Rosa

Rosa

Sono arrivato che è già notte. E’ settembre. Il mare è fermo.

Una luna troppo grande sovrasta una pergola alle spalle della strada.

Mi tuffo nel buio. L’acqua è ancora calda.

Nuoto verso un fiotto di luci troppo lontane.


Mentre nuoto la rivedo piccola piccola rannicchiata la in fondo al tavolo. Accenna un sorriso. Ripete un ghigno, una smorfia leggera che le da un tocco di spavento negli occhi. Non ricorda più nulla. Certe volte però i ricordi s’accalcano e rovesciano tempi, volti, feste, morti, ferite. In quei momenti mi dice: “usciamo!”. Capisce che è quello l’istante in cui mi deve raccontare. La accompagno a sedersi laggiù al curvone, sotto le querce. Siede guardando verso il Racanello, il Raparo.


“Ero bambina, mi dice, mia madre mi aveva già consegnato ai padroni.

Mia madre non veniva mai a trovarmi. Ricordo però che un anno arrivò con l’asino. Stavo seduta come adesso. Avevo sei anni.

Era bella mamma. Mi diede un bacio sulla fronte. Poi si allontana. Io urlo e graffio la padrona. Le esce il sangue. Mia madre non torna più.

Dicono che mi fa soffrire se la rivedo spesso.

E’ morta la padrona? Sarà morta? Gli asini muoiono?

Gli asini secondo me non muoiono.

E’ morta mia madre? Deve essere viva da qualche parte, solo che non torna.”


Il ghigno sul labbro si smorza e cade in un mezzo sorriso. Laggiù, davanti a noi, un filo di vento increspa ciuffi di felci e canneti. Siamo due epoche. Io con le mie valigie sempre pronte e lei qui ferma nel tempo.

Questi ricordi spezzati dovrebbero essere la mia eredità in terra, le mie radici. Non posso fare domande però. Non arriverebbe nessuna risposta. Devo aspettare e sperare che arrivino e basta.


Partirò domani e lei resterà qui.

Nessuna la ascolto come faccio io, ma devo partire.


La baia ora è alle spalle. La luna non vuole scendere da lassù.

Penso a quante volte ancora potrò portarla sotto le querce.

Se quando tornerò sarà viva. Come farò quando non ci sarà più.

Continuo a nuotare.

Come ho fatto a non dirle mai quanto la amo. Perché mi ha amato così tanto rispetto a tutti gli altri. Lei dice a tutti che solo io la capisco. Ma io non capisco nulla. Ascolto e registro quelle sconnessioni di perimetri, guardo il ghigno sopra le labbra.


Una notte le ho dato la mano e l’ho guardata tutto il tempo. La guardavo con un filo di luce che dai vetri spioveva nella stanza al paese, nella sua ultima casa. Avevo quindici anni.

Alle quattro di notte di quella notte partirò. Sono sempre partito e tornato.

La vedo addormentarsi. Prima di farlo mi riguarda e mi sorride. Rispondo anch’io con un sorriso. Si addormenta. La vedo così bambina. La vedo dormire così quieta.


La baia non ha più luci ora.

Non distinguo più cielo, mare, terra.

Nuoto nel tempo senza paura e senza ricordi.

La luna finalmente è scesa e rasenta la terra.

Sento buio nelle braccia e nelle gambe.

Mi hanno detto che posso vedere le foto quando tornerò a casa.

Io non guardo le foto.

Nuoto nel buio.

Rosa non la troverò più al ritorno.

Era mia madre anche lei.



Molto bello e poetico. Due generazioni che vivono di assenze/presenze: le prime fatali (nel senso che sono volute dal fato) e necessarie, le seconde importanti e incisive. E ... quasi resta un rimorso: aver perso quell'ultima luna.

Barbara Amoroso MD, PhD

Senior Medical Director Early Clinical Development, Hematology Oncology & Cell therapy CITRE, Seville

1 anno

Ci sono assenze che dominano perché nascondono presenze che non si possono più raccontare. Quando si diventa genitori dell’idea di una madre , non si scrive più di affetto solamente , si raccoglie uno strano testimone capriccioso delle proprie ed altrui storie. Franca mi chiedeva sempre di dire ai suoi che stava lì dove era e che non si preoccupassero, sarebbe tornata. Era mia suocera e mi era madre anche lei.

Laura Chiodi

Counseling Organizzativo e Consulente in Diversità,Equità ed Inclusione

1 anno

Emozione

Grazia Nuvolone

Psicologa psicoterapeuta già Responsabile Servizio di Psicologia clinica ASL No.

1 anno

Parole vere.

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