Sanremo va visto. Punto.
Da 37 anni a questa parte non mi sono perso un’edizione del Festival di Sanremo, neppure le prime tre serate del 2015. Perché?
Se vuoi capire il Paese c’è poco da fare, lo devi guardare. Se “Il Fatto quotidiano” vende 60.000 copie e “Il bollettino di San Francesco” ne vende tre milioni, quale dei due serve di più per capire il Paese?
I numeri, del resto, impongono di tentare un discorso “alto” sulla kermesse popolare, senza falso e presuntuoso senso di sufficienza. E’ quasi un dovere civico, visto quel 49% di share registrato nelle prime due serate che sta a dire che c’è più gente che guarda Sanremo di quella che si reca la domenica a messa e alle urne ogni quattro anni. Magari molti non lo ammettono, e tuttavia sono tutti lì, incollati al divano. Non a caso Sanremo gode di ottima salute mentre il Paese naufraga nelle incertezze, l’Europa è percorsa da venti di guerra, i migranti muoiano nelle stesse acque che fanno da sfondo al Festival.
In questo mare tempestoso, di fatto, un italiano su due si aggrappa come e più di prima alla scialuppa del rito popolare che, con il pretesto di celebrare la canzone italiana, regala qualche ora di distrazione di massa. Mini-fenomenologia di Sanremo, dunque, non sottovalutiamo Sanremo. E’ l’ultimo baluardo di una cultura popolare che in Italia esiste e resiste, nonostante l’incapacità degli intellettuali e dei giornalisti di codificarla e assegnarle il giusto posto nel pantheon delle cose che contano. Ecco perché a tanti appare bizzarro.
Come si spiega l’affezione di pubblico mentre la tv generalista collassa? Da sempre la classe dominante cerca di imporre la propria cultura alla classe dominata. Ma non sempre ci riesce. Sanremo è un potente rito liberatorio di massa. E’ un circuito chiuso in cui gli intellettuali e pochi altri non entrano perché non capiscono e perché non vogliono capire. E’ la cultura che fa Pippo Baudo e che mia madre consuma. Tra loro si capiscono benissimo. Siamo noi intellettuali a non capire. La cultura popolare è estranea a quella delle élite. Noi discutiamo dell’Ucraina e quelli dell’amore perduto. Noi parliamo dei barconi che si rovesciano e loro di invidie e tradimenti. La forza di questa cultura è che dà spazio a sentimenti eterni, che poi sono sette o otto, come le note musicali. La cultura dominante vive invece della contingenza e per questo non è eterna.
Al di là delle critiche, questa edizione del Festival ha avuto un così vasto pubblico proprio perché non si è fatta ammaliare dalle sirene dell’attualità. A Sanremo l’attualità entra solo di striscio e quando succede, penso a un Benigni che sfotte Berlusconi, appare sempre come una smagliatura, come un’incursione indebita della cultura alta nella cultura popolare.
Questa cultura vive di sentimenti semplici e duraturi. Non richiede neppure adesioni ideologiche. Ti metti lì e guardi, ascolti. E’ una serata in cui finalmente si può parlare di fatti eterni. Alla messa domenicale e a San Remo nulla può cambiare: la loro forza sta nella persistenza.
In questo senso i fatti e i protagonisti della politica sono lontanissimi dalla cultura nazional popolare. Magari ne vestono i panni ma è solo teatro, un fatto estetico. In realtà navigano a vista e non sanno né possono promettere quello che la gente comune vuole sentire: i fatti eterni. Il loro insuccesso attuale, per cui non prendono voti e non hanno seguito, è dovuto al fatto che non sanno fare un discorso fuori dalla contingenza del periodo e del momento. Non fanno mai un discorso di lungo raggio come l’avrebbero fatto Montesquieu o Adam Smith o Gandhi.
E c’è un’altra regola dietro l’eternità di Sanremo: la sua capacità di mediare tra la contingenza e l’eternità accettando e diluendo con maestria le contingenze del mondo per miscelarle con la sua perennità. Ogni anno, nel permanere intatto del Festival, c’è comunque qualche piccola novità – un effetto speciale, un colore, ecc. – che, senza intaccare la coerenza del tutto, introduce comunque un piccolo cambiamento. Qualche piccola cosa cambia affinché il tutto permanga. Questo moderato riformismo è stato inculcato dalla classe dominante nella testa della classe dominata per smussarne le intemperanze ed evitare le rivoluzioni.
Anche sotto questo aspetto, il Festival di Sanremo resta uno dei più potenti meccanismi di manipolazione messi in atto dalla RAI, che della manipolazione è maestra. Motivo in più per guardare attentamente San Remo con l’attenzione necessaria per scovarne e svelarne i trucchi.
Ingegnere, libero professionista, consulente in campo tecnico-amministrativo-giuridico.
9 anniLo vedo da più di 50 anni e ... non mi è venuta, ancora, la barba ... Papà aveva un bel estro armonico ... suonava vari strumenti musicali e noi, in specie tra il 1960-70, si era tutti in circolo attorno allo schermo come critici musicali, attenti al motivetto e con la nostra classifica dei preferiti. Unica stonatura il ministro Ferri ed i politici cantanti al dopo festival... del 1995 la peggiore esecuzione canora forever :)
Sei GRANDE!!!!!!
Componente Nuvap presso Presidenza del Consiglio dei Ministri
9 anniMi associo al mio collega che mi ha preceduto nel commento... Con il passare degli anni forse migliora per tutti la capacità di focalizzare i fenomeni sociali nel contesto generale ma la Sua capacità e' senz'altro superba ed il piacere di leggere le Sue considerazioni, caro Professore e'sempre più forte e anzi direi che aumenta con il passare degli anni. Ci allieti più spesso con queste Sue riflessioni. Sono utili a tutti e ci aiutano a capire meglio la realtà che viviamo. Sua ex allieva .
Branch Manager Toyota Material Handling Italia | Lean & Industry 4.0 | Automazione | Intralogistica & Supply Chain
9 anniÈ sempre un piacere leggerla... caro Professore! Un saluto da un suo ex "Anziano" studente
Economia, politica, pace
9 anniUn bell’esempio di fenomenologia che analizza le cause soggettive ed oggettive della sensibilità del Paese e a quali aspetti della realtà gli italiani si rivolgono. Possiamo dire che Sanremo è sempre un’esperienza per entrare nella coscienza degli Italiani?