Frida e Vivian
Se si fossero incontrate non credo che si sarebbero piaciute: sempre sopra le righe ed eccessiva Frida, un’esistenza sempre all’ombra di altre vite Vivian, un’esplosione di colori contro una scala di grigi eppure… Parlo ovviamente di Frida Kahlo e Vivian Maier, due donne molto diverse e che forse non mi sarebbe mai venuto in mente di accostare, se non fosse che l’exhibition system odierno ne ha fatto l’emblema dello sfruttamento dell’immagine, uno sciacallaggio espositivo che non porta nulla di nuovo alla comprensione della loro opera e alle riflessioni che le loro vite possono stimolare. Non mi si fraintenda, ho visto mostre dedicate ad entrambe con grande piacere, ma quando, considerando solo il periodo fino al 2019, vengono dedicate quindici mostre in tre anni alla fotografa e dal 2014 almeno una all’anno, solo in Italia, alla pittrice, senza contare gli eventi dedicati e le operazioni commerciali, non può non venire il sospetto che si tratti di spremere queste due figure fintanto che funzionano. La mostra “Frida Kahlo. Il caos dentro” che aprirà nei prossimi giorni a Trieste è stata prima a Palermo (col titolo "Frida Kahlo. I colori dell’anima") quindi a Roma, Milano e Napoli e passerà in autunno a Torino. È sicuramente vero che l’opera di Maier è stata scoperta solo in tempi recenti e tutti vogliono vederla, ed è altrettanto vero che gli artisti latinoamericani non sono molto conosciuti in Europa e Kahlo dagli anni Ottanta in poi è diventata un simbolo, ma nessuna delle due avrebbe voluto essere il comodo veicolo di verità preconfezionate.
Ormai tutti conoscono queste due figure, o meglio tutti conoscono la versione pubblica con cui vengono presentate. Kahlo, nata nel 1907, fu una pittrice messicana di scarso successo in vita, ma nota per essere la moglie del famoso e ingombrante muralista Diego Rivera. Seppe operare una rielaborazione delle proprie sofferenze fisiche e del proprio vissuto tramite un’originale sintesi di pittura popolare, elementi delle originarie culture mesoamericane e suggestioni moderne. Per occhi europei Kaho è surrealista, ma per chi conosce gli apporti culturali alla base delle sue opere è evidente come lei rielabori l’arte popolare indigena e l’immaginario popolare coloniale come fonti identitarie, è surrealista solo nella misura in cui mette queste fonti al servizio del suo immaginario privato invece che di una causa politica come fu per i coevi muralisti messicani. Maier, nata a New York nel 1926, era una bambinaia di origine francese che visse molto ritirata e che per gran parte della sua vita si dedicò alla fotografia in modo privato con uno stile vicino alla street photography. L’enorme mole delle sue fotografie venne scoperta nel 2007, quando i suoi beni vennero messi in vendita per problemi economici, lei sarebbe morta poco meno di due anni dopo senza sapere nulla dell’interesse che la sua opera aveva cominciato a suscitare.
Frida e Vivian, così diverse, eppure così ossessionate dalla propria immagine, in cerca di un proprio posto nel mondo (e chiediamoci magari perché così tante artiste nella storia abbiano avuto tutto questo bisogno di autorappresentarsi, studiarsi, vedersi). Significativo il fatto che entrambe abbiano avuto un contatto molto precoce con l’immagine fotografica; più sostanziale quello di Frida tramite il padre, il fotografo Guillermo Kahlo Kaufmann; piuttosto fugace per Vivian, tramite la scultrice e fotografa Jeanne Bertrand, con cui lei e la madre condivisero un appartamento a New York nel 1930. Ma qual è il vero punto in comune che ha fatto sì che queste due figure così diverse venissero fagocitate dalle voraci divinità del marketing culturale? Non la loro opera, almeno non principalmente, bensì le loro vite che, in modi opposti, sono completamente fuori dal canone di quello che siamo abituati a considerare la normalità: sono diventate dei personaggi e noi dei voyeur che spiano dal buco della serratura. E se è vero che Kahlo stessa ha fatto di sé stessa un personaggio, o forse dovremmo dire un’opera d’arte totale, non è certo così per Maier che anzi, per motivi che sarà difficile indagare, complice il rapace smembramento del suo lascito, era una persona che aveva scelto di vivere la propria vita appartata, da osservatrice del mondo e di sé stessa e che non avrebbe apprezzato essere esposta al pubblico come un fenomeno.
Quanto ci piacciono gli outsider dell’arte: ci fanno sentire così speciali, come se il romanzo che abbiamo nel cassetto potesse diventare il capolavoro del nuovo secolo, e, allo stesso tempo, anche consolatoriamente normali, pronti a rimboccarci le coperte della nostra confortevole quotidianità.
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Queste figure sono state usate perché funzionali a inserire nel panorama culturale messaggi apparentemente in linea con il linguaggio del pubblico, ma le loro vite sono state appiattite su un’unica prospettiva, private della complessità e delle sfaccettature, così come delle contraddizioni che caratterizzano ciascuno di noi. Sono diventate dei monoliti, uno dipinto a fiori colorati, l’altro grigio con il cappellino, pronte per figurare sulle nostre mensole. Di Maier sappiamo troppo poco per poter dire cosa ne avrebbe pensato, quella che ci hanno presentato è sostanzialmente un collage di pezzi sparsi assemblati da uomini, ci resta però un’affermazione riportata dall’unica persona nota a cui lei abbia mostrato le sue fotografie: “Disse che se non avesse tenuto nascoste le sue foto, la gente gliele avrebbe rubate o ne avrebbe fatto cattivo uso.” Paranoia? Forse. Non si può dire però che alla fine abbia avuto del tutto torto. Certamente Kahlo avrebbe odiato la mercificazione che è stata fatta della sua figura che l’ha resa marchio di fabbrica, logo di facile identificazione, senza minimamente analizzare cosa rappresentino gli abiti da tehuana e gli elementi che componevano il suo stile pittorico e di vita, in un percorso che si può considerare di vera appropriazione culturale.
Gli algoritmi del marketing globale sono spesso di difficile decifrazione, certamente le figure di donne così forti, seppur in modo diverso, che testimoniano la presenza di correnti alternative rispetto alla storiografia canonica è un elemento utile per il mercato attuale; difficile dirsi però perché alcune diventino talmente iconiche da prevalere su molte altre che tuttavia meriterebbero di essere recuperate: alcune, come Tina Modotti, riescono a trovare una loro nicchia pur non raggiungendo i livelli di notorietà di Kahlo, altre come Nahui Olin, al secolo Carmen Mondragón, restano semisconosciute; altre ancora non sapremo nemmeno che siano mai esistite, e nella maggior parte dei casi non per loro scelta, ma perché inserite in un sistema che soffocava ogni aspirazione femminile. Sarebbe più utile a tutti dare un panorama più ampio possibile di tutte quelle figure che, messe da parte dalla storiografia ufficiale, pure svolsero ruoli non secondari nel mondo e invece restano l’amante di, la moglie di: macchiette erotiche buone giusto a ravvivare la narrazione.
Oggi che il concetto di mostre blockbuster è finalmente in fase di superamento (o così dovrebbe essere dato che la pandemia ci ha costretti a ripensare cosa significhi fare una mostra quando non puoi più contare sull’affollamento del pubblico), che stiamo rivalutando cosa significa intrattenere un rapporto proficuo con le collezioni permanenti e che è possibile mettere in relazione anche pezzi non presenti fisicamente all’interno di un’esposizione, dobbiamo anche deciderci a considerare che le mostre carrozzone trainate da un selvaggio marketing mediatico, che si limitano a sfruttare stereotipi di facile vendibilità non solo sono sempre state forme di sciacallaggio, ma non apportano neanche nessun accrescimento culturale, sono degli spettacoli i cui costi, ormai economicamente insostenibili, potrebbero essere meglio utilizzati in un’ottica di valorizzazione partecipata del patrimonio culturale. La cultura ha valore solo nella misura in cui le permettiamo di generare altra cultura, di stimolare riflessione. Allora chissà che un giorno Frida e Vivian non incontrino Emma, Juana, Ida e ci aiutino a guardare sotto una nuova luce il nostro inquieto presente, a comprenderci e comprendere.
Guida turistica | guida cicloturistica 🚲 | Tour Leader | GAE | "La miglior guida turistica del Friuli Venezia Giulia" (Anna'S Mum). Trovo e guido tour bellissimi.
2 anniChe meraviglioso articolo Silvia!