Viaggio a ostacoli: il dilemma del Trasporto Pubblico a Napoli

Viaggio a ostacoli: il dilemma del Trasporto Pubblico a Napoli

Napoli è ostaggio dell’azienda del trasporto pubblico locale.

Non c’è un orario estivo o orario invernale, feriale o festivo. Non è possibile prendere lo stesso autobus alla stessa ora per più di un solo giorno consecutivo. Sistematicamente c’è tutta una sequela di disservizi, sospensioni o soppressioni di corse, linee, vetture senza alcun tipo di preavviso, senza alcuna comunicazione su pagine social, siti web o app.

I cittadini, ogni giorno, sono costretti ad anticiparsi di ore su appuntamenti e posti di lavoro, preventivando che parte della giornata andrà via in attesa di giungere a destinazione.

Inutile tentate di contattare il numero verde. Sì, perché il Contact Center è un vero e proprio alibificio, pronto ad accampare scusanti e giustificazioni, spesso anche maldestramente, nel tentativo di nascondere malefatte e malfunzionamenti che l’azienda compie ogni giorno. A cominciare dagli autisti, sempre più spesso impegnati in animate conversazioni telefoniche. Un tempo c’era il cartello “non parlare al conducente”. Oggi invece lo stesso conducente dal proprio smartphone parla con amici e famiglia, fa comizi sindacali istruendo i neo-assunti su comportamenti, proteste e sciopero, manda messaggi su WhatsApp, ascolta musica e, qualche volta, guarda addirittura persino Netflix. Tutto nella più totale indifferenza, anche degli stessi viaggiatori sempre più stanchi: stanchi di aspettare, certo, ma stanchi anche di lamentarsi con un’azienda che non funziona sotto gli occhi di tutti e continua a prendere letteralmente in giro i propri passeggeri con la complicità delle istituzioni che parlano ancora di “potenziare” ciò che di fatto nemmeno esiste.

Il potenziamento. Una pratica ormai collaudata con partite di calcio e concerti: eventi speciali, dove il "potenziare" equivale a fornire una flebile speranza che la metropolitana o l’autobus arrivino, benché con il cronico ritardo. Il che, forse, è già un risultato. Sì, perché se siete pendolari che attraversano mezza città, dalla periferia al centro storico, potrebbe capitare che la vostra lunga attesa alla fermata sia vanificata da un improvviso guasto, da una “agitazione interna”, dalla cancellazione improvvisa di una corsa o da qualsiasi altro creativo imprevisto che manderà all’aria i programmi per la vostra giornata.

È in quel momento che il “viaggiatore” sarà costretto a studiare nuovi metodi alternativi per giungere a destinazione: passaggi in auto, attraverso brevi tratte di altre linee, combinando metodi di trasporto diversi e, soprattutto, camminando molto, moltissimo ma veramente tanto a piedi. Il tutto con un ulteriore dispendio economico (con intervalli e tempi di percorrenza che svalutano il valore del biglietto) di salute e di tempo, perché ne occorrerà davvero tanto prima di beccare quell’unica linea che “almeno ti avvicina”.

Un pressapochismo che, per osmosi, passa direttamente dall’azienda ai propri viaggiatori assuefatti a quella che ormai sembra una politica condivisa dalla stessa azienda, una degenerata forma mentis.

Autobus e vagoni della metropolitana sempre più affollati, dove spesso si è costretti a viaggiare alitandosi addosso, spingendosi come in quelle scene dei TikTok giapponesi in cui il capotreno ammassa con forza tutti i passeggeri su di un vagone stracolmo. Come animali al macello.

Non c’è alcun rispetto. Dal numero verde suggeriscono di inviare una segnalazione, alla stessa azienda. Nessun ente di controllo. Nessun Garante.

L’abbonamento è solo un pizzo da pagare per evitare la multa. Ma in cambio non si riceve alcun tipo di servizio, se non una serie di disservizi che, con un po’ di fortuna e molta pazienza, consentiranno di spostarsi da una parte all’altra della città.

Non migliora nemmeno il trasporto su ferro, la metropolitana che, a dispetto dei “nuovi treni” e delle Stazioni più belle d’Europa, su di una tratta complessiva di 35 minuti, continua a contare un’attesa media di 20 minuti, con totem in banchina fallaci atti più a confortare e confondere che non a contare l’effettivo tempo che manca tra un treno e l’altro. Nelle stazioni sotterranee non ci sono ripetitori telefonici. Una volta scesi sotto si è completamente isolati dal mondo, un sequestro di persona da parte di un’azienda che se ne infischia letteralmente della cosa più preziosa in possesso degli esseri umani, il tempo. Rubandolo, con disservizi, ritardi, guasti.

Si viaggia respirando un’aria viziata dal sopraffollamento e da chi ha un senso più disinvolto dell’igiene personale. Quelle stesse mascherine che prima ci proteggevano dal COVID, come cinesi con l'inquinamento di Shangai, vengono adesso utilizzate per sopravvivere a mezzi di trasporto che non hanno ricambio d’aria o aria condizionata. Tra le grida e l’ilarità di chi urla lamentandosi per le condizioni disumane in cui si è costretti. I passeggeri spesso si litigano persino un posto in piedi; appollaiati sui sostegni e improbabili spazi di fortuna all’interno della vettura soltanto per sottrarsi a una folla che spinge e strattona, nel tentativo di scampare a quei pressanti movimenti ondulatori che ti schiacciano e ti soffocano come un maremoto.

Ciliegina sulla torta, il traffico. Quello del mattino, con l’"ingorgo a croce uncinata” di Bellavistiana memoria. Viaggi della speranza quotidiani, che media e istituzioni fingono di non vedere o di minimizzare.

Nessuna testata giornalistica fa un’inchiesta a riguardo, nessuno indaga, nessuno ne parla. A nessuno sembra importare qualcosa che sembra debba funzionare così, con grande gioia dei borseggiatori e delle “pickpocket” tanto virali sui social, che possono agire indisturbati tra l’incurante folla che cerca soltanto di sopravvivere per andare al lavoro e ritornare a casa.

 

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