Cambiare fa bene, ma ci sono dei tempi da rispettare, ed è proprio la natura ad insegnarcelo
L'estate è la stagione che preferisco in assoluto, e anche la primavera mi piace parecchio.
Eppure, il periodo dell'anno che più mi mette in crisi, che quasi mi infastidisce, è quello tra fine febbraio e marzo inoltrato, quando le giornate iniziano ad allungarsi, il clima a farsi più mite e, quando finisco di lavorare, c'è ancora uno sprazzo di luce a colorare il cielo. Ogni anno, puntuale, torno a chiedermi: cosa mi dà fastidio, se questo è il preludio della mia stagione preferita? Ed eccola lì la risposta, sempre uguale: il cambiamento mi destabilizza. Pur trattandosi di un cambiamento verso qualcosa di positivo e piacevole, la resistenza a cambiare rischia di avere il sopravvento. A questo punto dell’anno, la stagione fredda è diventata la mia zona di comfort, e si sa: uscire dalla zona di comfort richiede sempre una certa dose di fatica.
Ho recentemente letto un articolo riguardo al cambiamento, che evidenzia i motivi per cui non puoi e non devi cambiare in continuazione: il cambiamento richiede fatica e comporta un notevole investimento di energia, non puoi sottoporti in continuazione a tutto questo, altrimenti, più che di uscire dalla comfort zone, inizia a trattarsi di salire sulle montagne russe (che magari è anche bello, ma sfido chiunque a rimanerci su più di qualche minuto!). La natura, con le stagioni, ci dimostra che ci sono dei tempi ben stabiliti e costanti tra un cambiamento e l'altro, quel che deve accadere, accade durante una stagione, e poi si passa alla successiva. è un ciclo naturale, controllato, che riserva il giusto tempo all'assestamento,e che prevede cambiamenti progressivi e naturali (le mezze stagioni, finché ci sono!).
Essere continuamente stimolati dal cambiamento, o da nuove situazioni, a mio avviso, genera dispersione, in quanto non permette di mettere a fuoco il cambiamento da affrontare, la direzione da prendere, i punti nevralgici su cui porre attenzione. Con il rischio di dispersione devo continuamente fare i conti perché sono propensa a interessarmi a tantissime cose, e a dire a tutto “si”.
Riflettevo di recente sul fatto che anche le persone e i rapporti interpersonali rappresentano una zona di comfort: prima che si riesca a costruire un rapporto stabile, basato sulla fiducia e sulla conoscenza reciproca, che consenta una buona comunicazione e, di conseguenza, relazione, deve passare del tempo, e se questo tempo non è adeguato, si rischia di trovarsi a gestire nuovi rapporti in maniera del tutto impreparati. Di contro, quando i rapporti sono consolidati e stabili, si rischia di non volerne intrecciare degli altri, di creare delle preferenze o di attuare dei confronti. Credo che ciò avvenga in maniera naturale, ma farsi vincere da questa propensione non sempre si dimostra una carta vincente.
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Vale, in particolar modo, nelle relazioni lavorative: rimanere troppo a lungo in un team o in un progetto può determinare un abbassamento degli stimoli e della creatività, ma cambiare troppo di continuo o trovarsi a gestire sempre nuovi clienti, nuovi progetti, nuovi incarichi può avere effetti altrettanto deleteri, se non di più.
Qual è, allora, la “giusta misura” del cambiamento? Credo che ognuno debba trovare la propria, tuttavia ci sono cambiamenti che non si possono scegliere, e in questi casi, per cercar di tenere la bussola ben orientata, ho individuato tre stratagemmi:
La cosa meravigliosa del cambiamento (almeno per me) è che la resistenza dura giusto il tempo che deve durare. Tornando alla metafora iniziale, ogni anno accade che le giornate sono di botto più lunghe, e sembrano voler regalare tanto spazio e qualità al tempo dopo il lavoro, tutto diventa immediatamente armonico e uniforme: sono i benefici della bella stagione, ormai arrivata a pieno titolo.