Marathus
La cammino e la disturbo di domande.
Le porgo ascolto se è disposta a farsi chiedere.
Me ne sto muto se si discosta e vuole starsene in disparte.
Alabastre distopiche visioni mi porge questa terra, percorsa con una carezza, un pugno stretto e una nostalgia fiondata nel petto.
A forza di disseminare e migrare figli e spargerli per paesi distanti la Lucania si è cosparsa di vuoti, spazi, radure, boscaglie infinite, siderali costellazioni notturne senza luci umane sotto.
Quando fa giorno qui, su certe serre, su certi salti, su certi balzi, s’albano bislacche distorsioni del tempo e dello spazio.
Non sai bene dove sei finito, in quale terra, in quale mondo.
Da bambino, quando il pascolo di capre era il mio mestiere, la conoscevo dal perimetro preciso di tre montagne: Alpi, Raparo, Sirino.
Poi, in adolescenza, varcai quel perimetro montano e apparvero le nostre terre tirreniche, il golfo, le gole, le grotte maestre, le grotte balena, le plaje, le ische, le cale, le isole.
Il carpino fece posto all’amaranto, la quercia al tiglio, l’agrifoglio al ginepro, l’origano al cappero, il gelso al finocchio.
Al passo lesto delle serre aggiunsi la bracciata liscia sull’acqua salata.
Impressi un adagio a memoria mentre nuotavo, per la prima volta, come se nessuna onda potesse più farmi paura: quando un pastore impara a nuotare il mare apparecchia pace eterna.
Dal mare, da quella bracciata, riguardavo un Cristo in cima che non buttava occhio al golfo, ma rimirava verso le montagne.
Il Cristo Redentore sul Corcovado, a Rio, in Brasile, guarda verso il mare, il nostro, invece, verso i castagneti, i monti, le cordigliere alte di sparvieri, nibbi e aquile.
Da lì imparavo i nomi di marina ‘Cala Jannita, Isola di Santo Janni, Illicini, Calavecchia.
Riguardavo anche io verso terra e scoprivo dal mare che quei luoghi abboccati sul golfo erano stati per secoli solo ovili e stieri di pastori come me.
Ciò che i bagnanti, i vacanzieri, oggi vedono come villeggiature, un tempo erano villaggi di caprari e non, come si potrebbe pensare, porti di pescatori.
Alcuni la indicano come "Thea - maris" cioè "Dea del Mare"; per altri, invece, "Mar-an-thà", che vuol dire “Dio è venuto”; altri ancora "Marathus" che significa terra dei finocchi.
Io propendo per l’ultima solamente perché, mentre nuoto, quell’odore trasportato dal vento si staglia sull’acqua e inebria l'olfatto nella bracciata.
Da allora non ho più smesso domande su questa terra e su questo mare e continuo continuo a chiedermi perché, per esempio, l’isolotto di Santo Janni contiene il più grande giacimento di anfore e ancore romane dell’intero Mediterraneo.
Perché questa terra è stretta fra le due principali scuole di pensiero del mondo antico: la scuola Pitagorica di Metaponto e la scuola Eleatica di Parmenide ad Elea, Velia.
E ancora: cosa si vede dalle tombe dei popoli che non hanno resistito alla storia?
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Davvero di questi popoli, in noi, nel nostro sangue, nel nostro carattere, intendo, nel nostro modo di stare o non stare nel mondo, nei nostri tratti, non resta nulla?
Davvero siamo solo moderni, contemporanei, siamo solo greci, romani, italiani, europei?
Chi siamo? Cosa si vede dalle nostre tombe?
Cosa si vede dalle tombe dei nostri popoli ancestrali?
Ad esempio, chi erano i popoli che accozzavano macigni in opere ciclopiche nelle prime epoche mediterranee, tirreniche, joniche?
I macigni ciclopici come quelli ad Eburum, Eboli o quelli a Tempa Cortaglia, fra San Mauro ed Accettura, o l’acropoli di Croccia Cognato. Perché questi macigni s'arroccano sulla mia terra lucana?
Chi eravamo prima dei greci, dei romani, intendo.
Chi erano gli Italici e gli Enotri prima, e prima di loro chi erano gli altri?
Antioco di Siracusa afferma che l’Italia anticamente si chiamava Enotria e i suoi confini erano limitati dal fiume Lao verso il Tirreno e dal Sele verso Posidonia.
Tutto il resto erano già terre del nord.
La terra da cui scrivo, pertanto, la terra dei Lucani, fu la stanza prima degli Enotri da cui poi gli Italici, l'Italia.
Ma prima prima ancora chi erano i Pelasgi?
Chi erano gli erranti prima abitatori delle terre lucane che degradavano dalle montagne, dai duemila metri alle plaje, al mare?
E i Sirini, i Peuceti, i Japidi, i Lupini?
Coloro che per secoli abitarono dal Golfo di Taranto a Posidonia e poi Pesto, Paestum.
Seguo domande e ricordo che per risalire la storia e la geografia mi devo affidare ai nomi dei fiumi, gli unici a cambiare davvero il meno possibile nel corso dei tempi, dei secoli.
Continuo a camminarla, a nuotarla e a farle domande.
Certe volte si ritira e non mi ascolta più.
Devo fare perciò attenzione e starmene con lei, in silenzio.
Attendere. Avere pazienza.
Presto tornerà ad ascoltarmi.
Medical Doctor and Philosopher - Medical Aesthetics Surgery /Nutritionist/Specialized in Thermal Medicine and Med Spa/ Medical Tricology
11 mesiChi Erano in qualche modo Siamo La Cultura e le Tradizioni del vivere e dell'essere cambiano l'espressione del DNA...e tale Epigenetica culturale si trasmette fino a noi...per secoli e millenni. Come ripercorriamo la filogenesi dai girini ai primati superiori nel grembo delle nostre madri, così ripercorriamo la filogenesi del nostro popolo. Gli innesti degli incroci con altri popoli cambiano le foglie del nostro albero , ma mai i semi. Stesse facce, arcaiche, stessi nasi....stessi silenzi al cospetto del mondo. Per rispetto e comprensione, non perché non si ha nulla da dire
Agronomo | Gestione forestale | Urban forestry | Stabilità degli alberi | Verde urbano | Sviluppo rurale
1 annoPer molti aspetti vale lo stesso per tante zone interne d'Italia, ormai svuotate di residenti. Le stesse esperienze; le stesse domande. E un futuro ancora non comprensibile
Aspettando Sanremo 2026
1 annoVisitato questi posti meravigliosi tra fine agosto inizio settembre. Narrano che il Cristo redentore sia rivolto verso l'interno perché chi lo costruì perse un figlio in mare.
Cofounder Hörmann Italia Srl adesso in pensione presso INPS_official
1 annoCi sono stato nel 1978 visitando anche la chiesa di S.Biagio protettore della gola