LE LEVE EMOTIVE NELLE STRATEGIE DI COACHING E COUNSELING

LE LEVE EMOTIVE NELLE STRATEGIE DI COACHING E COUNSELING


Tutti noi che svolgiamo costantemente e da tempo percorsi di coaching e counseling ma anche altre professioni a supporto della persona e dell’organizzazione, ci siamo trovati almeno una volta di fronte a coachee con blocchi importanti rispetto al cambiamento .

Magari ha fatto un buon percorso, ha chiaro il da farsi, ha la determinazione ma al momento del salto verso l’azione o il comportamento che cambia le cose, non ce la fa.

Le resistenze, volendo esprimere in sintesi, hanno normalmente origine nella sfera cognitiva (es stereotipo, forte credenza, esperienza rilevante che impedisce di cambiare) o nella sfera emotiva (la persona ha timore, non si sente adeguata, o teme di perdere i vantaggi fino ad allora conseguiti) .

Il momento della strategia, una volta individuata, trae vantaggio da due azioni che il coach (parlando in generale, ma non solo lui) può mettere in atto per facilitare il salto :

-           Evocare avversione : ovvero far arrivare al coachee il sentimento di malessere che sentirà se manterrà inalterata la situazione che vorrebbe cambiare

-           Evocare attrazione : ovvero far percepire al coachee che la situazione trasformata, sarà certamente più desiderabile dell’attuale

Al di là dei blocchi cognitivi, parecchio complessi da affrontare e molto specifici rispetto alla situazione, considerando i  blocchi emotivi, dobbiamo far riferimento alle capacità originarie

Le sensazioni di base , sono sintetizzabili in 4 categorie che contengono le altre :

Paura: è una classe di sensazioni dai contenuti molto ampi: paura di morire, di perdere il controllo, di provare dolore, della paura del confronto o del giudizio degli altri, del timore di far qualcosa di cui vergognarsi o di pentirsi, sensazioni che normalmente generano reazioni di “lotta-fuga”

Il dolore: la sensazione fondamentale del dolore abbraccia molte dimensioni, fisiche ed emotive, legate alla sofferenza, al lutto, alla perdita. Per lo più risulta paralizzante

La rabbia: in questa categoria rientra sia la rabbia diretta verso gli altri, che quella diretta verso se stessi. La rabbia porta spesso il desiderio di reagire, che si trasforma poi di solito in aggressione

Il piacere: L’ambito del piacere racchiude moltissime emozioni e sensazioni differenti : il desiderio, la gioia, la passione ecc. Questa sensazione rende molto difficile non avere una reazione;  in questi casi e solitamente con l’idea che tanto posso rinunciare quando voglio, continuo a replicare il copione disfunzionale e mi distacco sempre meno dal comportamento che mi genera il danno

Le sensazioni di base, esattamente come costituiscono il copione ridondante del coachee, sono esse stesse la leva per ottenere la svolta . Particolarmente potenti nel loro compito, la paura ed il piacere, le più usate nel coaching e nel counseling.

Proprio enfatizzando il risultato dell’emozione bloccante , in negativo (nel caso della paura : “avrai ancora più paura se”……) o in positivo (nel caso del piacere: …… “pensa quanto sarai più felice se…..”), si possono ottenere risultati di avversione o attrazione che ribaltano il problema su se stesso in tempi anche veloci .

Due esempi :

1)

Marco si interroga da un po’ sulla possibilità di accettare un’ occasione di sviluppo della carriera , che però si svolgerebbe all’estero. Marco è giovane e ha due bimbi piccoli e questo lo fa tentennare : nel breve non sarà il caso di spostare la famiglia , famiglia per cui è pronto a fare sacrifici.

Nel percorso, molto ben accettato da Marco, ha chiarito dubbi e volontà : lui sa che deve fare questo passaggio  , non solo lo vuole fare, si è anche programmato i passaggi ma…….non dà la risposta al suo capo . Rimanda, trova scuse…..

“Coach : Marco aiutami a capire, sei convinto di questo passaggio”?

“Marco : si lo sono : voglio che i miei figli abbiano opportunità anche attraverso i passaggi di carriera che maturerò e relativi stipendi ma…… poi non riesco a dire si”

Si tratta di una resistenza spesso denominata in sintesi “vorrei ma non posso” : la persona ha davvero maturato la volontà di scelta ma non riesce ad attuare; spesso è diffidente, teme gli impatti, più in generale ha paura .

Si noti che il parere del coach in merito non è rilevante : se sia opportuno o meno fare la scelta, è responsabilità di Marco e poiché tutto il percorso cognitivo lo porta lì, compito del coach, a questo punto, è aiutarlo a prenderla anche sul livello emotivo .

“Coach : Marco , queste opportunità potrebbero presentarsi altre volte o sono rare”?

Naturalmente con questa domanda il coach si prende anche lo spazio, se esiste, di tranquillizzare e dare più tempo a Marco : se Marco rispondesse “si presentano spesso”, potrebbe essere vantaggioso semplicemente rispondere “allora perché ti preoccupi”? In questo modo il dubbio metterebbe Marco nella condizione di agire o rimandare a piacimento;  ma ovviamente la paura di Marco va nella direzione di pensare che se non lo fa ora, non lo farà più.

“Marco : se non la prendo ora, non è detto che si ripresenti e forse poi sarà troppo tardi”

“Coach : e principalmente questo comporterebbe una perdita di opportunità per te o per la tua famiglia”?

“Marco : una sicura perdita di opportunità per i miei figli”

Una piccola sottolineatura : la leva deve essere calibrata su ciò che il coachee vede come vantaggio potenziale (dò un’opportunità ai miei figli) e non su aspetti diversi che pure lo preoccuperebbero ma non come questo . Ad esempio una domanda su quanto sarebbe compromessa la sua carriera non accettando, non sarebbe altrettanto incisiva .

In questo modo, specie con l’ultima domanda, il coach genera  avversione verso il comportamento che tiene Marco bloccato ; poi sarà sempre lui a scegliere .

2)

Il capo di Giulio ci chiama perché Giulio, per quanto bravo, crea disagi fra i colleghi

“Prova talmente tanto piacere ad avere sempre ragione – ed effettivamente spesso ce l’ha – che ignora completamente il fatto che, talvolta, sarebbe per lui conveniente tacere e lasciare ad altri lo spazio di intervenire, pensare o agire; così alla fine, prevale sempre il suo bisogno di primeggiare e di essere lui ad avere l’ultima parola in ogni discussione. Magari prova anche a mascherare il tentativo con preamboli che fingono di assecondare l’interlocutore, usando frasi quali “per carità, è giusto… ma…”, tuttavia, alla fine, spunta sempre un’obiezione che sconfessa totalmente quello che ha appena sentito per dare la sua unica e corretta versione dei fatti”.

Durante il percorso in effetti, Giulio mostra anche al coach il tentativo di avere la meglio ma, da persona intelligente quale è, appare consapevole degli impatti che produce.

“Giulio : in effetti in una gran parte dei casi io ho la soluzione prima degli altri e questo mi fa star bene, mi fa sentire stimato dai capi ma…… i miei colleghi non lo accettano volentieri; tacciono ma in realtà mi fanno capire di essere infastiditi e poco alla volta sto isolandomi”

“Coach : capisco : bravo ma solo! Non è una bella condizione”

“Giulio : lo so ma tollero con fatica l’idea che si perda tempo attorno a soluzioni che non funzionano ed io abbia in mente quella giusta e non la debba dire”

“Coach : cosa ti fa pensare di non doverla dire? Credi che ciò che infastidisce siano i tuoi contenuti o le modalità con cui le esprimi”?

“Giulio : mmmmmh  le modalità, credo le modalità”

“Coach : e del resto, correggimi se sbaglio , mi pare che un'altra modalità tu non l’abbia provata….”

“Giulio : si lo ammetto : è che temo che se non dirò la mia sarò meno visibile ai capi”

“Coach : Può darsi ma se ti va facciamo un esperimento che non hai mai fatto”

“Giulio : Va bene”

“Coach : Ok Giulio, vorrei che tu provassi, quando il capo lancia un tema difficile e tu sei pronto per rispondere e proprio non ce la fai più a non dire la tua, vorrei che tu provassi ad aspettare . Aspetta giusto un po’ , lascia esporre gli altri, anche con le loro soluzioni inadatte e poi vediamo”

Con qualche perplessità ma anche curiosità, Giulio accetta

Ci rivediamo dopo 15 gg

“Coach : “Come è andata Giulio”?

“Giulio : Fantastico, davvero inaspettato . Alla prima riunione, alla domanda posta dal capo, sono stato zitto. Ho ascoltato gli altri e vedevo che giravano in tondo. Il capo mi scrutava, stupito dal mio silenzio ma lo ha rispettato. Fino a che un collega si è rivolto a me chiedendomi cosa ne pensavo ed io ho potuto dire la mia senza fatica

Alla seconda riunione più o meno è andata allo stesso modo ma più persone si sono rivolte a me facendo domande

Alla terza riunione, alcuni di loro hanno espresso soluzioni e poiché non erano del tutto fuori luogo, ho posto loro domande e li ho accompagnati alla soluzione”

“Coach : e come è stato”?

“Giulio : grande soddisfazione . Un conto è primeggiare, un conto è farlo su richiesta. I colleghi hanno ripreso a coinvolgermi, stiamo portando avanti insieme un nuovo progetto, insomma, un altro clima. Ed il capo mi ha fatto i complimenti. Essere un leader accettato è molto meglio che essere un leader e basta”!

L’esperimento diretto è un’azione potentissima, che consente alla persona di prendere contatto con il cambiamento e la soddisfazione dello stesso, prima ancora di averlo interiorizzato .

La leva del piacere è tra le più forti e stabilizza i comportamenti attraverso il successo .

Il lavoro con le emozioni è però da esperti : soprattutto i counselor lo maneggiano con destrezza ma diversi coach, con esperienza e naturale acume, sanno destreggiarsi con questo tipo di lavoro.

L’attenzione è quella di non caricare di troppa forza l’emozione che si utilizza : una paura maggiore -ma non troppo- di quella che blocca, un piacere più grande -ma non troppo - di quello che crea impatti dannosi, consentono di sperimentare gradualmente il risultato, senza la necessità di indurre un’avversione così forte da bloccare anche di più, o un’esaltazione esagerata , che aumenterebbe la negatività degli impatti


 

 

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