IO, LAVORO | La storia di Arturo, Cap. 14
“Ancora 5 minuti”
Quella mattina il suono della sveglia sembrava più fastidioso del solito. Forse perché, per la terza volta quella settimana, l’avevo ignorata, cullato dall’illusione di poter strappare altri cinque minuti di sonno. Una scelta, questa, che avrebbe portato le sue inevitabili conseguenze.
Mi sveglio di soprassalto, il sole già alto nel cielo, e la consapevolezza del disastro imminente mi colpisce come un pugno allo stomaco.
“Ma cazzo Arturo, è da quando eri piccolo che rimandi la sveglia...Non l’hai ancora capito??Mi sembri cretino” - puntualissima mia madre a spronarmi come nemmeno il migliore dei mental coach, mentre mi dà il messaggio del buongiorno.
Ora la scelta è strategica:
Sappiamo già tutti la risposta:
Via di corsa, la mia routine mattutina diventa un caotico balletto di movimenti frenetici. Mi infilo i vestiti alla rinfusa, dimenticando persino di abbottonare la camicia correttamente. Mi lavo i denti mentre con l’altra mano cerco di sistemare i capelli in un'acconciatura vagamente accettabile. Colazione? va beh, un biscotto in ufficio di un pacchetto comprato e aperto qualche giorno fa e un ottimo caffè della macchinetta…
Alle 8:55 sono fuori di casa, ma il mio autobus delle 8:30 è ormai un lontano ricordo. Corro alla fermata con la speranza di un miracolo, pregando che un altro autobus si materializzi davanti a me. Ovviamente, non succede. Finisco per prendere il primo taxi che vedo, pregando che il traffico di Milano non si riveli il solito incubo.
Durante il tragitto, le mani tremano mentre mando un messaggio a Cinzia, la responsabile del personale, cercando di spiegare il mio ritardo con una bugia pietosa: "Traffico infernale, arrivo il prima possibile!". Mentire non è il massimo, lo so, ma che alternativa ho? Il tassista mi lancia un’occhiata di compassione nello specchietto, probabilmente vedendo il mio volto bianco come un lenzuolo e la mia fronte imperlata di sudore.
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Mentre ero in macchina pensavo a quelli che arrivano sempre puntuali. Ma qual è il loro problema? Come si sentono quando arrivano e aspettano? Ma soprattutto…Come diavolo fanno?
Arrivo in ufficio alle 9:25, venticinque minuti di ritardo, che nel mondo aziendale equivale a un'eternità. Entro di corsa, cercando di evitare gli sguardi inquisitori dei colleghi, mentre la mia mente cerca disperatamente di ricordare se avevo qualche riunione importante in programma. Eccola lì, la mail di Cinzia: "Meeting con il capo alle 9:00. Non mancare!". Perfetto, la ciliegina sulla torta.
Mi presento al meeting con l’aria di chi ha corso una maratona. Il capo mi guarda da sopra gli occhiali, il silenzio nella stanza è assordante. Cerco di balbettare qualche scusa, ma so che non sarà sufficiente e allora altra scelta strategica:
Sappiamo già tutti la risposta
“ Buongiorno a tutti, scusatemi trovato traffico in ascensore e il mio cane ha mangiato il quaderno mentre uscivo da casa…”
Lo sguardo di disprezzo che mi hanno rivolto non lo scorderò tanto facilmente
La lezione è chiara: il ritardo è il nemico numero uno della professionalità. Prometto a me stesso che, d’ora in poi, metterò tre sveglie e forse escogiterò altri modi per assicurarmi di non ripetere questo disastro.
Perché, in fondo, il lavoro è anche una questione di rispetto: per sé stessi, per i colleghi e per quel dannato orologio che non aspetta nessuno, ma nulla nella vita di una persona è più bello di quella frase, quella maledetta bugia che ci ripetiamo:
“Ancora 5 minuti”