Gli investimenti esteri in Italia. Una sintetica analisi
Al 31/12/2021, secondo il 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato a dicembre 2022, la consistenza degli investimenti esteri in Italia si attesta sui 550 miliardi di euro, valore equivalente al 31% del PIL. Sempre nel 2021 il flusso degli investimenti diretti esteri in entrata è tornato positivo (+8,5 miliardi di euro), dopo una contrazione che era stata registrata nel 2020 (-24 miliardi). Il sistema produttivo nazionale orientato all’esportazione conta circa 53 mila imprese, pari al 23,2% di quelle con almeno 10 addetti. Le multinazionali presenti in Italia sono 15.779 e rappresentano il 7% delle oltre 227 mila aziende con almeno 10 addetti. Tali aziende, secondo quanto riportato da uno studio realizzato da Aspen Institute Italia nel 2019, sono presenti in una pluralità di settori, ma nel manifatturiero la loro presenza è particolarmente importante per la loro capacità di penetrazione sui mercati esteri, il contenuto tecnologico e la qualità delle posizioni di lavoro offerte. Le imprese estere sono concentrate soprattutto sulla meccanica e arricchiscono il range di produzioni del nostro Paese. Gli americani sono presenti soprattutto su chimica, farmaceutica, meccanica, così come i tedeschi. I francesi sono concentrati su moda e food. Gli investitori esteri nell’insediarsi nel nostro paese hanno scoperto anche i distretti industriali: nel 70% dei casi il loro ingresso è stato effettuato negli ultimi 30 anni, con punte dell’80% per francesi e tedeschi. L’ingresso delle multinazionali è stato, nel 30% dei casi, tramite un investimento greenfield e, per il restante 70%, via acquisizioni. Nei distretti la percentuale di greenfield è nettamente minore: il territorio offre infatti numerosi marchi da valorizzare. Le aziende estere in Italia hanno modalità di governance che prevedono un ruolo importante per il management locale: nella metà dei casi hanno una quota maggioritaria di amministratori e capi-azienda stranieri (soprattutto nel caso dei tedeschi) e per l’altra metà la quota maggioritaria è degli italiani. Nelle multinazionali la produttività del lavoro è nettamente superiore grazie soprattutto alle tecnologie apportate. Rilevante infine il contributo in termini di brevetti depositati all’Epo, con gli americani in posizione di leadership, ma con le multinazionali italiane in grado di difendersi bene. L’inserimento dell’Italia nei processi di integrazione economica globale si sviluppa anche attraverso il controllo di affiliate estere da parte di imprese italiane. Queste ultime (circa 25.000) realizzano all’estero un fatturato aggregato di 567 miliardi di euro (di cui poco meno di 50 miliardi in Italia) e occupano 1.800.000 addetti. Le multinazionali estere in Italia contano su un volume di fatturato pari a 624,2 miliardi di euro e impiegano oltre 1,5 milioni di addetti. La dimensione media risulta tendenzialmente superiore a quella delle multinazionali italiane (95,8 addetti contro 71,4), mentre il fatturato per addetto è pari a 413.000 euro, contro i 320.000 euro delle multinazionali italiane. La presenza di multinazionali estere ha numerose ricadute positive per il paese ospitante. Nel caso specifico dell’Italia: 1) arricchisce il portafoglio di settori di specializzazione del paese, soprattutto in direzione dei prodotti a maggior valore aggiunto; 2) favorisce la commercializzazione dei nostri prodotti sul mercato internazionale, soprattutto per le imprese di dimensione minore; 3) rivitalizza con nuove energie i nostri territori, tra cui i distretti; 4) accelera le performance del paese in campi dove vi sono criticità come la crescita del fatturato, la produttività, la R&S. Le imprese straniere hanno tuttavia numerose opportunità di insediamento e se reputano un contesto non più favorevole hanno meno vincoli delle imprese a capitale nazionale a disinvestire.