Il mio errore per Natale

Il mio errore per Natale

Adesso che ci ripenso, mi crea ancora disagio.

Quando mia figlia si è zittita e ha chiuso la porta andandosene dal mio studio era mortificata.

Erano giorni particolari, un po’ come in questo periodo natalizio; erano le 19,30 di venerdì, avevo appena finito una Skype con un altro manager e un Private banker del mio gruppo per discutere di affari urgenti, durante il giorno mail in arrivo e telefonate…tante!

Chi sta leggendo, sa di cosa parlo; quindi non mi dilungherò oltre.

Mia figlia era entrata nella mia stanza per comunicarmi ... qualcosa. I puntini di sospensione sono voluti: io non ricordo davvero di che cosa stesse parlando, che cosa volesse dirmi, non ricordo che espressioni avesse usato: nulla.

Ricordo solo di aver sollevato lo sguardo e di averle detto con fermezza: “Scusami, adesso no, ne parliamo dopo”. Lei, 2 passi indietro, sguardo basso, si è allontanata. A cena ci siamo visti e mi sono scusato per aver risposto in maniera così brusca e soprattutto per non averla ascoltata.

Ho sbagliato.

Nonostante mi ponga con tutti maniera gentile e rispettosa, nonostante io cerchi di essere attento agli altri, quel giorno non lo sono stato e questo è un errore che una persona con una lunga esperienza manageriale non deve commettere.

Per qualcuno potrà sembrare eccessivo da parte mia provare ancora oggi un po' di disagio ma adesso vi spiego perché è stato così importante quel frame.

Ascoltare chi sta accanto a noi e farlo in maniera dettagliata assicurandoci di aver recepito in pieno il messaggio innesca un circolo virtuoso di azioni; crea un rapporto di stima e credibilità e stimola l’apertura verso l’altro.

Le persone che si sentono capite sono più propense, a loro volta, ad ascoltare gli altri.

Mi ha stupito il dato di una ricerca sull’ascolto: il 75% del tempo, durante una giornata di lavoro, è dedicato alla comunicazione verbale di cui il 30% parlando e il 45% ascoltando.

Tuttavia, di questa percentuale solo la metà è realmente dedicata alla ricezione e all’apprendimento (mi perdonerete ma non sono riuscito a trovare la fonte della ricerca). Questo significa che metà del tempo in cui dovremmo trascorrere ad ascoltare l’altro o fingiamo, o, come ho fatto io, ignoriamo apertamente di volerlo farlo.

Qual è la conseguenza?

Rottura, sfiducia, chiusura e proprio noi che quotidianamente applichiamo la cultura dell’ascolto del cliente rischiamo di dimenticarcene quando si tratta dei nostri affetti o del nostro gruppo di lavoro.

Avrei potuto dirle a di entrare e accomodarsi: ma non era quello il momento giusto. Non sarei stato pronto all’ascolto e non avrei reso lei davvero ascoltabile: Non basta lasciare una porta aperta perché l’invitato entri per dirla con le parole di Megan Reitz docente di dialogo e Leadership alla Hult International Business School.

Bisogna prepararsi ad accogliere l’altro solo così potremo ascoltarlo.

Non è facile, assolutamente ma richiede allenamento.

Ascoltare l’altro significa innanzitutto spogliarsi delle etichette: il pre-giudizio agevola l’interpretazione ma non la conoscenza delle cose.

Ad esempio nel modo professionale se a parlarci è una figura junior è probabile che valuteremo il contenuto delle sue parole secondo la logica: “è alla sua prima esperienza professionale, chissà che cosa lo ha spaventato, avrà sicuramente sbagliato qualcosa”. Questo stesso esempio lo si potrebbe ribaltare con una figura di riferimento o apicale: è chiaro che laddove ci sono delle gerarchie, saranno di più le etichette e i titoli a guidarci nella comprensione e questo potrebbe essere fuorviante nell’ascolto.

Sospendiamo il giudizio verso l’altro.

Proviamo anche a rompere la bolla nella quale viviamo: ascoltiamo chi la pensa diversamente da noi, ascoltiamo altre e nuove persone al di fuori di quelle che consultiamo abitualmente. Se ci confrontiamo sempre con i soliti colleghi, potremmo correre il rischio di non conoscere altri punti di vista che potrebbero arricchire la nostra esperienza.

Tu che cosa ne pensi?

Nell’ascolto è importante fare domande: in questo mondo che ci vorrebbe proattivi, concreti e sul pezzo, evitiamo di chiedere perché temiamo di non essere pragmatici e portatori di soluzioni. E se invece provassimo a fermarci per riflettere: quante domande di qualità potremmo ricavare?

Poni(ti) il dubbio.

Ascoltare significa anche osservare: l’impatto comunicativo è basato solo per il 7% dalle parole usate, per il 38% dal tono della voce e per il 55% dai movimenti del corpo. Certamente dobbiamo ascoltare con le orecchie, ma sono gli occhi che devono aiutarci a decodificare tutti i messaggi impliciti che il nostro interlocutore ci invia.

Accogli con lo sguardo.

Quante cose avrei rischiato di perdere o compromettere se al posto di una delle mie figlie (con cui ho costruito un rapporto aperto e profondo) in quell’occasione ci fosse stato un collega, e quante ancora ne potrei perdere.

Ma è solo grazie agli errori che si ha la possibilità di riflettere sui propri comportamenti; è così che avviene il cambiamento.

Buon Natale a tutti voi

Riccardo Miazzo

Angela Balsamo

Regional Manager and Recruiter presso Sanpaoloinvest

1 anno

Stupenda analisi che faccio mia e su cui riflettere!

Rolf Trevisan

Avvocato Partner Associato Studio Legale Associato Avv. Campoccia

1 anno

Grande Riccardo! Complimenti

Piero Correnti

📌 Alleno Imprenditori e Manager attraverso Strategie di Business Coaching e di Marketing Relazionale per attrarre il Cliente Ideale 🚀 Sviluppo e Potenzio le Risorse dell'Essere Umano con Percorsi di Formazione Avanzata

1 anno

Caro Riccardo il tuo articolo è un dono interessante e ricco di spunti. Il riferimento all’importanza del para verbale, citando le percentuali del prof. Mehrabian, è importante intendenderlo in modo meno puntuale. Lo stesso professore e psicologo statunitense ha in più occasioni e anche in uno dei suoi libri, ribadito che quell’interpretazione della comunicazione degli anni ‘60 è stata abusata e interpretata in maniera semplicistica e come tale divulgata. La parola è la prima forma di magia con cui creiamo le nostre realtà e ci sono volte in cui, solo poche lettere, come un semplice SI o un NO valgono il 100% di quello che vogliamo comunicare.

Paolo Schiatti

Regional Manager Senior presso Sanpaolo Invest SIM S.p.A.

1 anno

L' errore ci mostra che non siamo perfetti ma umani. E l'intelligenza e la sensibilità di riconoscere un errore ci ha già resi migliori. Buon Natale caro Riccardo, con vera stima.

Federica Riva

Founder UAHUU - Digital Agency; Social Media Strategist; Start-upper funzione comunicazione

1 anno

Grazie Riccardo Miazzo per la condivisione del tuo errore che, conoscendoti, rappresenta l'eccezione anziché la regola. Sei una persona attenta ed accogliente capace di un ascolto empatico e partecipativo. Sicuramente un piacere lavorare con te ed, ancor più, esserti amica. Ti regalo anch'io un mio errore per Natale: avere l'ossessione del tempo anziché considerarlo un alleato. Ne parleremo. Check out. Sereno Natale.

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