Il luogo che scrive: appunti di Geosofia
Taccuini di Geosofia di Franc Arleo

Il luogo che scrive: appunti di Geosofia

I luoghi che entrano nella letteratura sono la cartografia rovesciata di un osservatore.

La terra senza narrazione non esiste. L’esplorazione è narrazione.

L’uomo esplora e narra, narra ed esplora la terra.

I luoghi, prima ancora di essere mappa, sono vertigini dello sguardo.

Si dispongono nel silenzio, in attesa che qualcuno li tracci, li abiti.

Entrano nella letteratura come enigmi, ombre che resistono alla luce della parola, eppure senza la parola non esistono.

La terra non si dona. Si oppone, si nasconde.

Solo nel momento in cui viene narrata, accetta di essere riconosciuta.

Ma questo riconoscimento non è mai innocente.

Narrare significa agire, esplorare significa alterare.

Ogni sguardo su un luogo lo modifica, ogni passo sul terreno ne ridisegna il profilo, come un’incisione su una lastra di rame.

La terra è scrittura. Ogni luogo è un racconto che si dipana, non per l’uomo ma attraverso l’uomo.

La collina, il crinale, il rigagnolo d’acqua che taglia una contrada sono già storie in attesa di voce. Ma non è mai un processo neutro: chi narra un luogo lo trasforma.

Ogni descrizione è una riscrittura, ogni esplorazione un nuovo inizio.

Eppure, ciò che rende il luogo vivo è proprio questa continua tensione tra ciò che l’uomo cerca di afferrare e ciò che la terra lascia sfuggire.

Esplorare, narrare, modificare: sono azioni che non si separano.

Non esiste racconto senza una trasformazione.

Ogni luogo narrato diventa un luogo nuovo, ogni traccia umana, dalla prima incisione su una pietra al più sofisticato modello digitale, è un segno che modifica, che reinventa.

Eppure, i luoghi non si lasciano mai afferrare del tutto. Resistono, come enigmi irrisolti, al tentativo dell’uomo di trasformarli in oggetti finiti, in mappe statiche, in verità definitive.

Ma proprio in questa narrazione si annida un pericolo: ogni progetto, come ci ricorda Flusser, è un muro. Ogni oggetto, un problema.

Anche la narrazione dei luoghi può diventare un muro invisibile, un filtro che impedisce di cogliere la loro vera anima.

Quando un luogo viene descritto, raccontato, incorniciato da parole che lo catturano e lo cristallizzano, rischia di perdere qualcosa.

L’atto stesso di narrare può sottrarre valore. I luoghi non vivono solo nella loro presenza fisica, ma nell’immaginario di chi li osserva, li ascolta, li reinventa. E proprio qui si nasconde il rischio più grande: banalizzare un luogo, saturarlo di immagini e di retorica, renderlo impeccabile e, quindi, sterile.

C’è una retorica dei luoghi che seduce e insieme svuota.

Trasformare un paesaggio in un’idea perfetta, in un’icona di bellezza immacolata, è un tradimento sottile.

La perfezione è muta, inaccessibile.

La bellezza impeccabile non racconta nulla, non lascia spazio al conflitto, all’ombra, all’assenza.

Una narrazione che infarcisce un luogo di tradizionalismo o di un folklorismo eccessivo ne disperde i significati, lo riduce a una caricatura di sé stesso.

Invece di renderlo vivo, lo imprigiona in un’immagine fissa, ripetitiva, che lo svuota della sua complessità.

Le parole della geosofia sono quelle di un'interpretazione spirituale e allo stesso tempo pratica dei luoghi.

È un linguaggio che tenta di restituire al luogo il suo spazio, la sua anima nascosta, senza sovrastrutture che lo riducano a un oggetto codificato.

Con l’avvento della fotografia digitale, e della sua rigenerazione continua di immagini, i luoghi rischiano di perdere la tensione con la loro narrazione profonda.

Si creano immagini che sono specchi perfetti ma vuoti, riflessi che non restituiscono nulla della sostanza del luogo.

La geosofia, al contrario, non è una collezione di immagini, ma un ascolto, un atto di traduzione che non svuoti i luoghi della loro complessità.

Ciò che differenzia una narrazione geosofica da una narrazione in cui i luoghi sono semplicemente presenti è proprio questa centralità.

Nella narrativa tradizionale, i luoghi spesso servono da sfondo, da cornice inerte per le vicende umane. Ma nella narrazione geosofica, sono i luoghi stessi a essere protagonisti.

Le storie diventano attrezzi, strumenti per portare alla luce ciò che i luoghi custodiscono.

Non si tratta di raccontare il luogo attraverso una vicenda, ma di raccontare il luogo come una vicenda, come una presenza viva, mutevole, che genera narrazioni e non le subisce.

La narrazione geosofica, dunque, è un dialogo in cui il narratore non domina il luogo, ma si pone in ascolto.

Nei miei ultimi due libri, Lucus (2023) e Il Dio selvatico (2024), ho cercato di offrire al lettore una toponomastica e una cartografia di una terra incognita, di una geografia narrata che esiste non per essere svelata, ma per essere attraversata.

In questi due libri ritornano parole come isca, caligo, plaja, torbiere, monili, libbani, armille, ma anche nomi di terre di crinale: Maierà, Ajeta, Gelbison.

Non sono scelte casuali o puramente descrittive, narrative: rappresentano un tentativo di far combaciare il linguaggio con le dimensioni più profonde dei luoghi.

Ogni termine è una chiave che apre, o almeno tenta di aprire, un accesso alla memoria stratificata della terra, a ciò che rimane nascosto, ma pulsa al di sotto della sola patina visibile.

Ogni descrizione, ogni parola scelta, non è un ornamento, ma una tessera di un mosaico che non pretende di essere completo.

È il tentativo di dare voce a una terra che scrive sé stessa, che resiste alle semplificazioni.

È questo il compito, a mio avviso, della geosofia: trasformare la narrazione in un atto di esplorazione reciproca, in cui né il luogo, né il narratore, né il lettore rimangono immutati dopo il loro incontro.

Sabatino Papandrea

Medical Doctor and Philosopher - Medical Aesthetics Surgery /Nutritionist/Specialized in Thermal Medicine and Med Spa/ Medical Tricology

1 mese

Come scrivi bene Frank... Grazie per evocare i miei ricordi e far sfavillare immagini e sensazioni che porto dentro. Accendi le mie Onde Alpha...quelle del magico momento dell'iniziale addormentamento. Quelle delle alluciniazioni visive a flash, dei suoni fuori contesto delle storie reali e oniriche che si fondono. Cosi evochi i miei ricordi...in questa forma e ordine

Sabatino Papandrea

Medical Doctor and Philosopher - Medical Aesthetics Surgery /Nutritionist/Specialized in Thermal Medicine and Med Spa/ Medical Tricology

1 mese

L'ho letto tutto di un fiato Che bella disamina, che meravigliosa descrizione. Il luogo-cartolina lo rubi ma non ti da niente altro che un po' di superficie. Il Luogo-dialettica si offre e si svela solo a chi lo ama, lo ha abitato, annusato e patito. Il luogo decide a chi mostrarsi, a chi svelarsi a chi vuole donargli la dialettica di uno scambio. Non basta averlo calpestato ammirato o maledetto...bisogna averci un rapporto ...carnale. Geosoficamente...così come lo hai magistralmente descritto tu Franc...fratello mio. Oltre alla nostra yerra ho un rapporto cosi fatale con un paio di altri luoghi nel mondo. Luoghi che mi permettono di elencarne gli angoli, affondare le mani nella loro terra Questa relazione è un dono...un riconoscersi e ptendersi. Una Dialisi Emozionale profonda e intensa. Ne ripeto i nomi, ne visualizzo i muschi le erbe i rumori e gli odori. Ne vedo i suoi figli, gli orti i frutti e perfino , mi è successo, lumache con gusci spirali Credo che, senza rendermene conto, in fondo agisco e penso geosoficamente anche io

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