TALENT, TECHNOLOGY, TOLERANCE E una scintilla per spiegarlo
In questi giorni emblematici di un periodo in cui i tempi del lavoro e del non-lavoro si confondono, si fa sempre più insistente il pensiero del futuro. Non tanto del futuro della ripresa immediata che sarà regolata da nuovi decreti dall’applicazione immediata, ma di quello “dopo”, quando avremo avuto il tempo di riflettere su cosa è successo e cosa ci serva veramente per la convivenza civile: sociale, ambientale ed economica. Ho sempre pensato che il “futuro è oggi”: le scelte di oggi “sono” il futuro che si prepara. Vivo, a questo proposito, una certa insoddisfazione per il dibattito corrente nel quale si danno le ricette per il domani prossimo, ma – secondo me – non si parla abbastanza del futuro che stiamo preparando. In questo periodo gli interventi sembrano concentrarsi sull’analisi statistica di quello che è accaduto o accade e sugli elementi tecnico-operativi per la ripresa: tutti, anche io, hanno le loro idee ed è bene confrontarsi per trovare la soluzione migliore. Vorrei però provare a lanciare una provocazione di un livello superiore.
Tra le letture di questo periodo mi sono imbattuto negli “Scritti Corsari” di Pasolini: personaggio e testi che non ho potuto che vivere indirettamente, dal momento che ero bambino in quegli anni di grandissimi cambiamenti, ma che ho scoperto volentieri. Al di là del contenuto delle posizioni, ho trovato un’energia nel mettere a tema “i fondamentali della società” dai quali deriva il costituirsi di una nuova socialità, esito dei grandi mutamenti ideali. Qualche anno fa ho avuto il privilegio di partecipare, in occasione de “Il Tempo delle Donne” a Milano, a una tavola rotonda con la responsabile della strategia della città di Tel Aviv, che ci ha raccontato i tre pilastri di “Tel Aviv Smart”: TALENT, TECHNOLOGY & TOLERANCE. Si tratta di un livello superiore alle ricette tecnico-operative. Non ci manca forse questo livello di discussione?
Quante volte, parlando di smart working, ci dimentichiamo di chi esercita lo smart working e di come, senza la ricerca del TALENTO inteso come attenzione a ogni persona, di qualsiasi genere, il lavoro non può essere smart?
Quanto la cultura e le infrastrutture digitali, non la fibra o il 5G, ma la cultura del dato o il coding che altri Paesi insegnano dalle elementari, sono indispensabili per usare la TECNOLOGIA di controllo della diffusione del virus o di shift online delle attività di una azienda?
E, in tema di TOLLERANZA, quanto il contributo di ogni singolo componente della società, sia essa persona fisica nella società civile o componente di qualsiasi ruolo all’interno di una persona giuridica, è determinante con le sue idee e le sue azioni per la crescita di tutti? O ancora, che forma dare alla collaborazione tra privato e pubblico, ciascuno con le sue forze e debolezze ben note a tutti e quindi facilmente strumentalizzabili se non si cerca il dialogo? E, in modo ancora più ampio, come valutare le relazioni tra le scelte ambientali dell’Europa e quelle degli altri Stati e quale valore attribuire alle politiche ambientali nella ripresa non solo immediata ma a medio termine?
Su questi temi personalmente sento il bisogno di dibattito e scriverò per dire la mia, sperando che la discussione coinvolga molti, in diversi punti della società e con ruoli differenti pubblici o privati. Pasolini diceva: “Pensare che ci debba essere qualcosa di sociale e di ufficiale che “fissi” l’autorevolezza di qualcuno, è un pensiero, appunto aberrante, dovuto evidentemente alla deformazione di chi non sappia più concepire verità al di fuori dell’autorità”. I social rendono certamente più facile la libera espressione di idee e contributi al di là dell’autorità.
Come compendio di questo pensiero, riporto – in accordo con la scrittrice – il racconto/regalo dal titolo “Scintilla” che una cara collega, Angela Polimeni mi ha donato quando ha deciso di lasciare l’azienda in cui eravamo colleghi, per dedicarsi a ciò che fino a quel momento faceva “solo” come volontariato e che desiderava fare a tempo pieno: l’insegnamento della lingua italiana agli stranieri appena arrivati in Italia. Vi ho ritrovato i tratti delle 3T di Tel Aviv: un TALENTO non riconosciuto, a scapito della persona e probabilmente del contesto sociale, una TECNOLOGIA come strumento di possibile conoscenza e mezzo per una nuova possibilità di relazione sociale e la TOLLERANZA intesa come apertura, accettazione che un pezzo della costruzione del nostro futuro possa arrivare da origini inaspettate.
Scintilla
E poi, capita di fermarmi.
Stanca, disorientata, presa nei pensieri che mi si arrovellano nella mente. Capita di chiedermi se davvero tutto quello che sto facendo abbia un senso. E il senso c’è, dove è finito?
E poi capita di sorprendermi.
Trovo quello che cerco dentro a ciò che credevo fosse un’insidia. Lezione già iniziata. La seconda lezione della mattina e mi sento già con le energie a terra. Arriva un ragazzo. Asim, pakistano. 30 anni. Sveglio. Occhi vigili e attenti. Lo avevo già intravisto nelle strade del paese. È uno di quelli che si sa muovere bene. Arriva in ritardo. Tanto il ritardo. È la prima volta che si presenta a scuola. Lo guardo e capisco subito che mi obbligherà ad alzare l’attenzione. Mi obbligherà a dargli retta. A dargli retta sul serio. A fine ora non ho più forze, Asim ha distratto tutti e mandato a quel paese la mia bella lezioncina preparata scrupolosamente la domenica pomeriggio. Saluto tutti e do appuntamento alla lezione successiva. Fermo Asim per l’iscrizione. È solo una questione di routine. Alla domanda: “Che lavoro facevi nel tuo Paese?”, Asim arranca una risposta generica, di quelle che spesso si danno in queste situazioni: “falegname”. Poi i nostri sguardi davvero e negli occhi di Asim vedo una scintilla. Rovista in fretta tra le tasche dei suoi pantaloni, mi porge il suo cellulare per mostrarmi delle foto. Mi fa vedere i suoi lavori. Asim non è un falegname, Asim è un artista. Fa sculture in legno che tolgono il fiato. Fa sculture in legno nelle quali ripone tutta la gentilezza e la delicatezza di cui un uomo è capace. In Italia Asim fa il lavapiatti in un ristorante. È venuto solo una volta a lezione da me. Aveva bisogno di dire chi è. Oltre a quello che sembra. Non so se Asim ritornerà mai a scolpire in Italia o in qualche altro Paese del mondo, ma aveva bisogno di raccontarsi. E io ero lì e mi sono commossa davanti a quelle piccole foto sfuocate.
E poi, forse, il senso di tutto è semplicemente esserci. Essere lì con la testa e con il cuore aperto a cogliere le scintille.
11 dicembre 2017, Pozzo d’Adda
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