Imparare a litigare bene

Imparare a litigare bene

La coppia è formata da tre elementi: “io”, “tu” e “noi”, che stanno in relazione sistemica tra loro.

Ciò vuol dire che quando uno dei tre elementi subisce un cambiamento, tutto il sistema tende a cambiare. Le spinte al cambiamento e all’adattamento sono continue e naturali. Se per valutare lo stato di benessere della coppia ragioniamo in termini di stabilità, come immutabilità della relazione, saremmo destinati alla frustrazione e all’infelicità. Il nostro comportamento sarà orientato dal passato, e le nostre azioni tenderanno a ricercare situazioni già conosciute, non consentendo al sistema di riadattarsi alle nuove esigenze.

Per vivere una vita di coppia felice e soddisfacente sarà necessario mettere a punto strategie dinamiche e adattive, utili a operare un aggiustamento continuo.

Generalmente quando una coppia mi chiede sostegno uno degli obiettivi ricorrenti è quello di imparare a litigare bene.

L’aggressività è un dato imprescindibile della natura umana, che gioca un peso importante in un rapporto molto stretto come quello tra due persone che decidono di vivere stabilmente sotto lo stesso tetto. Imparare a litigare bene vuol dire prendere atto che il conflitto sia connaturato alle relazioni tra esseri umani, eliminarlo e reprimerlo vuol dire divorziare emozionalmente dall’altro.

Quando si verifica circolarità di azione, o risposta, relazionale tra i partner si ha una retroazione o un feedback.

Vediamo insieme quali sono gli errori più ricorrenti nella relazione di coppia.

La profezia che si autoavvera: talvolta ci mettiamo in testa qualcosa di cui cerchiamo conferma, ed è proprio il nostro comportamento di ricerca, di questa conferma, che tende a generarla. Ci relazioneremo all’altro in base alla nostra convinzione. Un comportamento del genere tenderà nel tempo a creare omeostasi o resistenza al cambiamento.

Incongruenza tra il contenuto del messaggio (ciò che diciamo) e l’atteggiamento dell’emittente (ciò che comunichiamo con il corpo e con la comunicazione paraverbale): Un esempio tipico è l’atteggiamento di chi è visivamente infastidito, e alla nostra domanda “cos’hai?”, risponde:” niente!”.

Generalizzazioni: ti capita ad esempio di dire, o sentire, spesso locuzioni come “mai”; “sempre”; “ogni volta”; “Nessuno mai mi rispetta”; “è sempre in disordine”; “nessuno mi ama”; “non mi chiedi mai cosa voglio”.

Egocentrismo della comunicazione: credere e ritenere di sapere sempre cosa l’altro pensa, oppure ritenere che l’altro debba comprenderci e soddisfare le nostre esigenze a prescindere da una richiesta esplicita. Solitamente, in questo tipo di disfunzione sono ricorrenti affermazioni come: “so cosa provi”; “non puoi sentirti così”; “sai benissimo cosa voglio dire”.

Perché un rapporto di coppia funzioni è necessario che all’invio di un messaggio disfunzionale, si risponda con una richiesta di chiarimento; a sua volta chi ha inviato il messaggio disfunzionale dovrà cercare di renderlo più chiaro e comprensibile.

Se ti capita di sentirti dire, o dire al tuo partner, delle affermazioni simili a quelle sopra riportate, o se vi ritrovate spesso a discutere delle solite cose, importanti per l’uno e insignificanti per l’altro. Se per banalità esplodono conflitti atavici e drammi passati; se proprio non riesci a far comprendere il tuo punto di vista all’altro: potrebbe essere opportuno rivolgersi a un professionista.

Comunicare è una competenza propria degli esseri umani, che può essere allenata e rafforzata, e io posso aiutarti a imparare a “litigare bene”!

Ecco le “regole” di un litigio innocuo e produttivo, di Bach e Wyden contenute in un testo del 1969, edito da Longanesi & Co. “Amore e lotta”:

1. Determinare l’oggetto della controversia: per cosa stiamo litigando;

2. Limitare l’oggetto della controversia;

3. Non interrompere chi accusa;

4. Non rispondere a un’accusa con un’altra accusa;

5. Concordare il luogo e il tempo;

6. Evitare di fare ricorso al “museo della coppia”: concentrarsi sul presente;

7. Tenere le distanze fisiche;

8. Rimanere entro la soglia di vulnerabilità dell’altro;

9. Riconoscere le proprie responsabilità nel litigio.




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