QUANDO LA MENTE FRENA IL CAMBIAMENTO
Il mio percorso per diventare un coach qualificato è stato un vero e proprio viaggio di scoperta, non solo delle tecniche e degli strumenti del coaching, ma anche di me stesso. Ho subito imparato che il coaching, come la maieutica socratica, è un'arte che si basa sul dialogo e sulle domande, per "tirar fuori" le risorse interiori del coachee e guidarlo verso la consapevolezza. E proprio come sosteneva Maria Montessori, ho compreso l'importanza di valorizzare l'autonomia e l'esplorazione del coachee, creando un ambiente di apprendimento stimolante e rispettoso dei suoi tempi.
Ma non solo. Durante il corso ho scoperto anche l'importanza di creare una relazione di fiducia e di empatia, come insegna Carl Rogers nel suo approccio centrato sulla persona. Ho capito che il coach deve essere un facilitatore, un alleato che accompagna il coachee nel suo percorso di crescita, senza giudicare e senza imporre soluzioni.
Tuttavia, ho anche imparato che il cammino verso il cambiamento non è sempre lineare e privo di ostacoli. Come Timothy Gallwey ha evidenziato nel suo lavoro sull' "Inner Game", spesso sono le nostre stesse interferenze interne, le nostre paure e le nostre convinzioni limitanti, a sabotare la nostra performance e a impedirci di raggiungere il nostro pieno potenziale. Per affrontare queste interferenze, che possono manifestarsi in diverse forme durante un percorso di coaching, diventa fondamentale utilizzare un modello strutturato che aiuti il coachee a muoversi tra i diversi stadi del cambiamento, come descritto nel modello G.R.O.W. di John Whitmore, che fornisce una guida chiara per identificare obiettivi, esplorare la realtà e pianificare azioni.
In questo articolo, riporterò quindi le mie riflessioni sulle principali resistenze alla mobilità che ho incontrato (e che potrei incontrare in futuro) nel mio percorso di formazione, e su come alcuni degli strumenti appresi durante il corso – la scala di inferenza, la finestra creativa e la meta-narrazione – possano essere utilizzati per superare questi ostacoli e favorire un cambiamento positivo e duraturo, in linea con i principi della psicologia positiva di Martin Seligman.
Ma cosa intendiamo esattamente con "mobilità" nel contesto del coaching?
La mobilità si riferisce alla capacità del coachee di muoversi verso i propri obiettivi, superando le resistenze interne ed esterne che lo bloccano. È una predisposizione ad essere flessibili, ad adattarsi al cambiamento e ad agire con proattività per creare la vita che desidera. Questa mobilità viene stimolata in diverse fasi del processo di coaching, dall'esplorazione iniziale alla definizione degli obiettivi, fino alla messa in atto delle azioni concrete. Mi piace definirla come una specie di filo rosso che si dipana lungo il kairos, lungo quel “tempo nel mezzo” che racconta la qualità con cui il coachee si dirige verso il proprio obiettivo.
Nel percorso di coaching, come nella singola sessione, il coachee si trova dunque ad affrontare spesso resistenze che ostacolano la sua mobilità e il progresso verso gli obiettivi prefissati. Queste resistenze possono essere convinzioni limitanti, come "Non sono capace", oppure interferenze esterne, come un ambiente di lavoro stressante, o ancora blocchi di pensiero che ci impediscono di vedere soluzioni creative.
Analizziamole una per una, esplorando come ciascuna possa compromettere la mobilità del coachee e quali strumenti possano essere utilizzati per superarle.
Convinzioni limitanti: quando la mente costruisce muri
Le convinzioni limitanti sono come muri invisibili che costruiamo intorno a noi stessi, impedendoci di vedere il nostro vero potenziale e di perseguire i nostri obiettivi. Sono credenze negative che ci ripetiamo come un mantra, fino a convincerci che "non siamo abbastanza bravi", che "non meritiamo di essere felici", o che "non ce la faremo mai".
Nel contesto del coaching, le convinzioni limitanti possono emergere in diverse fasi della sessione. Ad esempio, durante la fase di esplorazione, il coachee potrebbe sminuire i propri successi o focalizzarsi solo sui propri aspetti negativi. Oppure, durante la fase di definizione degli obiettivi, potrebbe porre limiti alla propria visione del futuro, convinto di non poter raggiungere determinati traguardi.
La psicologia cognitiva ci aiuta a comprendere come queste convinzioni si formano e si consolidano nella nostra mente. Attraverso meccanismi come la generalizzazione, la distorsione e la cancellazione, tendiamo a interpretare la realtà in modo selettivo, confermando le nostre credenze preesistenti e ignorando le informazioni che le contraddicono.
Le convinzioni limitanti diventano allora muri invisibili che costruiamo intorno a noi stessi, impedendoci di vedere il nostro vero potenziale e di perseguire i nostri obiettivi. Sono credenze negative che ci ripetiamo come un mantra, fino a convincerci che "non siamo abbastanza bravi", che "non meritiamo di essere felici", o che "non ce la faremo mai". Queste convinzioni limitano la nostra mobilità, rendendoci meno propensi a metterci in gioco e a perseguire nuove sfide.
Nel contesto del coaching, le convinzioni limitanti possono emergere in diverse fasi della sessione. Ad esempio, durante la fase di esplorazione, il coachee potrebbe sminuire i propri successi o focalizzarsi solo sui propri aspetti negativi, mostrando una scarsa mobilità nell'esplorare le proprie risorse e potenzialità. Oppure, durante la fase di definizione degli obiettivi, potrebbe porre limiti alla propria visione del futuro, convinto di non poter raggiungere determinati traguardi, manifestando così una mancanza di mobilità nel proiettarsi verso il futuro.
Ma come possiamo, come coach, aiutare il coachee a prendere consapevolezza e a trasformare queste convinzioni limitanti in potenzianti, favorendo così la sua mobilità interiore?
Uno strumento prezioso che ho appreso durante il corso è la scala di inferenza di Chris Argyris. Questo modello ci permette di analizzare il processo di pensiero che porta alla formazione di una convinzione, individuando i "salti logici" e le interpretazioni soggettive che distorcono la percezione della realtà.
Attraverso domande mirate, possiamo guidare il coachee a risalire la scala di inferenza, partendo dai dati osservabili fino alle convinzioni che ne ha tratto. Questo processo di "de-costruzione" del pensiero permette di mettere in discussione le assunzioni di base e di aprire nuove prospettive.
Ecco alcuni esempi di domande che possiamo utilizzare con la scala di inferenza:
• "Cosa hai osservato esattamente in quella situazione?"
• "Quali dati ti hanno portato a questa conclusione?"
• "Quali altre interpretazioni sono possibili, oltre a quella che hai scelto?"
• "Quali sono le tue assunzioni su questa situazione? Da dove provengono?"
• "Come ti senti rispetto a questa convinzione? Che emozioni ti suscita?"
• "Se questa convinzione non fosse vera, cosa cambierebbe nella tua vita?"
• "Quali prove hai a supporto di questa convinzione? E quali prove la contraddicono?"
Come coach, il nostro compito è aiutare il coachee a identificare le sue convinzioni, a distinguere quelle limitanti da quelle potenzianti e a trasformare le prime nelle seconde, in modo da favorire la sua mobilità e il suo sviluppo personale.
Le convinzioni potenzianti agiscono infatti come veri e propri motori per la sua mobilità, spingendolo ad agire, a credere in sé stesso e a superare i suoi limiti. Sono come delle "ali" che gli permettono di volare verso i suoi obiettivi.
Faccio un esempio. Un coachee potrebbe essere convinto di non essere in grado di parlare in pubblico (convinzione limitante). Questa convinzione lo porterà a evitare tutte le situazioni che prevedono una presentazione di fronte a un pubblico, limitando le sue opportunità di crescita professionale. Se invece il coachee coltiva la convinzione di poter imparare a comunicare in modo efficace (convinzione potenziante), sarà più motivato a cercare occasioni per esercitarsi e a migliorare le sue abilità, aprendo nuove possibilità per la sua carriera.
Interferenze esterne: quando il mondo intorno a noi ci influenza
Se le convinzioni limitanti agiscono principalmente dall'interno, esistono anche fattori esogeni che possono interferire con il progresso del coachee. Le cosiddette interferenze esterne, come le pressioni sociali o lavorative, possono complicare ulteriormente il percorso verso il cambiamento. Si tratta di fattori esterni al coachee che possono influenzare il suo processo di cambiamento, come pressioni sociali, aspettative familiari, difficoltà lavorative o problemi relazionali.
Queste interferenze possono così limitare la mobilità del coachee, distogliendo la sua attenzione dai suoi obiettivi, generando stress e ansia, e rendendo più difficile il raggiungimento dei risultati desiderati.
Come coach, è strategico aiutare il coachee a riconoscere e a rimodellare queste interferenze esterne, in modo che non compromettano il suo percorso di crescita e la sua capacità di muoversi liberamente verso i suoi obiettivi.
E qui entrano in gioco gli studi sull' intelligenza emotiva di Salovey, Mayer e Goleman. L'intelligenza emotiva, infatti, ci fornisce gli strumenti per comprendere e gestire le emozioni, sia le nostre che quelle degli altri. E questo è fondamentale per affrontare le sfide che provengono dall'ambiente esterno.
Un coachee con una buona intelligenza emotiva sarà in grado di:
• Riconoscere le proprie emozioni e quelle delle persone che lo circondano.
• Essere consapevole delle proprie emozioni in modo efficace, evitando che prendano il sopravvento.
• Motivare sé stesso, anche di fronte alle difficoltà.
• Empatizzare con gli altri, comprendendo il loro punto di vista.
• Costruire e mantenere relazioni positive.
Ma come possiamo aiutare il coachee a sviluppare queste competenze e a utilizzarle per affrontare le interferenze esterne, rafforzando così la sua mobilità nel gestire le relazioni e le situazioni complesse?
Uno strumento che ho trovato particolarmente utile è la finestra creativa. Attraverso la finestra creativa, possiamo incoraggiare il coachee a esplorare nuove possibilità e soluzioni per gestire le interferenze che provengono dall'esterno.
Ecco alcuni esempi di domande che possiamo utilizzare con la finestra creativa:
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• "Quali alternative non hai ancora considerato per affrontare questa situazione?"
• "Come potresti utilizzare la tua creatività per trovare nuove soluzioni?"
• "Quali risorse potresti attivare nel tuo ambiente per ottenere supporto?"
• "Come potresti trasformare questa difficoltà in un'opportunità di crescita?"
• "Se potessi cambiare un aspetto di questa situazione, quale sceglieresti e come lo modificheresti?"
La finestra creativa può essere utilizzata in diverse fasi della sessione di coaching, ma è particolarmente efficace nella fase di azione, quando il coachee deve mettere in pratica le strategie per raggiungere i suoi obiettivi.
A tal proposito, mi viene in mente di quando, in una delle prime sessioni in cui mi sono cimentato per fare pratica, una coachee mi ha raccontato di sentirsi sotto pressione a causa delle aspettative del suo capo, che le chiedeva di lavorare fino a tardi e di essere sempre disponibile. Utilizzando la finestra creativa, l'ho aiutata a esplorare diverse opzioni per gestire questa situazione, come comunicare in modo assertivo i suoi bisogni al suo capo, delegare alcuni compiti o rivedere la sua organizzazione del lavoro. Grazie a questo processo, la coachee è riuscita a trovare un nuovo equilibrio tra vita professionale e vita privata, senza compromettere la sua carriera.
Blocchi di pensiero: quando la mente si incastra
Oltre alle interferenze esterne, il coachee può incontrare ostacoli più sottili, legati al modo in cui pensa e processa le informazioni. I blocchi di pensiero, così si definisce questa fattispecie, sono spesso invisibili e possono ingabbiare la mente del coachee in schemi rigidi che limitano la sua flessibilità mentale, preconcetti o abitudini di pensiero che limitano la sua mobilità, impedendogli di vedere le cose da diverse prospettive e di trovare soluzioni creative ai problemi. In altre parole, questi blocchi ostacolano la capacità del coachee di "muoversi" liberamente nel suo processo di pensiero, circoscrivendo la sua flessibilità e la sua apertura a nuove possibilità.
Questi blocchi possono manifestarsi in vari modi:
• Pensiero dicotomico: Tendenza a vedere le cose in termini di "bianco o nero", "giusto o sbagliato", senza considerare le sfumature e le possibilità intermedie.
• Generalizzazione eccessiva: Trarre conclusioni generali a partire da un singolo evento o da un numero limitato di esperienze.
• Filtro mentale: Focalizzarsi solo sugli aspetti negativi di una situazione, ignorando quelli positivi.
• Lettura del pensiero: Presumere di conoscere i pensieri e le intenzioni degli altri senza avere prove concrete.
• Catastrofizzazione: Immaginare sempre il peggiore scenario possibile.
Come coach, possiamo aiutare il coachee a identificare e a superare questi blocchi di pensiero, in modo da favorire una maggiore flessibilità mentale e creatività nel problem solving e quindi aumentare la sua mobilità cognitiva.
E qui ci vengono in aiuto le teorie di Edward de Bono sul pensiero laterale. De Bono sostiene che il pensiero logico-deduttivo, che lui chiama "pensiero verticale", non è sufficiente per affrontare la complessità del mondo reale. È necessario sviluppare anche il "pensiero laterale", che ci permette di "uscire dai binari" e di generare nuove idee e soluzioni attraverso l'esplorazione di percorsi alternativi.
Ecco alcuni principi del pensiero laterale che possiamo utilizzare nel coaching:
• Sfida le assunzioni: Incoraggia il coachee a mettere in discussione le sue credenze e i suoi preconcetti.
• Cerca alternative: Aiuta il coachee a generare più opzioni possibili, anche quelle che a prima vista sembrano strane o improbabili.
• Rompi gli schemi: Stimola il coachee a "pensare fuori dalla scatola" e a considerare punti di vista diversi dal suo.
• Utilizza la creatività: Incoraggia l'uso di metafore, analogie e strumenti artistici per generare nuove idee.
• Sii flessibile: Aiuta il coachee a adattarsi al cambiamento e a considerare le situazioni da diverse prospettive.
Ma come possiamo tradurre questi principi in azioni concrete durante una sessione di coaching?
Uno strumento che ho trovato molto efficace è la meta-narrazione. La meta-narrazione ci permette di aiutare il coachee a "riscrivere la sua storia", a modificare la narrazione che ha costruito intorno a un problema o a una situazione difficile.
Attraverso la meta-narrazione, possiamo guidare il coachee a:
• Identificare gli schemi di pensiero negativi che alimentano il blocco.
• Riformulare il problema in termini più positivi e costruttivi.
• Esplorare nuove interpretazioni e significati.
• Creare una nuova narrazione che apra nuove possibilità di azione.
Ecco alcuni esempi di domande che possiamo utilizzare con la meta-narrazione:
• "Se questa situazione fosse un film, quale titolo gli daresti?"
• "Se tu fossi il protagonista di una storia che racconta questo problema, come lo affronteresti?"
• "Quali sono i messaggi che ti stai dando con questa narrazione?"
• "Come potresti cambiare la storia per renderla più positiva e potenziante?"
• "Immagina di raccontare questa storia tra dieci anni: cosa diresti?"
La meta-narrazione può essere utilizzata in tutte le fasi del processo di coaching, ma è particolarmente efficace nella fase di esplorazione e nella fase di definizione degli obiettivi, quando è necessario aiutare il coachee a "sbloccare" la sua visione e a creare una nuova prospettiva sul futuro.
Anche dalla comprensione delle convinzioni limitanti alle interferenze esterne fino ai blocchi di pensiero, il percorso di coaching mi ha insegnato quanto sia complesso il viaggio verso il cambiamento. Tuttavia, con l'uso di strumenti come la scala di inferenza, la finestra creativa e la meta-narrazione, è possibile accompagnare il coachee in questo processo, rendendolo più consapevole e facilitando il superamento degli ostacoli grazie all’uso consapevole e responsabile di una serie di strumenti potenti.
La scala di inferenza, la finestra creativa e la meta-narrazione sono solo alcuni di questi per accompagnare il coachee verso una maggiore consapevolezza di sé, una maggiore flessibilità mentale e una maggiore capacità di azione. Attraverso domande mirate e un ascolto empatico, possiamo aiutare il coachee a "sbloccare" la sua mente, a "riscrivere la sua storia" e a creare una nuova visione del futuro.
Personalmente ritengo che la capacità di gestire le resistenze sia una delle competenze fondamentali per un coach efficace. È un processo che richiede non solo la padronanza degli strumenti, ma anche una profonda comprensione della natura umana e una grande sensibilità linguistica nel condurre il coachee nel suo percorso di trasformazione.
Sono entusiasta di mettere in pratica questi strumenti, che ho appena iniziato ad acquisire, per supportare chi lo desidera nel proprio viaggio di crescita personale e professionale.
Fondatore di INCOACHING® Srl - Coach e formatore professionista - Co-ideatore del Coaching Evolutivo® e Teoria C.A.R.E.®
2 mesiCongratulazioni Enzo!😉👏🏻👏🏻👏🏻
💼 Consulente di Carriera | 🪄🧠 Counselor Relazionale | 🧭Orientatrice Professionale | 🤝 Facilitatrice e Formatrice | 🌊 🐚Appassionata del Mare | ❀˖° Adoro le storie, Raccontami la Tua
2 mesiStanding ovation per te! Enzo 👏
Executive Coach PCC ICF - Team Coach - co-Founder Academy Rapido
2 mesiCongrats collega! 🚀
Consulente commerciale presso Klareco Srl | Content Writer | No Profit | Coaching
2 mesiCongrats Mr. Enzo
✔️ Consulente fiscale per professionisti e imprese alla ricerca di efficienza e risparmio | 📊 Offro soluzioni chiare e su misura | 🌳 Trovo ispirazione nella natura, per mantenere equilibrio e focus nel lavoro
2 mesiComplimenti Enzo!