Neuromarketing key words: BIAS COGNITIVI 13/100

Neuromarketing key words: BIAS COGNITIVI 13/100

La nozione di bias cognitivi fu introdotta da Amos Tversky e Daniel Kahneman nel 1972 e nacque dalla loro esperienza vissuta con innumerevoli persone che erano incapaci di ragionare intuitivamente con concetti complessi.

È capitato anche a ognuno di noi di emettere giudizi o compiere scelte che differiscono da quella che potremmo definire una scelta razionale. Tutti noi abbiamo interiorizzato un metodo scientifico che ci permette di unire un insieme di strategie, tecniche e procedimenti per trovare un argomento, un concetto o una teoria adeguati a risolvere un problema dato, ma poi, chissà perché, il nostro cervello applica delle scorciatoie mentali che forniscono stime rapide sulla possibilità di eventi incerti.

Gerd Gigerenzer, psicologo tedesco che ha studiato l’uso della razionalità limitata e dell’euristica nel processo decisionale, sostiene che quella che chiamiamo razionalità potremmo definirla come uno strumento adattivo che non è identico alle regole della logica formale o il calcolo della probabilità.

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Quindi quando pensiamo di essere razionali non è detto che siamo logici e coerenti.

I bias cognitivi sono un modello sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nel giudizio.

In ambito psicologico indicano una tendenza dei soggetti a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a una mancanza di oggettività di giudizio.

Il neurobranding, basandosi sugli archetipi e sulle emozioni, accoglie i bias cognitivi come un elemento positivo nel guidare il consumatore nelle scelte. Ovviamente il tutto deve essere svolto in modo etico. Come ho già più volte ricordato, applicare le tecniche del neuromarketing non vuol dire manipolare i propri potenziali consumatori ma trovare il modo migliore perché possa scegliere in base a un bisogno reale, magari in questo momento ancora latente.

Se in questo momento pensi che i bias cognitivi ti possano aiutare a vendere di più mentendo al tuo cliente, puoi pure chiudere il libro! Se inganni i tuoi consumatori prima o poi se ne accorgeranno e, non solo non compreranno più il tuo prodotto, ma inizieranno a parlarne in modo sfavorevole intaccando la tua brand reputation. Quindi usare in modo inopportuno i bias cognitivi vuol dire distruggere la propria azienda. Non è questo il mio obiettivo illustrandoti i bias cognitivi.

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l bias esistono perché nell’individuo si crea una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale dell’audience può presentare una distorsione laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami logici e affidabili. I concetti preesistenti possono essere positivi, come gli archetipi, o negativi, come gli stereotipi. Quindi di per sé i bias non hanno una natura positiva o negativa a priori ma la loro bontà dipende dall’elemento che vanno a ripescare nel cervello e del risultato a cui portano.

I bias, partecipando alla formazione e creazione di un giudizio, possono quindi influenzare il pensiero, l’opinione e il comportamento del soggetto che li recepisce. Essendo generati in prevalenza dalle componenti più ancestrali e istintive del cervello hanno quasi sempre una natura istintiva e illogica.

Conoscere i bias cognitivi permette a un pubblicitario, un creativo o un marketer di anticipare delle scelte comunicative, prevedere comportamenti, ma soprattutto rispondere ai bisogni dei consumatori. Non a caso, alla base delle strategie pubblicitarie di successo c’è sempre il soddisfacimento dei bisogni latenti o impellenti dei clienti.

Le strategie di neurobranding utilizzano i bias per supportare la creazione di ogni prodotto comunicativo: dall’allestimento di uno store alla creazione di un sito, dall’ideazione di uno spot all’adv cartaceo, dalla gestione dei post nei social alla creazione di un visual pubblicitario.

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Se vuoi approfondire l'argomento... questo articolo che hai letto è un estratto dal mio libro: «Neurobranding» edito da Hoepli.


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