Prescribed Burns: Geosofia tra Appennini e Pacific Palisades
Mare Grande con Taccuino, Taras

Prescribed Burns: Geosofia tra Appennini e Pacific Palisades

Entro nella cava trasformata in un appartamento di lusso.

Non sono di qui, non vengo da Matera, e il legame che sento con questa città è lo stesso che provo verso ogni parte della mia terra: un legame stratificato, antico, che viene da quando tutto questo era Lucania.

Non Basilicata, quel nome che sento estraneo, imposto. Io sono della Lucania grande, quella che abbracciava i monti e i mari, che partiva dagli Appennini e scendeva fino al Cilento, a Elea, a Paestum, toccando Cirella e la Calabria settentrionale.

Questa Matera, che oggi è il centro di tutto, una capitale culturale, apparteneva un tempo alla Terra d’Otranto, fino a poco prima del 1700. Ma la fiumarella, quella che scorre laggiù nella gravina, non conosce queste divisioni, e io riconosco nel suo suono l’antica continuità della mia terra.

Loro mi aspettano dentro.

Hanno dormito qui, in questa cava scavata da mani contadine e trasformata in una stanza elegante, con ogni dettaglio curato per accogliere ospiti stranieri. È il lusso moderno che si posa sulle ossa di una civiltà andata. Una civiltà a cui il '900 ha dato il calcio definitivo.

Mi chiedono di fare colazione con loro, ma non ho fame.

Quelli che sono stati pastori da bambini, come lo sono stato io, anche da grandi continuano a fare colazione alle cinque del mattino. Dopo si chiude lo stomaco e se va bene si riapre verso le tre.

Dalla piccola finestra ritagliata nella pietra, si vede la gravina. Il sole del mattino starnazza dal balzo verso l’altra sponda, quella distanza che sembra un abisso ma che il suono dell’acqua costante riesce sempre a colmare. Questo è un luogo che parla come i vecchi, senza fretta di arrivare.

Sono già seduti.

Lei, una donna con taglio di occhi orientale, tiene un laptop aperto, le mani pronte a registrare ogni parola che dirò. È precisa, attenta, non si perde nulla. Lui, invece, ha quel fascino di chi ha girato il mondo. Italiano, ma cosmopolita, si muove con sicurezza, con l’aria di chi sa come parlare a chiunque. È affabile, cerca di mettermi a mio agio, ma so che è qui per una ragione precisa.

Sono venuti per me.

Sono stati inviati per incontrarmi, per capire dove e come investire in Lucania.

Parlano di borghi spopolati, di villaggi abbandonati, di case dei pastori.

Vogliono rigenerare, riportare vita, o almeno così dicono. Usano un termine affascinante, placemaker, come se bastasse una parola elegante per convincermi. Mi parlano di investimenti etici, di un progetto che guarda al futuro.

Li ascolto da una distanza che mi permette di sentire il riverbero, l'eco che fanno le loro parole nel petto, nello stomaco, prima che raggiungano orecchio, mente e ragione.

Mi chiedono di raccontare, e io inizio.

Ma non parlo subito dei borghi che cercano, delle case che vogliono comprare.

Io li porto lontano. Parto da Taras, dai delfini sulle monete, racconto di Elea, di Paestum, poi arrivo a Cirella, sulla costa calabrese, e finisco sulle sponde dell’Appennino, tra le ische e le serre. Lei scrive freneticamente, cercando di tenere il passo, mentre lui finge di seguirmi, sorridendo con gentilezza. Ma so perfettamente che non è questo ciò che volevano sentirsi dire.

Poi, inevitabilmente, arrivo ai fuochi.

Sono loro a trovarmi, ogni volta. Parlo degli incendi dell’Appennino, di come anche le nostre colline, negli ultimi trent'anni, ardono in estate, di fiamme che scorrono come serpenti, devastando tutto.

Mi fermo, guardo fuori dalla finestra verso la gravina, e penso agli incendi dall’altra parte del mondo, sulle Pacific Palisades (Le palizzate del Pacifico).

Racconto delle colline del Pacifico, che oggi bruciano, mentre migliaia di piscine piene d’acqua dolce e salata brillano sotto il sole, immobili, inutili.

Quel lusso, quella bellezza, non basta a fermare le fiamme, anzi sono il vero problema.

Le Pacific Palisades erano una comune, una setta, una frangia di capanne voluta da un mistico della Chiesa Episcopale della California Meridionale, il reverendo Charles H. Scott.

Forse anche lui era solo un placemaker, penso e non lo dico.

"Noi avevamo le capre", dico, e li vedo guardarmi, confusi.

Spiego. Le capre erano il nostro prescribed burn, il nostro sistema di controllo del fuoco. Pascolavano lente, mangiando le sterpaglie, mantenendo il bosco in equilibrio. Era la nostra alleata contro gli incendi. Loro, gli Amaruk e le tribù indigene del Pacifico, facevano qualcosa di diverso ma altrettanto efficace. Usavano il fuoco. Non lo temevano, lo governavano. Accendevano piccoli incendi controllati, che ripulivano il sottobosco, arricchivano il terreno, favorivano la crescita di nuove piante. Era un rito antico, una forma di armonia con la natura.

Lui cerca di riportarmi al punto.

Mi parla di borghi rurali, di villaggi da ripopolare, di case da ristrutturare. Sa che questo tema mi appassiona, e cerca di sfruttarlo. Ma io non cedo.

Inizio a raccontare della neve e vino, la bevanda che i contadini della Lucania bevevano in estate per rinfrescarsi.

Racconto delle plaje, delle ische, delle serre. Le parole scorrono come il fiume, e li vedo cedere. Lei, che fino a poco fa scriveva senza sosta, inizia a rallentare. Lui, che cercava di guidare la conversazione, ora sembra stanco.

Sono passate due ore.

Il rumore della fiumara è ancora lì, costante, come il rintocco d'anime di questa terra.

Mi alzo, li riguardo. Non sono più i professionisti sicuri che erano al mio arrivo.

Qualcosa è cambiato. Sembrano affranti, delusi, le storie masticate li hanno devastati. Credo se ne andranno altrove. Forse lo sono già.

Tenteranno di farsi ascoltare nei paesi interni della Sicilia, della Sardegna, del Molise.

Li lascio con un’ultima immagine: la capra che pascola sugli Appennini, le tribù indigene che accendono fuochi rigeneratori, e le piscine delle Pacific Palisades, luccicanti e vuote, mentre le fiamme avanzano.

Esco dalla cava, un luce di frattali mi accoglie.

La gravina è lì, immutabile, e il raglio sottile e continuo della gravina mi segue mentre me ne vado.

Regina Moretto

► Trovo le PAROLE GIUSTE per farti vendere di più ● Scrittura Potente ● Comunicazione efficace --> narrazione | Vivo per raccontare

1 mese

Caro Franc grazie per le tue parole e per l'azione che hanno compiuto. 🙏🏼 Le parole vere e scarne fermano I predatori, che dalle parole essenziali non possono trarre l'eccesso con cui alimentare le loro storie finte. . La verità della capra si scontrerà sempre con il cosiddetto 'turismo sostenibile'. La capra è sostenibile e non ha bisogno di dichiararlo. . Se il fuoco non lo governiamo diventerà una forza che ci distruggerà. Ed è giusto che sia così. . Meglio disabitati che colonizzati. Haaa-yeeee! 🦋🐺

Sabatino Papandrea

Medical Doctor and Philosopher - Medical Aesthetics Surgery /Nutritionist/Specialized in Thermal Medicine and Med Spa/ Medical Tricology

1 mese

Predare emozioni e metterle a profitto. Cavalcare l'onda della ricerca di piccoli mondi antichi del turismo di lusso. Lo hanno già iniziato...i Resort di lusso per Hollywoodiani di 3a generazione. Nulla di più lontano dalla tua visione. Non è questo lo sviluppo che onora la nostra terra. Gli piace la Storytelling, ma da contorno...da ghirlanda, ma è il Business il loro obbiettivo. Le pietre e i coppi avrebbero la loro rinascita in mani che vogliono toccare questa terra e lavorarla. Da residente, non da turista

Federico Valicenti

Lavoratore autonomo

1 mese

E sempre difficile scegliere se conservare o innovare tutte e due le cose non si possono avere, l'una o l'altra prevale. Se conservi senza abitare crei dissesti idrogeologici difficile da sanare! Se non abiti non conservi perché non hai memoria. Per abitare di nuovo bisogna innovare cercando di conservare la memoria. Cosi com' è il cibo che non sia solo merce ma narrazione dei luoghi.

Silvana Brusati

Autrice, traduttrice, editor | Quality assurance | AI Prompt Design | Ottimizzazione dei contenuti | Scrivo, traduco, edito. Vivo sull'ermo colle e appena posso sciamo.

1 mese

Sembra un film. Forse potresti scrivere (anche) una sceneggiatura. Ma ci avrai già pensato. Credo verrebbe fuori un capolavoro. E sarebbe un ulteriore tributo alla tua storia e alla tua terra, ma non solo. Quando leggo le tue pagine penso all’entroterra ligure e ai tanti borghi marchigiani resi spettrali dopo gli ultim terremoti. E senza capre.

Riccardo Cocchi

Psichiatra Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca (Ph.D.) in Psicoterapia, Antropologo Culturale

1 mese

Rivolgimenti tellurici della tettonica a zolle

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