LA LEADERSHIP FEMMINILE
Parlare di leadership femminile è già di per sé probabilmente dare voce ad un pregiudizio.
È riconoscere che esiste una modalità femminile di esercitare la leadership differente rispetto a quella maschile, nota a tutti e a tutte.
Già nel 1990 su Harvard Business Review si parlava di donne manager di seconda generazione che avevano successo nel mondo del lavoro, non adottando gli stili e le abitudini che avevano garantito i risultati agli uomini, ma percorrendo strade differenti e i cui successi erano ottenuti grazie (e non “a dispetto di”) a caratteristiche considerate “femminili” e inappropriate in un leader.
Condividere potere e informazioni, coinvolgere, ascoltare, lavorare a fianco di chi non è d’accordo, trasmettere entusiasmo, favorire momenti informali di incontro per stabilire relazioni…sono questi i comportamenti (o gli atteggiamenti?) agiti dalle donne manager, espressioni di quella che viene definita “interactive leadership” e che crea tra le persone lealtà, fiducia, rispetto, maggiore capacità di risolvere i problemi e comprendere il perché di alcune decisioni altrimenti difficili da giustificare.
Diciamo che fino agli anni ‘60 gli uomini e le donne ricevevano segnali differenti circa quello che ci si aspettava da loro. Alle donne si chiedeva che fossero mogli, madri, volontarie, insegnanti e infermiere e in tutti questi ruoli si supponeva che dovessero essere cooperative, di supporto, comprensive, gentili, che provvedessero a servire gli altri e che ricevessero soddisfazione dall’aiutare. Tutto con il sorriso sulle labbra, quindi. Da perfette angele del focolare. Mentre gli uomini dovevano apparire competitivi, forti, razionali, capaci di prendere decisioni e di tenere sotto controllo le situazioni, le donne si auspicava fossero portatrici di emozioni, di sostegno e vulnerabili.
Mi chiedo quanto di tutto questo sia cambiato e quali siano le aspettative che si hanno nei confronti delle donne alle quali ancora si chiedono (o si danno per scontate) qualità squisitamente femminili ed, evidentemente, di relazione.
Anche perché le donne che decidono di utilizzare la modalità di leadership mascolina subiscono una discriminazione: viene chiesto loro di essere (o quantomeno di comportarsi come se lo fossero) forti quando non aggressive per non apparire deboli e poco autorevoli, cosa che avviene quando si tende a trasmettere immagini troppo materne e comunque legate alla femminilità. Di contro quello stesso atteggiamento, in maniera subliminale suggerito, viene poi considerato “troppo” e diventa un motivo per essere attaccate.
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Se vogliamo dirla tutta però, anche scegliere di essere solo materne o dedite alla famiglia senza vestire i panni delle seduttrici, non viene considerato un plus per le leaders. Sarà in grado di gestire tutto?, ci si chiede fintamente preoccupati, in realtà solo spinti da interesse morboso per la sua vita privata (cosa in comune anche con i leaders maschi, ad onor del vero) e soprattutto in cerca di un pretesto per farla sostituire da qualcuno meno propenso al lavoro di cura familiare. O qualcuna alla quale viene chiesto di sacrificare la propria vita privata.
Siamo quindi ancora molto immersi (e immerse) nello stereotipo della leadership maschile, e sono altissime le aspettative nei confronti delle donne che devono fare molta più fatica e valere molto di più per essere solo prese in considerazione.
Per non dover essere per forza una lady di ferro di tatcheriana memoria, che viene celebrato come un ossimoro denunciando invece la discriminazione perché chi lo ha mai detto che una donna non possa essere di ferro? Dov’è esattamente l’ossimoro, se non rinchiuso nei delimitati confini del nostro pregiudizio?
Le stesse sbarre che qualcuno vorrebbe continuare a mantenere intorno alle donne nel momento stesso in cui si continua a parlare di modelli ai quali rifarsi. Catene di fiori magari, ma sempre catene sono quelle che costringono a non poter affermare se stesse in relazione ad una leadership sartoriale, tagliata su misura con un tessuto elasticizzato che si adatti alle contingenze ma sia sempre ben adeso alla propria pelle.
Non c’è modello se non quello legato all’etica, alla professionalità, alla credibilità, ai valori autentici. Portare la propria personalità nell’esercizio della leadership senza rifarsi a esempi, nella libertà di fare, di sperimentare, di agire, di sbagliare, di cambiare idea, di riprovare, di non dover temere giudizi e strali.
È a tutto questo che dobbiamo puntare e non c’è gender che tenga.
oggi Attivista, ieri Imprenditrice SanitàDigitale | InspiringFifty | InclusioneDonna | Soroptimist | 100DonneperTutte | PASocial | DonneProtagonisteinSanità | CDTIRoma | RestartHerAcademia | SideBySide | ASSD | AISDET |
1 annoSimonetta bella, quanta verità detta così semplicemente e direttamente. Tutti i giorni, un articolo così, è la miglior medicina per tanti! (nessun riferimento alla farmacia...) 💝
Consulente HR per il cambiamento e per la trasformazione dei conflitti | Dialoghi Intergenerazionali | Integrazione e Sviluppo Team | Passaggi Generazionali | Rubrica "Donne Pioniere"
1 annoBravissima Simonetta. 👏👏
Farmacista presso FARMACIA
1 annoFantastica come sempre 👏
Presidente Associazione Farmaciste Insieme.L'Associazione è presente in molti progetti tra cui il Progetto Mimosa dedicato alle donne vittime di violenza
1 annoTi leggo ora... Quante verità... Brava Simo...
Ottima riflessione, bravissima, condivido.