Lavoro agile o agile nel lavoro?

Si è da poco conclusa la seconda settimana del lavoro agile (o smart working) a Milano, alla quale hanno aderito aziende, enti, lavoratori, sindacati, non solo lombardi, ma anche del resto d'Italia. L'obiettivo è stato la promozione di uno stile di vita che riesca a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, nonché il benessere del lavoratore. Il lavoro agile si pone anche come metodo per salvaguardare l'ambiente, evitando spostamenti in auto e la conseguente produzione di CO2.

I mezzi ed i metodi di lavoro sono cambiati: le nuove tecnologie ci hanno reso interconnessi, sempre disponibili e pronti a rispondere ad email, telefonate e richieste varie . Praticamente, il lavoro ci può raggiungere ovunque e, finalmente, anche le aziende si stanno adeguando nell'organizzazione del lavoro grazie all'acquisizione ed all'integrazione delle nuove tecnologie. Un ulteriore aiuto è dato dalla normativa sul lavoro agile, particolarmente avanzata, adottata con la legge n. 81 del 22/05/2017, la quale afferma essere: "una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici...". Requisito necessario per l’adozione dello smart working è l'accordo scritto tra datore di lavoro e dipendente.

Conciliare, innovare e competere. Questi sono i tre diversi obiettivi dello smart working che si configura come un nuovo approccio all’organizzazione aziendale, in cui le esigenze individuali del lavoratore si accordano con quelle dell’impresa , attraverso la programmazione di un migliore work-life balance. Il concetto comprende vari aspetti. Si va dalla flessibilità dell’orario e del luogo della prestazione lavorativa fino a forme di welfare aziendale per facilitare i lavoratori genitori o impegnati in forme di assistenza parentale.

Si passa così dal concetto di affitto del tempo del lavoratore a quello di bilanciamento tra competitività e ed esigenze dell'individuo, senza togliere i diritti e le sicurezze del lavoro dipendente.

In Italia negli ultimi quattro anni c'è stato un aumento del 60% della flessibilità lavorativa, che l'ha portata a diventare capofila a livello europeo.

Differenza tra grandi aziende e pmi. Riguardo al fenomeno le grandi aziende fanno da capofila: il 30% nel 2016 ha realizzato progetti strutturati di Smart Working, con una crescita significativa rispetto al 17% del 2015, a cui si aggiunge l'11% che dichiara di lavorare secondo modalità “agili” pur senza aver introdotto un progetto sistematico. Nelle PMI la diffusione di progetti strutturati è ferma al 5%, con un altro 13% che opera in modalità Smart in assenza di progetti strutturati. Uno scarso interesse dovuto alla limitata convinzione del management e alla mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili, ma aumenta il numero di PMI interessate ad un'introduzione futura (il 18%).

Gli Smart worker erano il 5% nel 2013 e il 7% nel 2016 interessando circa 250.000 lavoratori.


Profilo dello smart worker:

Anche gli effetti sulle performance lavorative sono positive, come la qualità e quantità del lavoro svolto e la capacità di innovare nel proprio team di lavoro: lo Smart Working ha un effetto positivo concreto sull’impegno delle persone: oltre un terzo del campione si sente di contribuire positivamente alla creazione di un buon clima aziendale e oltre il 40% degli Smart Worker è entusiasta del proprio lavoro.

Infine, gli Smart Worker sono più soddisfatti della media nella capacità di gestire la vita professionale e privata: il 35% è molto soddisfatto di come riesce a organizzare il proprio tempo (rispetto al 15% di media) e il 29% riesce sempre a conciliare le esigenze personali e professionali (rispetto al 15% di media), anche in questo caso con un maggiore beneficio per le donne rispetto agli uomini.

Riguardo alla tematica in oggetto, ho avuto modo di parlare con un lavoratore di una PMI nel cui contratto è previsto l'utilizzo del lavoro agile. Paolo, 52 anni, ingegnere, da gennaio è assunto in un'azienda che lavora su commessa ed ha circa 20 dipendenti. Siccome il lavoro prevede molte trasferte che lo portano a stare spesso lontano da casa, al momento dell'assunzione ha chiesto ed ottenuto che nel contratto sia previsto lo smart working quando non è necessaria la sua presenza fisica sul sito di lavoro. Finora ne ha usufruito in modo alterno: alcuni mesi non l'ha utilizzato, in altri per circa il 30% delle giornate lavorative, ciò in base alle necessità del cliente e alla tipologia di lavoro da svolgere. Quello che apprezza di più dello smart working è il poter lavorare in un ambiente confortevole, tranquillo e rilassato, aumentando produttività e concentrazione e riuscendo al contempo a vivere maggiormente l'ambiente familiare.  È, quindi, molto soddisfatto della scelta fatta e dell'azienda che ha appagato questa sua necessità. Al momento, però, è l'unico ad usufruire di tale vantaggio all'interno dell'azienda.

Quindi, lo smart working, se usato bene, può essere il giusto bilanciamento tra autonomia, flessibilità e responsabilizzazione del lavoratore dipendente, il quale può usufruire di tale vantaggio, e nello stesso tempo conseguire gli obiettivi aziendali grazie al raggiungimento dell'agilità lavorativa, intesa come dinamicità, proattività, dovuta al maggior benessere vissuto nel luogo di lavoro. Fondamentale in tale modalità lavorativa è certamente il concetto di fiducia da entrambe le parti. Quindi, non c'è dicotomia: lavoro agile ed agilità nel lavoro sono aspetti complementari di un fenomeno destinato a crescere poiché contribuisce a far raggiungere e conciliare efficienza, efficacia e soddisfazione lavorativa.

Fonte dati: Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano


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