IL GRANDE BLUFF
Molto presto ho iniziato a rispondere male agli uomini. Ai maschi, intendo. Ironica quando non sarcastica, pungente quando non dura.
Sentivo forte il peso di un patriarcato trasmesso inconsapevolmente ed incolpevolmente non solo per via materna, come le cellule staminali del cordone ombelicale, ma anche per una più ovvia via paterna.
Sono figlia di un femminismo da parte di madre che covava sotto la cenere di un’educazione che non mi sento di rimproverare perché espressione di quel tempo, e mi ritengo anche piuttosto fortunata nell’ aver avuto accesso a tutto quello che ho chiesto, seppure nella consapevolezza di essere “femmina” e quindi di dover, senza che nemmeno ci fosse bisogno di sottolinearlo, osservare delle regole non scritte, quelle che si tramandano di generazione in generazione come certe preghiere che ripeti senza capire cosa dicano. Si fa così, e tanto basta.
E allora, se in casa non ho mai sentito la necessità di ribellarmi perché di fatto nulla mi è stato negato per il solo fatto di essere donna, è altrettanto vero che percepivo la differenza tra generi nel resto del mondo, perché molto presto ho capito che quello che avveniva in casa mia non era universale. “La mappa non è il territorio” avrei letto da grande, ma il cuore mio lo sapeva da quando, bambina, ero l’unica a gareggiare nello slalom gigante, io unica pulcina femmina in mezzo a nove o dieci pulcini maschi, ogni anno in montagna per quattro anni. E ogni volta arrivavo prima. “Corre come i ragazzi” disse un maestro a mio padre. Che rispose, facendomi l’occhiolino “ No, corre meglio visto che vince”.
Non volli gareggiare più, mi aveva dato fastidio la frase del maestro come se le ragazze non potessero essere veloci.
Forse è stato allora che ho dichiarato guerra, per anni.
E anche oggi che vivo un femminismo apparentemente più morbido (più femminile vorrei dire se non fosse un pregiudizio questo della morbidezza delle donne) e cerco e apprezzo la presenza maschile costruttiva e concreta, mi urta sempre questo approccio.
“Dottoressa, guida come un uomo” mi ha detto l’altro giorno un tizio. “E come guidano gli uomini?, ho chiesto ridendo”
“Come lei”
Mi sono apparse in un flash tante facce di uomini che conosco, guidatori mediocri ma non per questo meno maschi. Facce di uomini cresciuti nell’equivoco di non dover chiedere mai, arrabbiati contro un mondo che non sempre ha permesso loro di esprimere emozioni, sentimenti, vulnerabilità.
La libertà di non amare i motori o di non saper guidare senza sentirsi inadeguati.
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La libertà di amare il colore rosa pur essendo eterosessuali.
La libertà di piangere per rabbia o dolore senza dover aspettare un funerale o un lutto per poterlo fare.
La libertà di guardare “Una mamma per amica” senza nascondersi.
La libertà di scegliere lettere classiche o scienze dell’educazione senza dover giustificare la non passione per le materie Stem.
Ho realizzato di essere adulta quando ho capito di essere dispiaciuta per questi uomini. Ho pensato a quale inganno ha attraversato le loro vite, vissute sotto l’egida di una mascolinità che oggi definiamo tossica ma prima era semplicemente la normalità e tanti di loro pur non riconoscendola si ritrovavano a doverla vivere e anche a farsela piacere.
Quanta frustrazione avremmo evitato ed eviteremmo rispettando la natura di ciascuno, senza incastrarlo in rassicuranti recinti, spesso elettrificati, dai quali non si riesce a scappare se non facendosi male?
Perché se il maschio era ingannato da questa idea di machismo, per le femmine non era diverso: crescere con questa figura mitologica di un uomo incrollabile, che non ama per definizione, o perché sembra male, o perché non lo sa fare, ha condizionato per anni il modo di vivere le relazioni, sbilanciate e non autentiche, vissute come sacrifici supremi, atti di immolazione tanto gravi quanto inutili.
Siamo in credito tutte e tutti con il patriarcato. Avanziamo secoli di tenerezza, di condivisione, di collaborazione per non parlare del dolore che avremmo evitato se qualcuno ci avesse detto che non era necessario essere “contro”.
È il momento di essere “con”.
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1 annoMi era scappata questa tua, cara Simonetta. Molto bella e molto vera. Oggi poi, dopo il triste epilogo della vicenda "Giulia e Filippo", si potrebbe pensare che l'ennesima tragedia e tante di queste tragedie, si sarebbero potute evitare solo con la consapevolezza maschile di non dover per forza vivere seguendo un cliché sterilmente tramandato.
ingegneria telecomunicazioni at Politecnico di Bari
1 annoCiao Simonetta, stupefacente sequenza di convinzioni... È un pregio leggerti... Un abbraccio
Consulente presso MMH home interni
1 annoVerissimo!
Vorwerk Italia
1 annoComplimenti ….mi hai fatto riflettere 🙏🏻💪🌹