Una storia come questa
“Niente colpi di testa, hai capito, che se la colpisci sul tappo ti fai male.”
Dovevo imparare il gesto e metterlo da parte, come fosse arte anche quello.
Eravamo io e lui in mezzo ai boschi secolari fra Cielagreste, Magrizzi, Sella del Titolo.
Pastori di capre, entrambi, ultimi di novecento, io con i miei nove e lui con i suoi tredici anni.
Lui sognava di fare lo scultore e io niente ancora, se non colpire bene di testa quell’arnese di gioco senza farmi male.
Lui aveva un viso serio e due occhi verdi, uguali a quelli di nostra madre, e quando non pascolava e non giocava con me, raccoglieva sterpi, radici e rami; legni, insomma, che sarebbero diventati, fra le sue mani, qualcosa che solo lui vedeva.
Giocavamo con una bottiglia di candeggina perché un pallone vero non era ancora arrivato sui nostri Appennini Mediterranei.
Lo sterrato di pietrisco aveva un balzo largo ai fianchi, un dirupo che portava verso le vigne, verso il fiume.
La bottiglia di candeggina vuota, una di quelle grandi, da due litri, rimbalzava sconnessa fra i sassi mentre il sole infilava tagli di luce e ombra sul terreno come macchie che diventano linee del nostro campo di calcio immaginario.
Bastava una mezza riga di ramo spoglio disegnata in terra da quei riverberi e baleni che quella subito diventava il centrocampo, il calcio d’angolo, l'area di rigore.
Intanto, in una radiolina sfiancata, ascoltavamo le partite.
Tifavamo Platinì, ma poi arrivò Maradona, e cambiò tutto.
Un giorno, lui disse che voleva andare proprio lì dove ora giocava Maradona. Così, con la serietà che aveva sempre avuto, andò a chiedere a nostro padre.
Fuori la luce del giorno era andata e solo un muto rimbalzo di vampe illuminava la stanza.
Lui parlava come sempre, con un silenzio in mezzo:
"Voglio andare a Napoli. Voglio fare il liceo artistico."
"Napoli è troppo lontana”, rispose rapido mio padre, senza aggiungere altro.
Mio fratello uscì composto. Lo seguii.
Richiusi la porta alle spalle di noi due che ora stavamo seduti.
Il buio, là fuori, si prendeva il contorno delle serre.
"Papà ha ragione. Napoli è troppo lontana."
Disse, dopo poco, come qualcosa con cui voleva proteggermi.
L’autunno e l’inverno se ne andarono come fossero bestie mezze dissanguate e ferite in mezzo al tempo di quell’annata.
A primavera, mentre l’erba sulla metteva fiore sulle crete, verso il fiume, il maestro venne parlare con papà, e già il solo fatto che fosse lì, con un cappello stretto in mano, dava a quel momento un sentimento che poi negli anni avrei cercato di raccontare senza riuscirci mai per bene.
Il maestro si accomodò accanto al fuoco che bruciava gli ultimi sarmenti invernali di ginestre. Papà lo guardava con benevolenza.
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"Signor... ehm" cominciò, rigirando la falda del cappello, con un misto di cerimonioso e risoluto. "Sono venuto quassù perché volevo parlarle di suo figlio." Fece una pausa, e tentò l’affondo di uno sguardo negli occhi di mio padre che invece se ne restò a testa china smistando scintille con il bouffadou fra le labbra.
"Vede … vorrei dirle solo che suo figlio non è come gli altri. Lui, lui, come dire …. Non lo dico alla leggera. Lui è nato scultore, artista. Ha bisogno di studiare, di andare al liceo artistico.’’
"E come mangia uno scultore, maestro?".
Chiese mio padre posando il bouffadou come fosse la canna di un fucile ancora calda di sparo e senza aspettare veramente una risposta.
Il maestro sorrise, come fosse già pronto a quella domanda: "Con la scultura... forse no, o forse sì, dipende. Ma il talento di suo figlio potrebbe portarlo lontano, potrebbe diventare qualcuno, fare qualcosa di grande. È un’occasione, e non capita spesso di vedere, capisce cosa intendo …"
Papà riabbassò lo sguardo. "Capisco, maestro, ma Napoli è lontana.’’
Il maestro si alzò senza alcuna espressione . "La capisco, ma ripensi a quello che le ho detto. Non è una cosa che si vede tutti i giorni. Io non l’ho mai vista finora una cosa così."
Quando il maestro se ne andò, mio fratello rimase zitto per tutta la sera.
Io lo guardavo cercando di capirci qualcosa.
Alla fine, prese un mezzo sterpo ritorto d’ulivo poggiato fra le sarme di ginestra.
Non disse una parola: lo rigirava, lo guardava. Tirò fuori il coltello dal tascone e iniziò con colpi decisi che slacciavano da quella radice trucioli grossolani che poi faceva ricadere con maestria fra quelle vampe.
Nei giorni successivi era come se tutto il suo mondo fosse finito dentro quello sterpo ritorto. Al pascolo, quando le campane suggerivano uno stallo di cammino, sedeva e ricominciava. Io lo riguardavo da lontano.
Non ebbi il coraggio di chiedergli di giocare. Mi figuravo i colpi di testa per evitare il tappo di quella bottiglia, in un gioco immaginario di pallonetti, di calci d’angolo, di traiettorie solo mie.
Di notte, quando tutto taceva, lo sentivo alzarsi e riprendere in mano lo sterpo.
Lo poggiò sul davanzale, un mattino.
I faggi alla finestra erano ormai pieni di primavera e i pettirossi stavano cedendo canto ai tordi.
Un piccolo aereo, come quelli dei primi aviatori era lì. Era perfetta in ogni singolo dettaglio: l’elica, le ali, il carrello, la fusoliera che sembrava pronta a prendere il volo.
La prese tra le mani, fissandola.
Io lo guardavo da dietro, seduto sulla branda.
Alla fine, si voltò verso di me e me la porse: "La vedi questa. L’ho fatta per te."
"Se questo non sarà mai più che un pezzo di legno che tengo in mano... tu non smettere di volare."
Non dissi nulla.
Presi l’aereo e iniziai a farla muovere nell’aria senza imitare rumore.
Nel silenzio di quel mattino d’Appennino cominciai a sognare di scrivere storie, ma senza inventare niente.
Una storia come questa.
consulente indipendente
2 mesiRicordi dell'infanzia prendono forma di poesia lirica intensa.
arti dello spettacolo
2 mesi......poesia....descritta ...di una bellezza molto tenera e efficace.....
Medical Doctor and Philosopher - Medical Aesthetics Surgery /Nutritionist/Specialized in Thermal Medicine and Med Spa/ Medical Tricology
2 mesiQuando si ha un universo a disposizione niente è inventato. Sorge...come un cavaliere dal volgo. Come un aeroplano da uno sterpo ritorto. È gia li...basta aprirgli una "sima"...e da li sgorga
Assistente alla poltrona
2 mesiSe sapessi scrivere, scriverei come te. Grazie
Consulente di Marketing per Imprenditori Indipendenti
2 mesiVeramente un bellissimo racconto.