Annunzio sono entrambi figli dell’Abruzzo. L’uno lo dipinge, l’altro ne scrive. Un rapporto dunque fraterno, viscerale, tanto da portare il Vate a definire Michetti come “mei dimidium animi” (metà dell’anima mia). Entrambi faranno della loro terra il motivo ispiratore delle loro opere. Per un certo periodo procedono insieme, vivono insieme, assistono alle stesse scene, vedono le stesse cose, l’uno è lo specchio dell’altro. Sebbene, alla fine, Michetti non compirà mai il salto finale, non diventerà pittore simbolista, mentre d’Annunzio, più irrequieto, inventerà un nuovo modo di fare arte e abbandonerà per sempre l’Abruzzo.
Le rispondenze tra i due sono fitte e intricate ed è stato mio interesse, in questo post, elencarle ed affrontarle. E’ proprio per cercare le ragioni di questo legame che mi sono spinta a visitare i piccoli musei d’Abruzzo, che conservano le tracce della loro amicizia.
Michetti ottenne in vita molto successo, già prima dell’amicizia con il futuro Vate: partecipò a diverse esposizioni nazionali, vince premi, viene preso in considerazione per insegnare all’Accademia di Tokio, trasferimento evitato per l’intervento nientemeno che del re Umberto I di Savoia, il quale gli commissionerà più tardi il proprio ritratto e quello della consorte la regina Margherita. Questo solo per dire il livello di fama che raggiunse, fino alla nomina di Senatore del Regno nel 1909.
Aveva dunque ogni possibilità di poter vivere in una grande città e partecipare alla vita mondana ai più alti livelli, né gli sarebbe mancata l’opportunità di trasferirsi all’estero. Michetti fu infatti apprezzatissimo dal mercato parigino, almeno fino al 1900, dove fu richiesto da mercanti importanti come Goupil e Reutlinger e questo già dagli anni ’70 dell’ottocento. Nel 1895 aveva ricevuto l’incarico da parte della società Arti et Amicitiae, sostenuta dalla regina reggente d’Olanda, Emma di Waldeck-Pyrmont, di eseguire delle illustrazioni per la pubblicazione della Bible par les plus grands artistes du monde entier – anche nota come Bibbia di Amsterdam.
Nonostante questo Michetti sceglie, sin da subito, di ritirarsi nella sua regione d’origine, l’Abruzzo.
Il Conventino e il sogno d’Abruzzo
Nel 1885 acquista il Convento Francescano di Santa Maria del Gesù a Francavilla a Mare, il cosiddetto “Conventino”, che sceglie come studio e dimora per abitare con la sua futura moglie Annunziata Cermignani. E’ qui che si formerà il cenacolo michettiano, un’esperienza unica e irripetibile nella storia dell’arte italiana moderna in cui il pittore Michetti, il poeta Gabriele d’Annunzio, lo scultore Costantino Barbella e il musicista Francesco Paolo Tosti lavorarono in un’intima comunione che aveva come tema comune quello della natura e della gente d’Abruzzo. Frequentarono il Conventino anche Edoardo Scarfoglio e sua moglie Matilde Serao, il pittore di pescarese Basilio Cascella, il pittore anch’egli abruzzese Alfonso Muzii, il poeta Carmelo Errico, l’etnologo Antonio de Nino e anche l’allora giovanissimo scultore Nicola d’Antino. Il luogo era idillico e predisposto alla creazione artistica, ma si avrà modo di parlare dei luoghi dannunziani abruzzesi in un altro post. Ad ogni modo c’è da ricordare che è qui nel Conventino che d’Annunzio scrisse, nel 1888, “Il Piacere”, che si apre proprio con una dedica all’amico Michetti.
Un legame fraterno, dunque, che deriva dall’origine comune della stessa terra. E’ in questa terra primitiva che Michetti prende ispirazione per tutti i suoi dipinti e ciò che lui dipinge, d’Annunzio descrive. Dal 1884 i due, insieme allo scultore Barbella e allo studioso di folklore Antonio de Nino, si recano a vedere usanze e feste locali. Quanto più l’usanza è barbarica e ferina, tanto più i due amici sembrano attratti. Si recheranno a vedere la festa di San Domenico a Cocullo, il pellegrinaggio di Casalbordino, quello a Miglianico, le processioni di Orsogna, Chieti, Rapino. Da questi reportage ognuno trae ispirazione per romanzi o dipinti. L’Abruzzo è il cuore e le viscere della loro arte.
Michetti primitivo e moderno
L’attenzione per ciò che è ancestrale, primitivo e quasi barbarico non è in opposizione con la voglia di modernità per Michetti. Bisogna infatti ricordare che fu uno dei primi pittori italiani ad usare la fotografia, un metodo già diffuso in Francia e usato da Monet, Ingres, solo per dirne alcuni. Non solo la fotografia gli servì a scopo documentario, per i molti suoi reportage e per i suoi dipinti, ma ne riuscì ad avere anche un uso artistico, fino quasi a sostituire l’attività di fotografo a quella di pittore
Michetti infatti arrivò a considerare la fotografia al pari della pittura e aveva pienamente intuito le potenzialità propriamente artistiche del nuovo mezzo. Forse troppo in anticipo su molti suoi contemporanei, dovette spesso nascondere o comunque tenere riservata ai soli amici intimi la sua passione fotografica, ché, non di rado, fu accusato di copiare dalle fotografie. Un ricco archivio fotografico custodito nella sua abitazione di Francavilla, fu scoperto solo nel 1966 da Raffaele Delogu, insieme con numerosi disegni e pastelli.
Fu Michetti ad insegnare a Wilhelm von Gloeden, che visse per un certo periodo di tempo a Francavilla al Mare, i primi trucchi della fotografia. Il fotografo tedesco, che visse e lavorò in Sicilia dove divenne famosissimo per le sue foto di nudo maschile, lo ricorda nelle sue memorie.
Attraverso la documentazione della fotografia e grazie alla sua possibilità di esaltare gli effetti di movimento – come si vede nella serie dedicata alla mattanza dei tonni ad Acireale del 1907 – il Michetti approda, nel secondo decennio del Novecento, alle esperienze cinematografiche, esperienze di cui, purtroppo, rimangono poche tracce. Il lungometraggio dedicato ai Volti d’Abruzzo e realizzato tra il 1923 e il 1925 è andato disperso, mentre restano solo alcuni frammenti cinematografici girati a Roma ed un breve documentario.
FONTI:
Molti sono i libri dedicati all’argomento, ma è d’obbligo ricordare quelli di Franco di Tizio, forse il più importante studioso sul d’Annunzio abruzzese.
Imprescindibile lettura per Michetti fotografo è il libro di Marina Miraglia “Francesco Paolo Michetti fotografo”.