I SETTE PILASTRI FONDAMENTALI DELLA MINDFULNESS: 1. IL "NON GIUDIZIO" E LA STORIA DEL CONTADINO E DEL CAVALLO
“Se il tuo terreno è povero, cioè se il tuo impegno e l'energia che porti alla pratica della consapevolezza sono scarsi, ti sarà difficile coltivare calma e rilassamento con una certa continuità. Se il terreno è inquinato, cioè se cerchi di importi rilassamento o sei ansioso di ottenere dei risultati, non crescerà nulla e presto ti convincerai che per te la meditazione non funziona.”
Jon Kabat Zinn ©
I fondamenti della pratica della meditazione di consapevolezza (la mindfulness) sono essenzialmente sette. In questo breve articolo conosciamo il primo pilastro:
IL NON GIUDIZIO
La nostra mente è impegnata costantemente in un’attività giudicante che oscilla senza sosta tra giudizi negativi e positivi, tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato… è evidente che è molto difficile trovare, con una mente così irrequieta, uno stato di pace interiore.
Se vogliamo cambiare la nostra vita e iniziare ad applicare la meditazione è necessario assumere l’atteggiamento di "testimoni imparziali" nei confronti delle nostre esperienze. Coltivare la consapevolezza significa, in pratica, smettere di giudicare ciò che ci sta accadendo e semplicemente (anche se semplice non è) sperimentarlo e osservarlo.
Si può iniziare questo esperimento proprio nella pratica della meditazione, seduti in posizione meditativa con gli occhi chiusi, prendendo atto di questa attività giudicante ogni volta che si presenta (perché questa è la norma) e distaccarsi da essa, osservandola semplicemente, e assumendo l’atteggiamento del testimone.
E' impossibile, forse, non giudicare ma è possibile accorgersi di quando la mente lo sta facendo. Quindi quando ci accorgiamo che un giudizio si presenta, non cerchiamo di reprimerlo dicendoci "non devo giudicare" o sentendoci sbagliati perché lo stiamo facendo perché facendo così complicheremmo semplicemente le cose.
La pratica del non giudizio comporta una sospensione dei giudizi e la semplice osservazione di tutto ciò che si presenta nella mente, compresi i nostri pensieri giudicanti.
In definitiva questa qualità della conspevolezza comporta coltivare l'osservazione imparziale rispetto a qualsiasi esperienza vivivamo. In termini immaginali significa creare dentro di noi un guardiano, un archetipo, quello che in alcune tradizioni viene chiamato "il testimone" o "l'osservatore" che osserva, appunto, come la mente etichetta pensieri, emozioni e sensazioni come "buoni" o "cattivi", "giusti" o "sbagliati", limitandosi a prendere atto di questi pensieri, queste sensazioni e queste emozioni nel qui e ora.
Come ci insegna questa vecchia storiella zen è difficile con la mente comprendere cosa è giusto e cosa è sbagliato...
"C’era una volta, in un villaggio cinese, un vecchio contadino che viveva con suo figlio e un cavallo, che era la loro unica fonte di sostentamento.
Un giorno, il cavallo scappò lasciando l’uomo senza possibilità di lavorare la terra.
I suoi vicini accorsero da lui per mostrargli la loro solidarietà dicendosi dispiaciuti per l’accaduto.
Lui li ringraziò per la visita, ma domandò loro: “Come fate a sapere se ciò che mi è successo è un bene o un male per me? Chi lo sa!”
I vicini, perplessi dall’atteggiamento del vecchio contadino, andarono via.
Una settimana dopo, il cavallo ritornò alla stalla, accompagnato da una grande mandria di cavalli. Giunta la notizia agli abitanti del villaggio, questi tornarono a casa del contadino, congratulandosi con lui per la buona sorte.
“Prima avevi solo un cavallo ed ora ne hai molti, è una grande ricchezza. Che fortuna!”, dissero.
“Grazie per la visita e per la vostra solidarietà”, rispose lui, ma come fate a sapere che questo è un bene o un male per me?”
I vicini, ancora una volta rimasero sconcertati dalla risposta del vecchio contadino e se ne andarono via.
Qualche tempo dopo, il figlio del contadino, nel tentativo di addomesticare uno dei nuovi cavalli arrivati, cadde da cavallo rompendosi una gamba.
I vicini premurosi tornarono a far visita al contadino dimostrandosi molto dispiaciuti per la disgrazia.
L’uomo ringraziò per la visita e l’affetto di tutti e nuovamente domandò: “Come potete sapere se l’accaduto è una disgrazia per me? Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo.”
Ancora una volta la frase del vecchio contadino lasciò tutti stupefatti e senza parole se ne andarono increduli.
Trascorsero alcuni mesi ed il Giappone dichiarò guerra alla Cina. Il governo inviò i propri emissari in tutto il paese alla ricerca di giovani in buona salute da inviare al fronte in battaglia. Arrivarono al villaggio e reclutarono tutti i giovani, eccetto il figlio del contadino che aveva la gamba rotta.
Nessuno dei ragazzi ritornò vivo. Il figlio del contadino invece guarì e i cavalli furono venduti procurando una buona rendita.
Il saggio contadino passò a visitare i suoi vicini per consolarli ed aiutarli, come loro si erano mostrati solidali con lui in ogni situazione.
Ogni volta che qualcuno di loro si lamentava, il saggio contadino diceva: “Come sai se questo è un male?”. Se qualcuno si rallegrava troppo, gli domandava: “Come sai se questo è un bene?”
Gli uomini di quel villaggio capirono allora l’insegnamento del saggio contadino che li esortava a non esaltarsi e a non lasciarsi abbattere dagli eventi, accogliendo sempre ciò che è, consapevoli del fatto che – al di là del bene e del male – tutto potrebbe rivelarsi diverso da come appare."