Giovani e Sacrificio
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Giovani e Sacrificio

Qualche anno fa, il ministro Tommaso Padoa Schioppa del governo Monti , sostenne che i giovani italiani fossero dei bamboccioni; qualche tempo dopo fu la ministra Elsa Fornero a definirli “choosy” (schizzinosi). Poi è stato il turno del ministro Poletti a fare affermazioni infelici sui giovani italiani che scelgono di andare all’estero perché “inoccupabili” in Italia. Ma non solo i politici italiani sembrano avere una così bassa opinione dei giovani.

Un po’ di tempo dopo anche uno degli imprenditori italiani più conosciuti e discussi, Flavio Briatore ha sentito la necessità di esternare la sua opinione sul tema durante il programma #carta bianca di Bianca Berlinguer, facendo affermazioni decisamente forti. Riguardo al fatto che i giovani italiani siano fannulloni, ha affermato: "Ci sono giovani e giovani, non sono tutti uguali per fortuna. I giovani che vogliono fare riescono. L'Italia dovrebbe essere votata al turismo, il sud in particolare dovrebbe essere la Florida dell'Europa e invece non ci riesce perché i laureati e i giovani del sud vanno fuori…e questi ragazzi che sono bravi poi non vogliono più tornare indietro. La loro capacità lavorativa non la portano al paese d'origine e vi rimangono solo quelli che in effetti non hanno molta voglia di lavorare o di fare: quelli che si accontentano dicendo che non ce la faranno e rimangono qua…. E' ridicolo parlare del sacrificio di andare fuori casa: ma cosa vuol dire? Che vorrebbero andare a mangiare gli spaghetti con la nonna e la mamma tutte le domeniche? Se uno ha le p***e va fuori, se uno ha voglia di fare va fuori. E' un sacrificio andare lontani da casa?”

Opinioni contrastanti tra mondo imprenditoriale e politico, che hanno in comune però il fatto di criticare i giovani italiani.

Ma davvero sono così difficili da accontentare quando si parla di lavoro? Possibile che non siano in grado di fare dei sacrifici per arrivare ad avere soddisfazione lavorativa o anche solo semplicemente un lavoro? E la famiglia che ruolo gioca in tutta questa situazione? Fino a che punto ci si deve spingere affinché si possa affermare che si è avuto spirito di abnegazione? Proviamo ad approfondire l’argomento e a rispondere a queste domande.

Alcuni imprenditori in Italia da un po’ di anni affermano di preferire i lavoratori stranieri perché più motivati, probabilmente perché arrivano da contesti più difficili. Sostengono che sono disposti a partire da posizioni più basse e lavori più umili rispetto al loro livello di studio per poi cercare pian piano di arrivare ad una posizione migliore.

Gli italiani, invece, sono accusati di non sapersi o volersi mettere in gioco per raggiungere i propri obiettivi.

La sociologia ha provato a spiegare questo fenomeno con il mutato ruolo ed atteggiamento della famiglia, che rispetto agli anni passati, soprattutto nei Settanta ed Ottanta, tende a proteggere maggiormente i figli, non insegnando più a lottare e a sacrificarsi per riuscire nella vita; ma, al contrario, accetta i tempi allungati per l’indipendenza dei figli. In pratica, non danno quella spinta in più per farli uscire prima di casa come invece fanno le famiglie dei coetanei europei. A tal proposito, sono andata alla ricerca di un po’ di dati riguardanti l’uscita di casa dei genitori in Italia ed in Europa.

Secondo l’Eurostat, la media italiana è di 30,1 anni, mentre quella europea è di 26,1 anni. Nella ricerca, spiccano in particolare i dati di paesi quali Svezia (20,7 anni), Danimarca (21), Finlandia (21,9). L’età media di uscita di casa è un dato in continua crescita: in Italia si lasciava la casa dei genitori a 29,8 anni nel 2006, e da allora la crescita non si è mai fermata.

Inoltre, secondo il rapporto Istat del 2017, sono quasi sette su 10 gli under 35 che vivono ancora nella famiglia di origine: nel 2016 i ragazzi tra i 15 e i 34 anni che stanno a casa dei genitori sono 8,6 milioni, il 68,1% dei coetanei. L’Italia è anche la peggiore in Europa per i Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano: sono scesi a 2,2 milioni nel 2016, con un'incidenza che passa al 24,3% dal 25,7% dell'anno prima, ma si tratta ancora della quota "più elevata tra i paesi dell'Unione" europea, dove la media si ferma al 14,2%.

Ma per quanti sono quelli che restano a casa con mamma e papà, sono molti di più che vanno via. Nel solo 2015 sono partiti più di 100 mila, di cui la metà hanno meno di 40 anni ed un terzo sono laureati. 

Infatti, da una ricerca dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro presentata a Roma nel giugno 2017, "Il lavoro dove c'è. Un'analisi degli spostamenti per motivi di lavoro negli anni della crisi", si evince che dal 2008 al 2015 sono stati 509 mila gli italiani che, spalmati nei sette anni più duri della crisi economica, hanno scelto di fare le valigie. Un vero e proprio esodo. La meta più ambita, secondo i dati del rapporto, è la Germania, dove, solo nel 2015, sono stati 20 mila gli italiani che hanno trasferito la residenza. Al secondo posto, con 19 mila presenze, si piazza la Gran Bretagna; terza la Francia, dove sono oltre 12mila gli italiani arrivati nel 2015. Il rapporto rileva anche il ritorno dell’emigrazione interna con un salto di circa 70 anni. Dal 2008 al 2015, infatti, la disoccupazione nelle regioni del Sud Italia “ha prodotto un aumento di 273 mila residenti al Nord e di 110 mila al Centro”: 383 mila in tutto. A partire sono soprattutto i campani, con 160 mila persone che cancellano il proprio nome dall’anagrafe del Comune di residenza per trasferirsi altrove; lasciano la Puglia e la Sicilia in 73 mila. "Si tratta principalmente di lavoratori qualificati che vedono nella fuga dal Mezzogiorno la via migliore per guadagnare di più". Ad offrire maggiori possibilità lavorative è la Lombardia, che ha registrato 102 mila cittadini in più. In Emilia-Romagna sono arrivate 82 mila persone, mentre nel Lazio gli uffici dell’anagrafe hanno registrato 51 mila nominativi in più. Sono quasi 55 mila le persone che, invece, dal Sud hanno scelto la Toscana.


Cercando di non essere banale, credo che persista ancora una grande differenza tra Nord e Sud su tale tematica, come spesso si riscontra in tv e in articoli di giornale. L’impressione è che al Sud si nasca con uno spirito di rassegnazione, quasi una predestinazione, la consapevolezza che per la propria realizzazione personale bisogna allontanarsi da quella terra tanto amata e odiata allo stesso tempo. Spesso, si inizia ad emigrare già al momento di iniziare gli studi universitari, in quanto magari un’Università blasonata potrà offrire maggiori opportunità nel futuro lavorativo.

Questo destino ineluttabile percepito è probabilmente dovuto al fatto che negli anni si è visto partire genitori, fratelli, amici e parenti vari in cerca di fortuna altrove.

Invece al Nord la situazione è ben diversa: qui si trovano le Università blasonate, a partire sono spesso laureati ambiziosi, vi è impiantato un solido tessuto industriale – imprenditoriale che permette di dare lavoro ancora a tecnici specializzati e diplomati che hanno la consapevolezza e/o speranza che “qualcosa si trova”, ci si può permettere di accontentarsi della paga e del lavoro perché si può restare a casa, contando quindi sul supporto economico della famiglia.

Nella mia piccola esperienza diretta in quanto consulente per la partecipazione a bandi di finanziamento al Sud, ho conosciuto due tipi di giovani:

·        quelli che partono e poi decidono di tornare dopo un po’ di anni, apportando nuovi saperi, arricchendo la propria terra, investendo i soldi messi da parte e sfruttando i vari bandi;

·        quelli che decidono di non partire, rinunciando ai propri sogni ormai infranti per vari motivi e che cercano di reinventarsi completamente perché comunque la voglia di riscatto rimane, così come la speranza di riuscire a cogliere le opportunità che si presentano. Ho visto architetti diventare esperti di pirolisi e di progettazione di stampi e prototipi, altri giovani dedicarsi all’agricoltura o reinventarsi come auto costruttori, mettendo completamente da parte la propria laurea e la propria area di specializzazione.

Allora a questo punto qual è il sacrificio più grande?Andare o restare? Rinunciare o tentare?

Io credo che il sacrificio è proporzionale al desiderio, al sogno lavorativo che si ha, quindi, maggiori sono le aspettative, maggiori saranno i sacrifici a cui si sarà disposti a sottoporsi. E il desiderio dipende dal vissuto personale, maggiori sono stati gli ostacoli incontrati durante il cammino e maggiore sarà la voglia di riscatto.

A mio modesto parere, i giovani italiani sono dotati di spirito di sacrificio, forse a volte pagano un prezzo troppo alto per poter riuscire ad ottenere qualcosa dalla vita, soprattutto quelli del Sud, a parte quei pochi privilegiati che “ereditano“ il lavoro senza fare molti sforzi. Ma la maggior parte siamo figli di nessuno (ahimé! purtroppo sono parte anch’io della categoria!) che ci rimbocchiamo le maniche e cerchiamo di fare del nostro meglio, rischiando sogni, speranze, tempo.


Marcello Battistig

ex-Chief Examiner at EPO

6 anni

* investano al sud (correzione)

Marcello Battistig

ex-Chief Examiner at EPO

6 anni

Articolo molto interessante e molto acuto. Molti si chiedono perchè i giovani che partono non tornano più , è semplice, è perchè in Italia non cambia mai niente, e questo problema viene usato a fini elettorali, ma non si fa niente di concreto per cambiare le cose. L'unica soluzione per il Sud è che le aziende oneste del nord investicano al sud (aziende straniere non lo faranno mai dato il debito publico, la criminalità organizzata e l'andamento demografico) . Ma purtroppo per adesso non vedo tutta questa disponibilità della parte piu' agiata del paese di aiutare l'altra parte. E' triste , lo so... Ciao, Marcello.

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