Immersa in ciò che faccio
Per molti anni (di sicuro negli ultimi 15) mi sono chiesta se fossi o meno sulla strada giusta.
Non quotidianamente certo, direi più a momenti alterni, ma in modo costante e con modalità abbastanza maleducate qualche volta, lo ammetto.
"Sto facendo un lavoro che è effettivamente in linea con le mie capacità, con le mie competenze e con le mie aspirazioni?"
"Questa direzione mi condurrà a chi voglio essere?"
"Questo percorso porta o no significato alla mia vita?"
"E se stessi sprecando il mio tempo su cose minori invece che investirlo su ciò che è importante?"
In modo ciclico & con risultati alternanti.
Qualche volta mi davo delle risposte positive e allora, via, avanti così allegra e piena di energia!
In altri periodi le risposte erano negative, mi accorgevo che mi stavo dedicando a attività di poco conto, a piccoli traguardi che non mi avrebbero portata lontano e allora (con quel senso di colpa e con quel costante bisogno di validazione) facevo cambiamenti, tagli, cercavo nuovi progetti.
Il tutto, però, senza accorgermi che, mese dopo mese, la mia idea di significato, di importante, di lontano cambiava continuamente. In 15 anni credo di aver avuto almeno 15 sogni diversi riguardo a ciò che volevo diventare.
E, non solo, il tutto senza sapere (ancora!) quanto la mia mente fosse incline (e anche un po’ addicted) a tuffarsi in questi momenti di rimuginio, riflessione ciclica, loop, ruminazione mentale, ripetizione di pensieri.
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La #15JobsChallenge è nata così, in un momento in cui mio sono detta che sguazzavo troppo nella mia comfort zone e che avrei dovuto mettermi più in difficoltà.
E ora me ne rendo conto: quelle domande, quella mia costante ricerca di risposte e obiettivi coerenti & ordinati non facevano altro che alimentare una sorta di ansia che, paradossalmente, rendeva ancora più difficile discriminare i risultati o scegliere a cosa dedicarmi.
Ero intrappolata nel labirinto della riflessione.
La challenge è stata una svolta in questo senso: mi ha dato come l’occasione di “mettere a tacere" - assecondandola - la mia parte analitica/riflessiva (quella che mi voleva assolutamente in difficoltà, alla ricerca di significato) e mi ha lasciata finalmente libera di lavorare con impegno e dedizione e concentrazione ai diversi lavori senza l’ansia di sapere sempre se mi stessi valorizzando al massimo oppure no.
E proprio nel lavoro, nell’immergermi completamente in ciò che facevo, mi sono accorta che il massimo della mia soddisfazione deriva dal #fare e non dal #pensare o #sapere se sto facendo bene.
In questi mesi mi sono divertita tanto, e più di tutto in certi momenti in cui, sinceramente no, non stavo mettendo a frutto tutte le mie abilità cognitive e mentali.
Ed è una notizia importante per me.
È l’immersione la mia risposta.
L'immersione totale nelle azioni quotidiane senza il peso delle domande senza fine.