Problemi del nostro tempo: se Babbo Natale ci scrivesse una letterina

Problemi del nostro tempo: se Babbo Natale ci scrivesse una letterina

“Caro essere umano,

sono così tanto abituato a ricevere lettere su lettere, richieste di ogni genere, persino preghiere, tutte volte ad esaudire i desideri di grandi e piccini. Ma devo dire che tu riesci sempre a sorprendermi. Ogni anno mi dai filo da torcere, è vero, ma comunque ammettiamolo, in fin dei conti porto sempre degli ottimi risultati.

Chi mi preoccupa sei tu, invece. Ti vedo smarrito. L’attesa del Natale era, un tempo, ancora migliore del giorno stesso del Natale. Adesso nei tuoi festeggiamenti non trovo più alcun senso. Quelle che un tempo erano tradizioni meticolosamente contemplate, adesso vengono spudoratamente messe da parte per mancanza di tempo, o così almeno dici tu. Gli affetti, i valori, la condivisione diventano una mera formalità dalle quali scappare appena possibile. Eppure ricordi quando eri bambino? Quando non vedevi l’ora di scrivere la tua letterina e appenderla sull’albero di casa? Quando i desideri che quell’inchiostro faceva prender forma poi diventavano realtà? Riuniti in famiglia la notte della vigilia, recitavi poesie, leggevi racconti, cantavi in coro canzoni natalizie. E poi scoccava la mezzanotte, e piano piano ti dirigevi verso l’alberello per controllare che io fossi passato anche quell’anno. Non sempre ti portavo tutto quello che chiedevi, talvolta i regali erano davvero troppi! Ma eri contento, per un lungo momento eri felice.

E ti guardo adesso: credo che il tuo grande problema sia che vuoi di più, di più, sempre di più. Mi sembri costantemente affamato, non perché tu abbia realmente fame, ma perché sei abituato ad avere lo stomaco allargato. In giro sento lamentele sul lavoro che non va, il papà che non capisce, i figli che fanno impazzire, il treno che ritarda, il piatto sbagliato al ristorante, finanche sui capelli che si increspano con l'umidità. Continuamente. La tua vita è accompagnata da questo costante e fastidiosissimo ronzio.

Voglio raccontarti una cosa: quest’oggi passeggiavo in borghese su uno dei corsi principali di una città molto grande e conosciuta, uno di quelli pieni di negozi e di altrettante persone che si affannano a compiere quella piacevole e allo stesso tempo deleteria attività chiamata shopping. Tutti di corsa, come sempre, come se il tempo non fosse mai abbastanza e la vita stesse sfuggendo di mano. E poi lì, seduto sul marciapiede tra qualche coperta sgualcita, ho visto un giovane intento a chiedere qualche spicciolo. I passanti gli camminavano davanti, forse senza accorgersi di lui, o forse per semplice e consapevole noncuranza. Poi, all’improvviso, qualcuno ha tagliato la folla: un uomo piuttosto anziano, curvo, un po’ trasandato. Zoppicando visibilmente, ha evitato le persone sfreccianti in entrambe le direzioni, e ha lentamente raggiunto il ragazzo, chinandosi su di lui e lasciandogli una moneta in mano. A quel punto, il ragazzo ha chiuso il pugno, ha posato la mano libera su quella dell’uomo e gliel’ha stretta in segno di gratitudine. È stato poco più di un attimo, che però mi ha fatto riflettere.

Ho pensato che l’essere umano è generoso, quando vuole, o quando sa cosa significhi essere in difficoltà perché ci è passato prima o perché è particolarmente empatico o sensibile. Che ha molti desideri, ma spesso si ricorda di essere buono solo in alcuni periodi dell’anno. Che tende a restare indifferente, secondo un cinico meccanismo di protezione. Che ha paura. Che vive poco la vita, quella vera, bella. Che non apprezza e tanto meno ringrazia, perché quello che ha non è mai abbastanza. Che è infelice, perché spesso quello che ha, in realtà, è troppo. Come ti accennavo prima, non ha davvero fame. È abituato a mangiare, o comunque a riempirsi lo stomaco in qualche modo.

Adesso ti chiedo: tu lo sai cosa accade quando non riusciamo più a godere delle gioie, poche o tante, che abbiamo? Succede che iniziamo a morire lentamente e miseramente, perché più niente riesce ad assumere abbastanza importanza ai nostri occhi. E non è un granchè, non credi? È uno dei principali mali sociali che ci affliggono: non averne mai abbastanza e volere sempre più, fin quando quel di più non c’è, e quindi tanti saluti.

Allora ti invito ad apprezzare di più ciò che ti è stato donato. Credi in me, in Dio, nel destino, nel karma, negli unicorni o nelle fate, ma ti prego, credi in qualcosa. Abbi fiducia in te stesso e negli altri. Trova il tempo e il modo di fermarti un momento a riflettere: ho rimboccato le coperte a mio figlio, questa sera? Ho chiamato la nonna lontana per dirle che è sempre nei miei pensieri? Ho detto buongiorno entrando in un negozio, e grazie e arrivederci quando ne sono uscito? Ho sorriso al mio vicino in bus? Ho ascoltato un amico? Ho detto ti voglio bene? Ho fatto qualcosa che mi possa far dire che sì, ne è valsa la pena di vivere la giornata che sto vivendo?

Coraggio, essere umano. Abbiamo un intero anno prima di incontrarci di nuovo. Abbi coraggio.”

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