La libertà non è un algoritmo libero, libertà è relazione.

La libertà non è un algoritmo libero, libertà è relazione.

di Andrea Cerrato - C’era una volta Giorgio Gaber che, con il suo inno “La libertà è partecipazione”, ci ricordava come la vera libertà fosse intrecciata con il senso di comunità, di appartenenza, di essere parte di qualcosa di più grande. Cinquant’anni dopo, quella frase risuona di nuovo, è la colonna sonora della nuova campagna di Autostrade per l'Italia, ma il contesto è cambiato profondamente.

Oggi, in un mondo dominato dagli algoritmi e dalla tecnologia, potremmo reinterpretare il messaggio così: “La libertà non è un algoritmo libero, libertà è relazione”.

Negli anni ’70, Gaber parlava a una società che cercava il suo equilibrio tra individualismo e collettività, tra il desiderio di emancipazione personale e la costruzione di una democrazia partecipata. Oggi ci troviamo in una società altrettanto complessa, ma diversa. Viviamo immersi in un mondo digitale che ci promette spazi infiniti di libertà: dalla possibilità di esprimere un’opinione sui social a quella di accedere a ogni tipo di informazione.

Ma quanto di questa libertà è reale?

Un algoritmo decide cosa vediamo, quali contenuti consumiamo e perfino con chi ci relazioniamo. La personalizzazione che tanto ci affascina diventa un recinto invisibile che ci isola in bolle di opinioni e gusti simili ai nostri. La “libertà” digitale rischia di essere una gabbia dorata, dove la partecipazione si riduce a un like o a un commento, mentre il senso di relazione autentica, di confronto umano, si affievolisce.

E l’economia? Anche qui la trasformazione è profonda. I mercati si muovono con logiche guidate dall’intelligenza artificiale, mentre la produttività sembra sempre più svincolata dal valore umano. Tuttavia, il valore autentico emerge quando torniamo a creare connessioni reali: tra imprese e clienti, tra colleghi, tra comunità.

La sostenibilità economica non può esistere senza sostenibilità sociale. E la sostenibilità sociale nasce dalla relazione.

Da cinquantenne, cresciuto in un’epoca pre-digitale, mi trovo a riflettere su quanto abbiamo guadagnato e quanto abbiamo perso. La tecnologia ci ha reso più veloci, più connessi, più informati, ma non più liberi. La vera libertà, come ci insegnava Gaber, richiede consapevolezza e partecipazione. Oggi possiamo aggiungere: richiede relazioni autentiche, scelte condivise, e la capacità di fermarci a guardare negli occhi gli altri, anche in un mondo iperconnesso.

Forse la sfida più grande di questa epoca è proprio questa: riscoprire il valore della relazione in un contesto dove tutto ci spinge verso l’individualismo digitale.

La libertà non può essere il prodotto di un algoritmo, ma il risultato di un impegno collettivo. Perché, come cinquant’anni fa, la libertà è, e rimane, partecipazione.

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