L'Italia paese turistico? Chiusa per riposo festivo......

Sfogliando la Guida di Meeting e Congressi del 2018, ho notato che è in crescita fra le location per eventi una categoria di cosiddette “venue non tradizionali” rappresentata dagli outlet. Il mio pensiero è andato immediatamente al tanto discusso provvedimento proposto dall’attuale Governo sulle chiusure domenicali dei negozi, della Grande Distribuzione Organizzata e dei Centri Commerciali. Al di là dell’impatto economico che questa misura decisamente anacronistica potrebbe avere sul Prodotto Interno Lordo o sulla situazione occupazionale – impatto economico che non provo nemmeno a calcolare e che in questa sede nemmeno ci interessa – mi chiedo che cosa racconteremo mai ai congressisti (e ai turisti) di tutto il mondo, che dall’oggi al domani si troveranno a visitare l’Italia, quasi certamente in date coincidenti con il weekend, trovandosi catapultati negli Anni 70, senza alcuna possibilità di fare acquisti, non soltanto di prima necessità (e pazienza, dirà qualcuno, basta organizzarsi per tempo), ma men che meno soddisfando il desiderio di portarsi a casa quel “Made in Italy” di cui tanto ci vantiamo e che tanto contribuisce alla brand awareness del nostro Paese come destinazione leisure e business. Qualcuno obietterà che le città turistiche saranno esonerate da questo futuribile obbligo di legge. Ma possiamo considerare turistiche Arese, Segrate, Serravalle Scrivia, Barberino di Mugello, Noventa di Piave, Vicolungo e via elencando? Sappiamo bene che queste destinazioni, che certo non potremo mai definire turistiche, sono prese d’assalto tutti i weekend non soltanto dai consumatori italiani, ma anche da giapponesi, russi, americani ed europei di varia provenienza, ansiosi di fare shopping delle più prestigiose firme di moda e design del mondo, direttamente nel Paese più glamorous del globo terraqueo. Difficile distinguere oggi l’industria della Moda e del Design da quella del Turismo. Difficile scindere i prodotti enogastronomici del Belpaese dalle attrattive turistiche per le quali l’Italia è nota a tutti. E soprattutto mi pare di poter affermare con certezza che sia impossibile, anche per i più accesi autolesionisti, cassare la voce indotto (alla quale lo shopping appartiene a buon diritto) dal conto economico dell’industria turistica e Mice italiana. Come pensiamo di recuperare le perdite sia d’immagine sia di cassa? Invitando forse gli ospiti stranieri a impiegare l’intero weekend arricchendo il proprio bagaglio culturale fra musei (ammesso di trovarli aperti anche la domenica), opere d’arte e picnic sullo sfondo di paesaggi mozzafiato? Che poi, se tanto mi dà tanto, un criterio di equità dovrebbe indurre il Governo a salvaguardare il riposo domenicale anche di camerieri, ristoratori, barman, personale degli hotel, tassisti, ferrovieri, piloti delle compagnie aeree, benzinai, guide turistiche, venditori ambulanti, addetti alle biglietterie di musei e teatri, circensi, attori e – perché no? – meeting planner e responsabili eventi come noi… Avremo il diritto anche noi operatori degli eventi e dei congressi di passare la domenica in famiglia o siamo cittadini di Serie B? L’immagine bucolica di un’Italia che si ferma in blocco la domenica, per dare la possibilità alle famiglie di riunirsi e trascorrere più tempo assieme, è bella, affascinante, idealista e sognante, ma cozza contro la dura realtà delle regole del turismo e ancor più con quelle dell’economia: se vogliamo valorizzare il nostro patrimonio turistico e al contempo contrastare gli effetti di una congiuntura economica negativa, non possiamo soffermarci a curare un giardino fatto di diritti incompatibili con la principale industria del Paese e con nostro benessere economico. Lo dico con rammarico, consapevole di andare contro gli interessi del mio stesso orticello personale: passare tutte le domeniche senza incombenze di lavoro lo vorrei anche io. Ma come diceva la mia mamma: l’erbavoglio non cresce nemmeno nel giardino del re! Figuriamoci in quello di noialtri... Luca Corsi

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