È davvero necessario un (altro) fondo sovrano?

Crisi bancarie e industriali, lo Stato che interviene e si fa “imprenditore” a “sostegno dell’imprenditoria italiana”. Dinamiche che suonano attuali? Ebbene, erano le stesse che nel 1933 portarono alla nascita dell’Iri, l’Istituto per la ricostruzione industriale, fortemente voluto da Benito Mussolini.

Siamo nel 2023, quasi cento anni dopo, e questo leit motiv, lo Stato attore del mercato e che in quale modo si pone come unico soggetto capace di tutelare l’imprenditorialità, qualsiasi cosa questo voglia dire, ritorna con la proposta di un fondo sovrano nazionale.

Il problema però è piuttosto ovvio: il mercato, l’economia globale, non è la stessa di quasi cento anni fa, sebbene alcune logiche che si erano rivelate inadatte con la globalizzazione siano rientrate dalla finestra – si pensi al ritorno della produzione di componenti industriali essenziali nei confini nazionali o europei. E se quasi cento anni fa lo Stato poteva avere un ruolo proattivo nello sviluppo di alcuni comparti industriali, come effettivamente ha avuto l’Iri, in un mercato maturo e in rapidissima evoluzione come quello attuale e in un contesto non più nazionale ma (almeno) europeo, un soggetto statale che agisca in maniera diretta rischia di diventare un incomodo, se non un ostacolo, allo sviluppo del mercato stesso perché è per definizione anti-concorrenziale.

Per questo chi scrive è piuttosto perplessa, se non scettica, riguardo alla nascita di tale fondo sovrano nazionale il cui obiettivo, per dirla con le parole dell’attuale ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dovrebbe essere quello di affiancare “l’operatività di Cassa depositi e prestiti per accompagnare progetti di consolidamento patrimoniale e di aggregazione nel settore delle mid-cap e delle grandi imprese”.

Dovuta premessa. Le caratteristiche di questo fondo sovrano nazionale contenute all’interno del disegno di legge Made in Italy – che prevedrà anche una serie di altre cose fra le quali l’istituzione di “licei per il Made in Italy”, il cui senso e operatività adesso mi sfuggono ma tant’è – saranno discusse in Consiglio dei ministri la prossima settimana. Tutto ciò che circola sui giornali cartacei e online sono indiscrezioni o aspetti ripresi da una mitica bozza che non si sa chi ha fatto circolare e chi l’ha letta. Su Dealflower sposiamo la linea che pochi – pochissimi – giornali italiani seguono: avvisateci quando avete fatto. Nel senso che la notizia sul fondo sovrano nazionale e di ciò che è contenuto nel disegno di legge la leggerete quando si saprà con chiarezza quali saranno peculiarità, caratteristiche, obiettivi, dotazione e governance di questo fondo sovrano nazionale e cioè quando il ddl supererà il Cdm e verrà approvato da Camera e Senato (come stabilito dagli articoli 71 e 72 della Costituzione).

Ciò però non toglie assolutamente il gusto e il piacere di proporre qualche riflessione dall’idea di creare un fondo sovrano nazionale.

Innanzitutto, l’impressione di chi scrive è che in certe stanze non sia ben chiaro cosa sia un fondo sovrano. Esistono tanti esempi internazionali e il più grande è sicuramente quello norvegese (oltre 1.100 miliardi di euro di asset). I fondi sovrani sono nati soprattutto nei paesi esportatori di petrolio: Emirati Arabi Uniti, Qatar, Norvegia appunto, ma anche Singapore, dove, grazie al rilevante surplus fiscale, il governo ha costituito Temasek Holdings, uno dei primi nati e uno dei più attivi, soprattutto nelle imprese del Sud-est asiatico. La natura delle risorse utilizzate consente quindi di correre un certo grado di rischio che ad esempio il risparmio postale, previdenziale o privato – che dovrebbe essere il flusso entrante di questo fondo – non permettono. Inoltre, nessuno di questi fondi, come ben notava nei giorni scorsi Bernardo Bortolotti a Class Cnbc, nasce con una vocazione così specifica e limitata geograficamente come il fondo sovrano nazionale del governo della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Chi gestisce o lavora in un fondo sa quanto impegno richiede trovare le imprese giuste in cui investire, amministrarle e tirarne fuori un rendimento, con tutto il rischio connesso. Viene da sé che i due elementi – risparmio privato da una parte e natura dell’investimento in private equity dall’altro – devono trovare il modo di essere conciliati senza che il primo soccomba ai rischi del secondo.

Altra riflessione. Esistono già almeno un paio di soggetti, cioè Cassa depositi e prestiti e il Fondo italiano d’investimento, che negli anni hanno assunto in misura e modalità differenti, e a seconda del governo di turno, un ruolo simile. Nel dettaglio dei progetti e degli strumenti, poi, la lista è particolarmente lunga: dal Patrimonio Rilancio, lo strumento del Mef gestito da Cdp per sostenere le imprese italiane con fatturato superiore a 50 milioni di euro al Progetto Economia Reale, dal Green Transition Fund al Fondo Italiano Agri & Food e ce ne sarebbero altri ancora. Perché non convogliare tutte insieme le risorse disponibili e fare realmente massa critica invece di avviare un altro, l’ennesimo, fondo è una delle domande che tutti si stanno ponendo. Stando a quanto riportano diversi giornali, questo fondo sovrano nazionale pare coinvolgerà Cdp ma è ancora chiaro come. La speranza è che si uniscano, piuttosto di disperdere, le forze (cioè le risorse finanziarie).

Terzo aspetto, il mercato. Nella mitologica bozza pare esserci scritto che il fondo, che sarà controllato direttamente dal ministero dell’Economia e delle Finanze, sarà autorizzato a “investire, a condizioni di mercato, nel capitale di imprese nazionali ad alto potenziale o di imprese nazionali che, in ragione della rilevanza sistemica già raggiunta, possano generare importanti esternalità positive per il Paese e ridurre i costi di coordinamento tra gli attori delle filiere coinvolte”. La domanda che mi sono sempre posta è se lo Stato possa davvero essere un soggetto di mercato. Personalmente credo che lo Stato, e quindi i contribuenti, debbano giovare dei benefici della crescita economica e industriale ma è anche vero che qualsiasi persona interessata ad avviare un progetto imprenditoriale – sia essa un’impresa o una società di investimento – non deve e non può trovarsi come concorrente lo Stato. Fare investimenti diretti di maggioranza rischia inoltre di attivare una catena di conflitti di interesse particolarmente lunga e di creare artificiose posizioni dominanti, senza contare che in assenza criteri di selezione delle target ben definiti, l’investimento di risorse pubbliche in specifiche aziende private non sarebbe trasparente, e quindi anti-mercato.

Insomma, questo fondo sovrano nazionale deve ancora essere generato ma già porta con sé una serie di dubbi e criticità più che legittimi.

Troppo spesso la politica italiana pare un treno che viaggia su binari differenti dalla razionalità, come quello della propaganda o peggio ancora del controllo. Speriamo che in questo caso si torni nella giusta carreggiata nel definire criteri e governance, sempre che la famosa “manina” (mitica e famigerata tanto quanto le bozze dei decreti) non agisca in qualche modo a noi ancora misterioso.

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate