MARIA ELISA BOGLINO UN PERCORSO D’ARTE TRA COPENAGHEN, PALERMO E ROMA
I colori del Sud e quelli del Nord si amalgamano dentro l’anima di una donna, in un’alchimia miracolosa di segni e tonalità: nei disegni e negli oli di un’artista che nasce a Copenaghen, ma che trascorre la sua lunga vita, dopo il matrimonio a soli 22 anni, tra Palermo e Roma. Maria Elisa Boglino cresce in una famiglia dove il padre è cattolico e la madre protestante, fra l’immaginario e la filosofia d’oltralpe e i paesaggi e la cultura arabo-normanna del Sud. La sua mente e mano di pittrice, formatisi all’Accademia Reale danese, saranno in grado di rielaborare i tanti insegnamenti che le deriveranno dalla conoscenza dell’arte tedesca e di quella del Quattrocento e Cinquecento italiano, in particolare Masaccio, Luca Signorelli e Piero della Francesca. Il merito del libro recentemente pubblicato per le edizioni Kalos su Elisa M. Boglino, scritto dalla studiosa palermitana Anna Maria Ruta, che ha curato fra le tante mostre anche varie rassegne sull’arte femminile, ci conduce dentro la vita di questa artista, molto apprezzata dai suoi contemporanei, e soprattutto ne restituisce un profilo che concentra la sua l’originalità. Nel piccolo e prezioso volume compaiono anche i contributi del figlio dell’artista, Camillo e della nipote Sarah. L’energia che sprigionano le donne dei suoi quadri sembrano fare da contrasto fra il loro aspetto e quello di Elisa. Bellissima come è («Figuretta lieve di donna alta e smilza, dal profilo angelico e con due occhioni sorridenti e imbarazzati» la definirà Alberto Spaini), colpisce il regista Theodor Dreyer, in visita in Accademia alla ricerca di un volto per un suo film: la sceglie subito, ma Elisa non accetta, perché non vuole dedicarsi ad altro che alla pittura. Le parole scritte da Anna Maria Ruta introducono il personaggio della pittrice che lei ebbe modo di conoscere nella capitale. Ricordo quando la incontrai l’unica volta a Roma, in via del Babuino, in quella sua grande casa piena di quadri, distesa su un sommier, diafana nel volto, bianchi i capelli raccolti sulla nuca, lunghe e affusolate le mani da artista, che accompagnavano con garbo delicato le parole. Rammentava tutti i particolari del suo primo arrivo a Palermo con la madre, gli incontri, le esperienze umane, le cose che aveva fatto. Si rammaricava molto per quelle pareti affrescate con amore nella casa dei Boglino alla Rocca, distrutte dai drammatici eventi bellici posteriori. I volti degli uomini e delle donne dei suoi quadri sono contadini e operai, esseri umani affaticati dal duro lavoro che lascia poco spazio alla libertà dello spirito e al desiderio di bellezza. La materia di cui sono fatte le sue figure, nonostante le caratteristiche intrinseche di solidità e corposità, fuoriesce dal quadro e sembra farsi palpabile. Essa si plasma in volti e corpi afferrando la matrice umana che si è incagliata nel profondo del mondo contemporaneo. Grandi e nodose mani continuano a muoversi e trascinano i nostri occhi nel racconto della vita dei protagonisti delle sue opere. Compaiono madri e figlie vicine, ma al tempo stesso lontane nella trama dei loro pensieri, circondate da pochi oggetti che definiscono, nell’essenzialità delle scelte, una poetica ispirata quasi ad un rigore ascetico. Nel 1930 Il suo dipinto Madre e figlia, accettato con due disegni a seppia Cavalli e Polledri dalla Biennale di Venezia, ci consegna dei riferimenti precisi alla Sicilia, sia nei tratti fisionomici della madre, sia nei fichi d’india che compaiono sullo sfondo. Le parole di Pippo Rizzo, curatore di molte opere di artisti siciliani in Italia e all’estero, su Elisa Boglino, ci restituiscono un giudizio utile alla percezione delle qualità pittoriche di quest’artista. La caratteristica principale di questa pittrice di modernissimo temperamento consiste nel suo rifuggire dalla grossolana piacevolezza dell’Arte dolce-borghese. Aristocraticissima è infatti la sua pittura, pensata al classico modo dei maestri italiani dell’Umanesimo e adatta, si è detto, più che alle limitazioni della tela, al vasto spazio di superfici murali. E sapore di grandi affreschi hanno infatti le sue creazioni, nelle quali la drammaticità e l’umanità intensa sono stemperate da un nobile segno di lirismo e di misticismo. Elisa Boglino pensa, ordina, controlla, costruisce secondo un senso diciamo quasi architettonico, scevro però di freddezza, anzi ricco di vita e di umanità. Il leit motiv della grandezza dell’essere umano e al tempo stesso della fragilità che ne costituisce parte inscindibile, compare nel dipinto Le Alienate, un olio su tela del 1931, dove come scrive Anna Maria Ruta, queste infelici svelano nella sordida nudità del loro corpo anche quella delle loro vite senza senso. Elisa Maria Boglino, nata Maioli, assumerà il cognome del marito Giovanni, un giovane avvocato di Palermo, la cui famiglia di origini piemontesi annoverava molti studiosi e professionisti. Nella bella casa di Monreale, Elisa affresca una parete di 3 x 4 metri prima con la storia della Creazione, con molte figure di animali, e poi sopra di essa le Opere buone, purtroppo oggi andata distrutta a causa delle vicende belliche. Donna colta, ispirata al pensiero di Kierkegaard, divisa fra la teologia cattolica del padre e quella protestante della madre, ma capace di elaborare una sua idea del sacro che l’avvicinava molto al senso dell’umano che ricercava negli uomini e donne che incontrava, Boglino diventa un esempio di iconografie e di modelli anche per pittori famosi come Renato Guttuso, Lia Pasqualino Noto, Pina Calì e molti altri. La sua pittura religiosa sceglie come formato trittici e dittici, dove si svolgono scene tratte dalla Bibbia ed in particolare storie cristologiche. Fra di esse possiamo ricordare le Storie di San Giovanni in tre varianti e quelle più numerose del Buon Samaritano. E a proposito di questo soggetto mi sembra utile citare un piccolo brano tratto dagli scritti della Boglino: Come Morandi ordinava le sue bottiglie e le sue scodelle, nello stesso modo io dispongo il Samaritano, il suo cavallo e il ferito. Solo che Morandi faceva arte pura mentre la mia è un po’ contaminata dal sentimento […].Purtroppo ho spesso dato un peso eccessivo alla “espressione spirituale”. Anche nel viso del cavallo l’“espressione” ha avuto una parte troppo grande» La sua pittura rivaluta il soggetto, rompe con il linguaggio della perfezione e della bellezza per esprimere l’intima sofferenza dell’essere umano. Il suo sguardo osserva con un velo di malinconia che diventa commozione le carni dei suoi nudi femminili di giovani e anziane donne, disegnate e dipinte in pose che ne restituiscono l’autenticità e la verità. Un’attenzione che rileggiamo con sfumature ancora diverse nelle espressioni e nei movimenti dei piccoli, come in Bambina con bambola del 1932. Sempre in quello stesso anno l’artista vola a Berlino per una grande personale alla Galleria Gurlitt. Le parole di un critico tedesco stampate sul Kreutz Zeitung che si sofferma su alcuni particolari, come le mani, sono rivelatrici della capacità espressiva e al tempo stesso poetica di Elisa: esse hanno una vita piena di significato. Le mani dei bambini sono come foglie di castagno che si siano appena srotolate dal loro involucro: la vita non vi ha ancora scritto nulla. Le mani delle donne sono validi strumenti di lavoro, gentili quando abbracciano il bambino, stanche, come animali stanchi, quando conserte giacciono in grembo. Una coloritura tranquilla accompagna le forme forti, in cui la modestia sottintende la grandezza, la dialettica tra ragione ed emozione». Il successo dell’artista, nata il 7 maggio 1905 e durato nel corso della sua lunga vita, nonostante le interruzioni del suo operare dovuto a vicende personali, si conferma anche dopo la sua morte avvenuta nel 2002, nelle mostre recenti come quella itinerante del 2014- 2015: Artisti di Sicilia. Da Pirandello a Iudice, curata da Vittorio Sgarbi a Favignana, Palermo e Catania o come in quella del 2020: Novecento. Artisti di Sicilia. Da Pirandello a Guccione a Noto.
Patrizia Lazzarin
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