Scrivere un racconto
Se mi leggi da un po’ sai che il mio scopo di scrittrice è quello di riportarti a casa attraverso le tue stesse emozioni, quelle che emergono dagli angoli più insondati della tua persona mentre stai leggendo un mio scritto. Quindi perché, oggi avrei deciso di cimentarmi nella scrittura di un articolo che, a giudicare dal titolo, ha tutta l’aria di essere un bel libretto di istruzioni?
Perché vorrei condividere alcune cose che ho imparato sulla scrittura - come, per esempio, quali siano i paletti che, mio malgrado, ho imparato a mettere alla mia innata irruenza creativa – che potrebbero rivelarsi utili anche a te, se deciderai di scrivere un racconto.
La scorsa estate ho girato un po’ per l’Italia per promuovere il mio libro C’è sempre una sorella preferita e, ogni volta, arrivava il momento del seguente dialogo:
«Stai già lavorando ad un altro libro?»
«Sì»
«A cosa? Se è lecito chiedere.»
«Una raccolta di racconti»
Perché scegliere la forma del racconto? Come si può riuscire a contenere la varietà di vicende ed emozioni, che, in un romanzo – per sua natura ampio come un orizzonte - possono essere approfondite, sviscerate e guardate dalle più diverse prospettive, dicevo, come può uno scrittore riuscire a ridurre tutto questo nella lunghezza di cinque, dieci, venti pagine, senza che la storia perda vigore e intensità?
Si può. Imparando e lavorando sodo per imparare.
Ho scelto il racconto per una nuova pubblicazione poiché ho intenzione di sfidarmi: se scrivessi un altro romanzo continuerei a raccontare, narrare vite, ricordi, anziché permettere loro di mostrarsi per ciò che sono: invadenti, maleducate, vorticose e stravolgenti.
Nel racconto, invece, poiché lo spazio di narrazione è più breve, esse possono rivelarsi attraverso i personaggi e le loro vite, che sentono e impazziscono e si lasciano trasportare dai vissuti desiderati come attraversati.
Senza più narrare.
Senza più girare intorno.
Attraverso i personaggi che dicono e fanno cose tu, lettore, provi emozioni e piangi e ridi leggendoli agire, ma sarà la tua rabbia, la tua gioia, la tua emozione ad emergere davanti ad un racconto inghiottito, non quella che io, autore, ho tradotto in parole grazie ai miei occhi, che non sono mai i tuoi.
Come si può mettere in atto tutto questo? Creando dei punti fermi ai quali aggrapparsi quando la potenza del mare di narrare rischia di prevalere.
Non so come la vedi tu, ma, dal mio punto di vista, questi potrebbero essere dei buoni aiutanti magici:
Ecco, direi che chiariti questi cinque punti ci siamo assicurati un buon paracadute che può darci sicurezza nel divagare della narrazione.
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1 – L’incipit.
Le prime righe di una storia sono fondamentali. È il primo contatto con il lettore. È la porta che si apre al loro cuore e non si possono accampare parole a caso sperando che una vada bene. L’incipit del racconto è la chiave che aprirà l’antro privato del lettore e non si può abbozzare, no, le parole sono importanti, devono essere rispettose e caute, ma anche vere e potenti, per far sì che lui, anche se ancora titubante, apra l’uscio, ti guardi e dica “ok entra”. Quelle prime parole lì sono il ponte tra l’autore e il mondo del lettore.
2 – I personaggi.
Ora, direi che su questo tema è stato scritto di tutto. Vero o meno vero non sta a me dirlo. Utile o no, fatto sta che sono i personaggi a rendere il racconto reale e vivo: chi sono? Come parlano? Quali sono le loro caratteristiche di persone? Come si comportano dinanzi ad un evento? Non starò qui a dire come mettere nero su bianco tutto questo ma, senz’altro, ho capito che riuscire a scatenare un uragano dentro il lettore, bisogna fare in modo che i personaggi lo guardino negli occhi, parlino con la loro voce e le loro parole, che risuonano insieme a quelle del lettore.
3 – Il Luogo.
È il luogo della storia, quello in cui si svolgono i fatti. A volte può non essere così determinante, altre volte lo è al punto da influire sui personaggi, sulle loro azioni o stati d’animo. Quei personaggi, ad un dato momento, prenderanno il lettore per mano e lo condurranno in altri luoghi, artefici di molti fatti come di altrettanti sentimenti.
4 – Il Tempo.
Ieri? Oggi? Il tempo può essere anche un non tempo, ma un tempo interiore o interiorizzato, perché è il racconto di qualcuno che siede virtualmente di fronte a te, ma in realtà vive dentro di sé un ricordo, lontano o recente, che comunque vibra e scuote.
Il tempo per loro, i personaggi, è deciso dall’autore e tu, caro lettore, togli l’orologio poiché non serve.
5 – La conclusione.
La parte dei saluti e dei baci. Il momento della separazione. Quello in cui ti attardi, all’ingresso, mani in tasca, e non vorresti mai andartene perché lì, con il tuo lettore, ci stai bene e aspetti, aspetti che ti dica cosa ha provato e se è felice, se ha perso il fiato in una riga. È il momento del congedo e se l’incipit ti avrebbe aperto la sua vita, la conclusione è il profumo che rimane dietro di te, la gonna che svolazza, la carezza che non si dimentica, lo sguardo rubato o mancato. Le tue parole per lui saranno un lascito per i giorni a venire, per ciò che vorrà per sé e chiederà a te, tornando lì tra le tue parole.
La conclusione è la chiusura della storia è vero: attraverso essa si può mandare un messaggio, ristabilire un ordine o mandare in vacca tutto un mondo solo perché l’autore ha voluto dire che si può fare. In ogni caso, rappresenta il congedo, i saluti.
Scegli bene come andartene: raccogli dal tuo campo di fiori, le parole più rispettose che hai per ringraziarlo di averti permesso di entrare.
Anche il racconto, quindi, può rivelarsi efficace per narrare i propri mondi interiori, ma ogni aspetto della storia, ogni parte di indagazione, non potendo godere dell’ampio spazio del romanzo, emerge attraverso le bocche, le braccia e gli sguardi di chi abita quella stessa storia, i personaggi. Quelle stesse bocche, mani sguardi saranno il viatico per tutte le emozioni che sgorgheranno da cuori e pelle e occhi dei nostri lettori.