Automatismi in crisi
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Nel 1984, in un'ansa dell'Arno, a Livorno, vengono ritrovate tre teste. No, non pezzi di corpi umani, ma statue di Amedeo Modigliani, che proprio a Livorno nasce cento anni prima. O almeno così dicono grandi esperti d'arte, tra cui il famoso critico Carlo Giulio Argan e la conservatrice dei musei civici di Livorno Vera Durbè, che parla del 'maestro nella sua forma migliore'.
Senonché di lì a poco si scopre che le teste sono state realizzate da alcuni buontemponi e da un artista di scarso successo che vuole dimostrare come sia facile creare dei miti. Tratteniamo i sorrisetti compiaciuti rivolti alla professoressa Durbè e al professor Argan. Attribuire un'opera d'arte non è affatto semplice, e non solo per le opere dell'arte contemporanea.
Jan Vermeer, pittore del Seicento, autore della Ragazza con l'orecchino di perla, ha lasciato poco più di quaranta quadri. Ma su alcuni, a distanza di quattro secoli, ci sono ancora dubbi: sono suoi? Non sono suoi?
Insomma, identificare le opere dei grandi artisti spesso è complicato. Perché talvolta mancano i documenti, perché esistono falsari parecchio abili e perché anche i migliori possono aver dipinto una crosta, che si esita ad associare a loro. Così, i critici d’arte hanno passato secoli a tentare di attribuire le opere in modo almeno ‘ragionevolmente’certo. L'hanno fatto cercando gli sguardi di Michelangelo, l’uso delle tempere a olio di Van Eyck, i colori di Raffaello, i chiaroscuri di Caravaggio...
Finché, nel 1875, un certo Ivan Lermoliev dice: non bisogna identificare l’opera di un grande maestro dalle cose che più lo hanno reso famoso. Appunto i colori di Raffaello, i chiaroscuri di Caravaggio... no. Quelli sono i tratti più studiati, che di volta in volta il maestro farà in modo particolare, adattandoli a ciò che vuole esprimere.
La personalità va cercata dove lo sforzo è meno intenso, dunque nelle cose che si fanno senza pensare, dice Lermoliev (che in realtà è il senatore Giovanni Morelli, un medico che usa quel falso nome per dilettarsi di arte). Perché le cose che fa sovrappensiero, l'artista le fa sempre nello stesso modo, quale che sia il quadro che sta dipingendo. Passa giorni e notti a cercare lo sguardo di un personaggio, ma l'unghia di un un piede o l'angolo di un tavolo, se non hanno un ruolo centrale nell'opera, li fa sempre allo stesso modo.
Il metodo Lermoliev/Morelli funziona. Una Venere conservata a Dresda, prima considerata di Tiziano, viene attribuita a Giorgione e nella stessa pinacoteca ben 55 quadri cambiano autore, dopo l’intervento del dottore italiano che fingeva di essere russo.
Funziona perché gli automatismi sono potentissimi. Sono parte del nostro agire e ci identificano non meno dei nostri valori e dei nostri ideali. E quanti automatismi stanno andando in crisi, di questi tempi.
Quando saluto amici e parenti stando a distanza avverto un non so che di surreale. Quando mi presento a qualcuno fatico a ricordarmi di non tendere la mano. Non penso sia solo un problema mio: la fisicità di tutte e tutti - poca o tanta che sia - è stata rimessa in discussione.
Ma è temporanea, questa situazione? Oppure durerà così a lungo da produrre nuovi automatismi permamenti? Un po' come quando il 27 aprile del 1989 incominciavamo a introiettare l'automatismo dell'allacciarsi la cintura di sicurezza? O, al contrario, quando ci verrà detto che i contatti fisici non sono più un problema, ci abbracceremo molto più di quanto abbiamo mai fatto nella nostra vita? Quando saliremo sui mezzi pubblici, ci fionderemo vicino a un passeggero, anche fosse l'unico presente? Onestamente non lo so, ma fossi un produttore di profumi, deodoranti o pastiglie per l'alito, mi terrei pronto a un'impennata nelle vendite.
Per intanto, questo strano e difficile periodo mi dà l'occasione di mettere in discussione alcuni automatismi su cui, proprio perché tali, non è che rifletto tanto. Ecco i primi che mi vengono in mente.
- Chi tace acconsente. No, chi tace sta zitto. Se nelle riunioni c'è chi non parla, non vuol dire che gli va tutto bene. Vuol dire che non dice cosa pensa, che sì può essere 'mi va tutto bene', ma anche 'non ho capito nulla' oppure 'cosa caspita stanno dicendo questi pazzi?'. In presenza interpretiamo i silenzi dal linguaggio del corpo, ma questi mesi di comunicazione a distanza - video o non video - mi fanno venire in mente che forse la si sopravvaluta un po' la nostra capacità di leggere il linguaggio del corpo. Parlo per me, sia chiaro, ma ritenere che uno che non parla sia d'accordo con gli altri solo perché non alza gli occhi al cielo o perché non si agita nervosamente sulla sedia, è un automatismo da respingere.
- Interrompere chi parla. Questo non dovrebbe essere un automatismo, dovrebbe essere un comportamento scorretto da evitare in ogni circostanza. Verissimo, e chi si occupa di comunicazione nei team ci lavora da sempre. È che in questi mesi mi è sembrato un vero e proprio riflesso condizionato: quando qualcuno dice qualcosa su cui non siamo d'accordo o che mi fa venire in mente qualcosa che vogliamo dire noi, interveniamo. Può essere che ciò sia dovuto all'ansia di farsi notare, perché siamo lontani. Fatto sta che anche nelle prime occasioni di chiacchierata da vicino e non da video, mi è sembrato che tutti ci interrompessimo di più del solito. O forse è esattamente come prima, solo ora me ne accorgo di più.
- Sorridere. Non devo sorridere per far vedere che ho capito una battuta, anche se non è vero. Un po' perché tanto la mascherina nasconde la bocca, un po' perché se il sorriso è sincero lo si vede dagli occhi. Me l'avevano già detta, questa cosa del sorriso degli occhi, di questi tempi mi sono reso conto di quanto è vera.
- «Come stai?» non è un intercalare, non è un automatismo con cui aprire un discorso. È una domanda ben precisa la cui risposta che può essere sintetica o articolata. In entrambi i casi, la devo ascoltare attentamente, non scuotendo la testa in cenno di assenso salvo pensare a quello che sto per dire.
- Attesa. Il dover attendere qualcosa, me ne accorgo ora più che prima, l'ho quasi sempre associato a qualcosa di negativo. Non drammatico, per carità, ma se un'attesa si può evitare, meglio. Ora no: ora l'attesa mi sembra uno strumento utile a capire meglio le cose. Esce una notizia su una nuova regola da seguire? Prima di maledire il mondo e le autorità, meglio attendere di vedere la regola originale (poi, magari, le maledizioni partono lo stesso, ma almeno sono fondate).
- Silenzio. Quando mio figlio era molto piccolo, il suo silenzio mi spaventava. Perché non dice nulla, non urla, non piange? Perché non lo sento muoversi? È svenuto? Respira ancora? È vivo? Qualcuno mi ha detto che è successo anche ad altri genitori, ma forse l'ha detto unicamente per non farmi sentire troppo stupido. Durante il lockdown mi è successo qualcosa di analogo, e solo dopo un po' di tempo ho capito che il silenzio per le strade era una conseguenza piacevole di una situazione assolutamente disgraziata. Non dico di volere scenari lunari o post apocalittici. Dico solo che spero di apprezzare il silenzio come una condizione bella, alle volte, senza che mi scatti in automatico alcuna preoccupazione.
- Sensi di colpa. Quando non faccio assolutamente nulla o, peggio, faccio un videogioco stupido - distinzione necessaria, perché ce ne sono anche di bellissimi e istruttivi - mi parte in automatico il senso di colpa, come se non stessi mettendo in atto la reazione indispensabile alla situazione. D'accordo, ci posso ancora lavorare.
Libera professionista
4 anniDaniele Scaglione concordo pienamente, analisi emozionante! Grazie 😊🙏