Nicolò Manucci, il Marco Polo dell’India

Nicolò Manucci, il Marco Polo dell’India

A Venezia, fino a fine novembre, è possibile immergersi in un viaggio affascinante e misterioso, alla scoperta di un veneziano dimenticato che ha incantato la corte dei Moghul nel XVII secolo. La mostra monografica dedicata a Nicolò Manucci (1638-1720) è una testimonianza dell'epopea di questo uomo, il "Marco Polo dell'India."

Il progetto espositivo, curato con passione da Béatrice de Reyniès e realizzato con maestria da Antonio Martinelli e Marco Moneta, trasporta i visitatori in un'epoca lontana, riportando alla vita il mondo di Manucci attraverso una selezione di materiali originali. Tra questi spiccano i preziosi manoscritti e i manufatti dell'epoca Moghul, accompagnati da litotografie e installazioni digitali. Il designer e architetto Guido Fuga ha esposto vari suoi acquarelli ispirati alla vita di Manucci, ai viaggi e ai ruoli di prestigio da lui assunti alla corte dei Moghul.

Il Palazzo Vendramin Grimani, dove ha luogo l'esposizione, è anche la sede della Fondazione dell’Albero d’Oro, che lavora per promuovere le arti, la cultura a vantaggio della città di Venezia. La Fondazione pubblica il volume I libri indiani di Nicolò Manucci (1638-1720) curato da Piero Falchetta, già conservatore delle raccolte cartografiche della Biblioteca Nazionale Marciana, e Marta Becherini, storica dell’arte del Subcontinente Indiano ripercorre le vicende editoriali e indaga il contesto storico e culturale che portarono alla non pubblicazione dei manoscritti della Storia del Mogol così come era stata concepita dal suo autore.

La storia di Nicolò Manucci ci riporta a un tempo in cui un giovane veneziano, di umili origini ma spinto dalla sete di conoscenza, intraprese un coraggioso viaggio verso l'ignoto a soli quindici anni. Nascondendosi nella stiva di una tartana diretta in Oriente, attraversò l'Impero Ottomano e Persiano, giungendo infine in India, approdando a Surat, il principale porto d'accesso dell'epoca. Qui, il suo destino ebbe una svolta. Nicolò Manucci varcò le porte di Delhi, la capitale dell'Impero Moghul, dove venne accolto dall'imperatore Shah Jahan e da suo figlio, il principe Dara. Iniziò così una vita ricca di avventure e di ruoli peculiari: divenne maestro artigliere nell'esercito del principe Dara, medico personale del figlio del nuovo imperatore Moghul, Aurangzeb, e commerciante di unguenti e rimedi in varie città indiane.

Questa mostra illumina un aspetto poco conosciuto della sua vita: il ruolo di intermediario tra i Moghul e i rappresentanti europei a Madras, Goa e Pondicherry. Durante questo periodo, l'Impero Moghul raggiunse l'apice del potere, dell'influenza e della ricchezza. Quando giunse la sua vecchiaia, Manucci decise di raccontare al mondo condividere le sue avventure attraverso un'opera monumentale, la Storia del Mogol. Questa narrazione delle vicende indiane del suo tempo è il fulcro della mostra, che porta alla luce questo intreccio tra gli eventi principali della sua vita e la storia del subcontinente indiano.

Ciò che rende il racconto di Manucci ancora più curioso è il suo coraggio di narratore. Benchè poliglotta, la sua abilità di scrittura era limitata. Questo non lo fermò: decise di dettare le sue memorie a scrivani italiani, francesi e portoghesi, commissionando ai miniaturisti indiani ben 133 miniature multicolori. Queste vennero trasformate in incisioni su rame e successivamente in stampe calcografiche per illustrare il suo manoscritto. I due volumi risultanti sono noti come il Libro Rosso e il Libro Nero, in mostra eccezionalmente a Venezia. Il Libro Rosso fu consegnato al genero François Martin, che lo portò a Parigi, dove è oggi conservato presso la Bibliothèque nationale de France. Il Libro Nero, invece, giunse a Venezia grazie al missionario cappuccino Eusebio di Bourges, e rimane tuttora custodito nella Biblioteca Nazionale Marciana.

Nel XVII secolo, l'Impero Moghul raggiunse il culmine del suo potere che si trasormò in un dominio assoluto. Tuttavia, questa grandezza era in declino sotto l'imperatore Aurangzeb, nonostante fosse considerato il sovrano più ricco del mondo. La sua politica di intolleranza religiosa frammentò l'India dal punto di vista etnico e politico, portando a significativi cambiamenti nella regione. Questo periodo storico creò le premesse per un maggiore coinvolgimento delle compagnie europee negli affari indiani, segnando l'inizio di un'era di crisi e anarchia, causata dal declino delle autorità centrale dell'Impero Moghul. La presenza europea, soprattutto quella olandese, si fece sempre più rilevante, influenzando anche lo stile delle miniature indiane.

Tuttavia, Manucci spiccò in questo contesto complesso. La sua Storia del Mogol è un'opera di cinque libri che copre ben 556 pagine con una scrittura straordinariamente minuta, totalizzando circa 600.000 parole. Il suo resoconto delle vicende politiche e militari del regno di Aurangzeb è un atto coraggioso, intrecciando l'autobiografia del viaggiatore con la storia dell'impero moghul contemporaneo. Un intero libro è dedicato agli usi e ai costumi dell'India islamico-moghul e induista, fornendo un'opportunità unica di comprensione delle culture locali. Ma ciò che rende questa narrazione ancor più preziosa è la sua testimonianza sul periodo dei coloni europei a Madras e Pondicherry.

Questa  idea ambiziosa e grandiosa nasce in Manucci, grazie al successo del suo collega medico François Bernier in Europa, e proprio da lui ispirato diede mano a questo progetto.  François Bernier (1620-1688) è stato un medico e viaggiatore francese noto per i suoi viaggi in India durante il XVII secolo. Bernier fu uno dei medici personali dell'Imperatore Moghul Aurangzeb e visse in India per un periodo di circa dodici anni. Durante il suo soggiorno in India, raccolse osservazioni dettagliate sulla geografia, la cultura, la società e la politica dell'India moghul. Ciò che lo rese particolarmente famoso tra gli europei dell'epoca fu la sua opera intitolata Voyage in the Mogul Empire, pubblicata per la prima volta nel 1670. Questo lavoro rappresenta una preziosa testimonianza dell'India del XVII secolo e dà un'idea chiara dell'Impero Moghul sotto il regno di Aurangzeb. La sua opera contribuì notevolmente alla conoscenza europea dell'India e dell'Impero Moghul.

Il Libro Rosso presenta i ritratti di corte dei principi indiani, in particolare della dinastia Moghul. Dall'altro lato, il Libro Nero ci introduce nella cultura e nei riti degli hindu della costa orientale dell'India del Sud. Quest'opera è un vero capolavoro di fusioni culturali, con le immagini eseguite da artisti indiani utilizzando acquerelli e inchiostro su carta. È un raro esempio di sincretismo culturale, in cui l'interpretazione testuale europea si fonde con l'arte figurativa indiana, creando un'opera che sfida la categorizzazione. Manucci è un vero erede di una tradizione ritrattistica che ha le sue radici in Europa, che a sua volta aveva favorito la genesi di collezioni private di ritratti in tutto il continente. Si costituivano vere e proprie gallerie come quella della villa comense di Paolo Giovio (1552), quella dell’arciduca Ferdinando del Tirolo nel castello di Ambras, quella di Fonteinbleau, quella medicea iniziata da Cosimo I. Il ritratto riduceva a biografie le storie del passato sottolineandone il legame con il presente proponendo una serie di exempla svolgendo fini dinastici, pubblici, personali e intimi. Era pratica corrente in Europa del Seicento infatti che i ritratti venissero usati come modelli per la produzione di incisioni da far circolare.

Il Libro Nero, realizzato su carta con l'uso dell’acquerello ed inchiostro da artisti indiani di Madras, sotto la supervisione di Manucci raccoglie 76 miniature che illustrano diversi aspetti della vita religiosa e civile dell’India. Gli artisti indiani erano solitamente abituati a lavorare su un supporto diverso da quello utilizzato: eseguivano le loro immagini su tessuti di cotone fabbricati kalamkari. Solo nella seconda metà dell'Ottocento emergeranno immagini simili. Manucci, nonostante le sue limitate risorse finanziarie come medico stipendiato, fu in grado di inserirsi nella sua nicchia di patronage in India. Questa apertura alla committenza artistica da parte di una gamma più ampia di individui contribuì a creare un ambiente in cui si svilupparono nuove forme di espressione artistica e un dialogo culturale tra la cultura indiana ed europea. L'India moghul del XVII secolo era quindi un luogo in cui l'arte poteva fiorire grazie alla diversità delle fonti di finanziamento e al sostegno di mecenati provenienti da diverse sfere della società.

Nel Libro Rosso vi sono anche alcune rappresentazioni di figure femminili che spiccano tra le pagine di questo prezioso manoscritto. Sebbene siano poche, queste immagini sono cariche di significato e rappresentano aspetti unici della cultura indiana del tempo. Ad esempio, vi sono tre ritratti di donne a volto scoperto che rappresentano il rogo rituale delle vedove (sati), una pratica  abituale  all'epoca in cui le vedove si auto-immolavano sulla pira del loro defunto marito. Questi ritratti catturano la drammaticità e la complessità di questa usanza, che suscitava molte discussioni tra i coloni europei dell’epoca. Un'altra figura femminile raffigurata nel "Libro Rosso" è un'urdu-begi, una sovrintendente all'harem del sultano. Questo ritratto ci offre uno sguardo nell'intimità delle corti Moghul, dove queste donne avevano un ruolo di notevole importanza nell'organizzazione della vita quotidiana e delle cerimonie. Una delle miniature più affascinanti rappresenta un principe circondato da donne, musiciste e danzatrici. Quest'immagine ci svela la vivacità e l'eleganza delle corti Moghul, dove l'arte e la cultura fiorivano e prosperavano, e dove le donne svolgevano un ruolo chiave nell'intrattenimento e nella vita di corte. Passando al Libro Nero: qui, alcune immagini presentano donne coinvolte in rituali e cerimonie induiste. Questi ritratti ci svelano gli aspetti spirituali e culturali delle comunità locali, mettendo in evidenza la centralità delle donne in queste pratiche.

In conclusione, la mostra dedicata a Nicolò Manucci è una finestra aperta su un mondo straordinario e dimenticato. Esplorando questa esposizione, vi imbatterete in divinità indù, rituali e cerimonie, e scoprirete la ricchezza e la complessità della cultura indiana del XVII secolo. Manucci, il Marco Polo del suo tempo, ci ha lasciato una preziosa eredità creando ponti tra due civiltà lontane, e la sua storia continua a ispirare e incantare. La mostra chiuderà il 26 novembre, quindi cogliete l'opportunità di immergervi in questo viaggio davvero unico nel tempo e nello spazio. Venezia, città di arte e di storie straordinarie, è pronta ad accogliervi in questo affascinante capitolo della sua storia.

Interessante..... tempo permettendo 😔😔

vorrei riuscire a vederla

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