IL POSTO FISSO E' SEMPRE STATO UNA BUGIA
Ho fatto il mio ingresso nel mondo del lavoro in un periodo in cui il contratto a tempo indeterminato era la prassi.
Esisteva il contratto di collaborazione coordinata continuativa, poi diventato contratto a progetto, ma io di quel contratto sapevo solo che esisteva. Nessuno mi ha mai detto "partiamo da qua, poi si vede".
Al mio primo colloquio vero mi hanno detto "mi dica quando vuole cominciare". Ed è successo anche al secondo. Quando me l'hanno detto al terzo ho pensato "ma allora è facile". Quando - immersa nella bolla di internet degli anni 2000 - ho triplicato il mio stipendio da un mese all'altro non ho realizzato bene cosa fosse successo. Sapevo solo che guadagnavo bene e che al lavoro mi divertivo.
Orario flessibile, pienamente in linea con la mia più consolidata convinzione che "bisogna lavorare quando c'è l'ispirazione, mica quando lo decide il mondo". Io e il mio amico Andrea iniziavamo all'ora di pranzo e staccavamo alle 5 di mattina. Eravamo io e lui, lui e io, io e lui. A sviluppare quel videogioco che stava iniziando a diffondere la navigazione in internet nei locali pubblici. Erano anni in cui Skype non esisteva, il Mac era una cosa per grafici, e in giro c'era Windows ME. Chissà chi se lo ricorda Windows Me, che quando ci penso mi viene in mente la parola "meteora". Cioè, mi viene in mente che allora guardavo ancora la televisione e c'era quel programma divertente che raccontava di quei personaggi famosi scomparsi dall'universo dorato dei VIPs, come Sandy Marton. Era simpatico Sandy Marton.
Poi la bolla di internet è scoppiata. E quell'azienda che mi pagava così bene è entrata in difficoltà, al punto da coinvolgerci tutti in una riflessione ampia e articolata sul suo futuro. Troppo ampia, e troppo articolata, per una ragazzina che di fatto si era trovata senza troppi complimenti a raggiungere lo stipendio di un dirigente a pochi anni dal suo debutto nel mondo del business. Troppo ampia, e troppo articolata, così da portarmi a decidere di cambiare aria. Dritta in una nuova società. Più sicura. Più strutturata. Più vicina a quell'ideale che all'epoca era - diciamo così - realtà che ancora oggi chiamiamo "posto fisso".
Non me n'ero resa conto allora. E ci ho messo anni a realizzare.
Ma è stato lì che ho capito che al lavoro o ci metti del tuo in modo importante oppure lo stipendio a un certo punto potrebbe non arrivare più. Lì ho capito che non è che tutto è dovuto. Che non è che perchè c'è scritto sul contratto che il contratto non scade mai che lo stipendio arriva puntuale ogni dieci del mese. E' lì che mi sono resa conto che io il mio futuro non lo potevo lasciare in mano alle decisioni di qualcun altro, lo dovevo costruire da me.
Ma lì - soprattutto - ho capito quanto fosse effimero e superficiale il concetto di "posto fisso". Questa utopia rincorsa e falsamente raggiunta per tanto tempo. Questa dimensione frutto esclusivo del benessere e dell'abbondanza che ci ha convinto per decenni che possiamo non preoccuparci. Possiamo svegliarci la mattina e fare il nostro piccolo compito. Possiamo staccare alle 18 e poi - si, insomma - c'è la vita.
Lo so che sembra un discorso da imprenditore. Di quelli più radicati, e ottusi. Ma io non sono uno di quegli imprenditori là. Uno di quegli stereotipi che te li immagini seduti nel loro macchinone nuovo a godere del benessere prodotto dalla classe operaia e chissenefrega se loro devono stare davanti al tornio tutto il giorno.
Io quando ho iniziato c'eravamo solo io e il mio socio Lorenzo, non avevamo neanche le sedie. E quando poi abbiamo assunto Laura, la nostra prima dipendente con un bel contratto a tempo indeterminato, ho pensato che quel contratto era un bell'impegno. E che le maniche c'era da tirarle ancora più su. Quei 20 cedolini che sono arrivati di colpo pochi mesi dopo quando da incosciente ho acquisto le quote di un'azienda che faceva più debiti che fatturato non sono stati un boccone facile da mandare giù. Sono costati - come dire - qualche ora di sonno.
Oggi mi guardo in giro e vedo stage, contratti a progetto in via di estinzione, tutele crescenti, articolo 15 che mi sono anche rifiutata di capire bene cos'è, contratti a tempo determinato, collaborazioni occasionali, voucher e non ho idea di cos'altro ci proporrà quel signore pelato che tutti chiamiamo *legislatore* per offrire alle persone e alle aziende spazi di discussione che distolgono l'attenzione dal vero problema, e cioè che tutto costa così tanto da diventare insostenibile.
Ma che dall'altra parte ci insegnano che di sicuro, nel lavoro, non c'è niente.
Che di sicuro, nella vita, non c'è niente.
Che ogni giorno è una sfida. Che un cliente nuovo è sempre prezioso. E che tenersi un cliente acquisito è ancora più prezioso. Che se un pagamento non arriva i soldi non cadono dal cielo: semplicemente non ci sono e quindi bisogna *scegliere* chi si paga e chi deve aspettare. Che non c'è livello dell'organizzazione che può evitare di preoccuparsi, se queste cose non funzionano. Che un'azienda funziona se ogni suo ingranaggio fa il suo dovere, altrimenti il rischio che le cose smettano di funzionare è reale ed è reale per tutti.
Che il posto fisso c'era solo perchè di lavoro in giro ce n'era tanto, ma che di fatto non è mai esistito.
Che poi alla fine cosa c'è di diverso di quello che succede nella vita. Ma anche lì, troppe volte, preferiamo credere che non sia così.
www.deboraoliosi.it
Investor Relations | M&A | Strategy
9 anniL'impresa eterna non esiste, e quelle che durano nel tempo lo fanno perchè cambiano: strategie, modelli di business, tecnologie, strumenti... e anche persone. Il posto fisso è un concetto che esprime chiusura verso il futuro e chi si chiude ha già perso in partenza.
Responsabile Servizi Generali
9 anninon sarebbe tutto più semplice se si cominciasse a rivalutare il termine "risorse" umane come squadra che condivide gli obiettivi e rema per il loro raggiungimento?? la sensazione è che nella globalizzazione si parli sempre più di numeri e sempre meno di umanità. Il mercato prima che dai numeri è fatto dalle persone. Chi porta i risultati sono le persone con i loro pregi, i loro difetti, le loro peculiarità. La riprova di ciò sta nel fatto che nel momento in cui ti trovi ad essere in difficoltà per motivi non legati all'attività che stai svolgendo i numeri, gli obiettivi, i risultati scalano di priorità. Comunque grazie un articolo bello che porta a riflettere su chi siamo.
gestione delle crisi e ristrutturazioni, CFO Mentor, internazionalizzazione, M&A, fractional e temporary officer
9 anniho la fortuna di lavorare per imprenditori che mi stimolano ogni giorno ad essere molto di più che un dipendente. teoricamente ho un contratto da dipendente, in pratica mi sento e mi fanno sentire uno dei membri di un drakkar, la nave da assalto dei vichinghi dove lo spirito di squadra in azione era fondamentale, uno in meno ai remi era meno sopravvivenza e successo per tutti.
General Manager presso BAOBAB COMMUNICATION
9 anniDebora, difficilmente leggo post lunghi ma il tuo me lo sono gustato fino alla fine... bello veramente ... ma soprattutto condivido
Consulente di formazione e di sviluppo organizzativo
9 anniArticolo stimolante e ben scritto: riprende temi che è sempre bene riprendere, perché insiste sulla necessità di avere un atteggiamento che anch'io, da decenni, ho cercato di diffondere nella aule di formazione: ripetendo che nella vita, e sul lavoro, "siamo nel film, non al cinema". Detto (e non dimenticato) questo, va anche aggiunto che non tutti, contrariamente a certa moda corrente, possono (o peggio: 'debbono') diventare imprenditori. Non confondiamo 'la' realtà con il 'pezzo' di realtà che ci tocca. E, soprattutto, con la nostra specifica esperienza, spesso privilegiata perché ci è stato possibile realizzarla in quanto privilegiati. In Italia, nelle poche fabbriche che non se ne sono andate all'estero o non sono state distrutte dal finanzismo rampante, esistono ancora centinaia di migliaia di 'catenari': gente cioè che lavora in contesti di 'interdipendenza sequenziale', per dirla in sociologese forbito, alias alla 'catena'. Per non contare le tantissime situazioni in cui la 'catena' non si vede ma c'è e costringe ad un lavoro totalmente eterodiretto, come accade in molti reparti impiegatizi, o in tanti 'call center', o in tante strutture operative, anche del terziario, invase dai 'mcjob' (qualche studioso d'oltreoceano ha scritto, anni fa, di 'macdonaldizzazione' come nuova forma di taylorismo...). Lì c'è poco da essere imprenditori. E lì, forse, l'aspirazione al posto fisso, con la conseguente 'pretesa' di un lavoro dipendente possibilmente non a ore o a giornata, non va demonizzata. Se mai occorrerebbe spingere a fare cambiamento organizzativo: quello vero, però. Che incide sulla organizzazione del lavoro, e non immagina, comodamente e manipolativamente, di lanciare soltanto corsi sulla gestione dello stress. Qualche volta (parlo in generale: nessun riferimento all'autrice di questo scritto, che anzi mi ha positivamente 'pro-vocato') sarebbe utile che allargassimo lo sguardo. Oltre il nostro piccolo mondo di consulentini e managerini.