Non è una previdenza per giovani
Sempre più lontana!!

Non è una previdenza per giovani

Sono sempre più anziani gli iscritti alla previdenza complementare. L’assemblea annuale della Covip, l’authority pubblica di vigilanza di settore, svoltasi il 10 giugno a Roma ha permesso di fare il punto sull’evoluzione del comparto e di individuare alcuni trend di fondo che si vanno rafforzando anno dopo anno. Quello che probabilmente preoccupa di più è la continua crescita nell’età media degli iscritti. Al gioco della previdenza complementare italiana partecipano prevalentemente lavoratori di età matura residenti nel nord (soprattutto nord-est) del paese. Pochi sono i giovani, addirittura perle rare sono i giovani iscritti residenti in una regione meridionale. E non vi provate neppure a chiedere ai lavoratori della gig economic se partecipano ad una forma di previdenza complementare. Vi guarderebbero come si guarda ad un marziano. Molti fattori contribuiscono a questo trend. Gli squilibri di reddito tra giovani ed anziani, innanzitutto. Il poter essere occupati in un’attività stabile e quindi poter prendere decisioni di risparmio a lungo termine. Ma influiscono anche fattori culturali e relativi all’efficienza delle amministrazioni pubbliche. Bolzano e Trento ad esempio vantano tassi doppi di adesione alla previdenza complementare anche per il fatto che la regione ha istituito un centro, Pensplan, che fa promozione e ha inventato il modo di sommare assieme gli incentivi fiscali per la prima casa e quelli per il secondo pilastro previdenziale sicché anche i giovani si iscrivono volentieri ad un fondo pensione perché lo considerano un viatico per poter più facilmente acquistare un abitazione. Perché altre regioni non seguono quell’esempio virtuoso? Semplice, perché i loro cittadini continuano pervicacemente a votare per politici scadenti che riempiono la loro testa di sogni e nuvolette.

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Qualcosa comunque occorre fare; diversamente la previdenza complementare fallirà l’obiettivo principale per cui è nata, quello di rappresentare uno strumento per integrare con un pilastro privato prestazioni previdenziali pubbliche che per il futuro saranno di più modesta entità. Il presidente della Covip, Mario Padula, ha avanzato alcuni utili suggerimenti. A sostengo di giovani con occupazioni precarie l’attuale sistema di incentivi fiscali per la previdenza complementare andrebbe sostituito con interventi finanziari veri e propri, visto che gli incentivi, in mancanza di un lavoro stabile rimangono largamente inutilizzati. Per coloro che riescono comunque a farne uso Padula suggerisce di protrarre nel tempo la facoltà di deducibilità fiscale (al di là dell’anno successivo di dichiarazione dei redditi) . Chi attualmente ha solo attività occasionali spesso non può usufruire del vantaggio fiscale perché l’anno successivo a quello del versamento, in mancanza di lavoro, non ha sufficiente capienza di redditi da far valere. Altra proposta è quella di includere anche le imprese con meno di 50 addetti nell’obbligo di destinare alla previdenza complementare le quote del TFR dei dipendenti. Non è la prima volta che il presidente di Covip formula i suoi suggerimenti ma finora Parlamento e Governo si sono ben guardati dall’accoglierle nonostante il buon senso che le ispira. Cambierà qualcosa nel futuro? Gli italiani riusciranno ad eleggere governanti migliori quando nel 2023 saranno chiamati alle urne? Nel carniere di buone proposte c’è anche dell’altro. In passato , ad esempio c’è chi ha proposto – lo ha fatto l’ex presidente dell’Ania Aldo Minucci – di consentire anche ai nonni di versare i contributi previdenziali a beneficio dei loro nipoti avvantaggiandosi dei relativi benefici fiscali. Attualmente possono farlo soltanto i padri per i figli di età non superiore ai 25 anni. Per la gig economy occorre uno sforzo in più di fantasia. Probabilmente è necessario che le organizzazioni che occupano i rider o simili lavoratori occasionali paghino per loro anche una quota di contributi alla previdenza complementare. Oppure – è la sperimentazione in corso a Singapore – potrebbe essere costruita una lista d negozi o servizi ai quali i giovani si rivolgono e che, ad ogni acquisto di un ragazzo, destina nel suo conto previdenziale una quota del corrispettivo pagato. Anche 1 o 2 euro, non importa. Con il tempo i germi di una coltura del risparmio crescerebbero assieme, auspicabilmente ai suoi frutti.

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E, a proposito di performance, come non dar ragione ancora una volta a Padula quando propone di rivedere l’indicazione di investimenti di default dei fondi pensione ancora oggi consistente nel comparto garantito. L’esperienza ha dimostrato che è l’unico comparto – normalmente è proposto dalle gestioni separate assicurative – che non ha mai battuto la rivalutazione del TFR. Certo nel 2022 con la guerra ed il turmoil dei mercati finanziari il comparto dei garantiti vedrà la sua rivincita sulle unit linked e le strategie di investimenti più collegate ai mercati. Ma un arco di risparmio pluridecennale è in grado di assorbire volatilità che si manifestano in un anno con le overperformance dei periodi “normali”.

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