Come viene costruita la realtà? Capire le radici verso una cultura più inclusiva.
In tanti pensiamo di non avere pregiudizi. E invece abbiamo tutti dei bias ed hanno un impatto sulla realtà.
Cosa sono le radici, i condizionamenti inconsapevoli che creano stereotipi sin dall’infanzia? Come il linguaggio costruisce la realtà? Come evitare le disparità di genere, altri stereotipi o anche diagnosi nel nostro quotidiano? Come valorizzare concretamente l'identità e la diversità di ogni uno?
Vi propongo alcune riflessioni sulla grande tematica dell'inclusione alla base dello sviluppo sostenibile.
Gabbie di genere
Gli stereotipi di genere si formano molto presto, condizionando aspettative, interessi, immagine di sé dei bambini e, quindi, comportamenti che si cristallizzano.
Nel percorso per la parità di genere, ricordiamoci il ruolo centrale della famiglia e della cultura che veicola. Nel nostro piccolo, cerchiamo di aprire l'orizzonte dei nostri figli.
I nostri gemelli, di 4 anni, maschi, scelgono quando uscire con il trattore e con la bambola nel suo passeggino rosa. Rosa, come varie cose del loro guardaroba (oltre al coniglio-peluche genderfluid). Non diremo mai di non piangere, li aiutiamo ad accettare tutte le emozioni e viverle. Passano da guardare il balletto dei robot di Boston Dynamics a quello del Lago dei Cigni, o di Swan Lake di Matthew Bourne. Vedono mamma prendersi i suoi spazi, rifiutare la prigione della mamma perfetta, e papà far la spesa e cucinare. Insistiamo già ora che possono fare qualsiasi lavoro vogliano. Imparano che siamo tutte creature importanti, non importa il colore della pelle, né l'essere a 4 zampe.
>> Educhiamo oggi i maschi di domani (che siano figli, fratelli, cugini), perché si preoccupino anche loro di parità e inclusione. E perché siano felicemente liberi nel rispetto e nella cura dell'altro.
Paradigmi: non conta davvero la realtà
Conta solo la nostra percezione della realtà e questa determina i nostri comportamenti. Facciamo un passo indietro con un esempio: il fumetto del talentoso @oleismos ci aiuta a capire cosa sia un paradigma e in che modo influisce tutto (lo raconto anche in questo video).
I genitori hanno percepito la realtà - un pupazzo al contrario - come sbagliata.
Se il bimbo è etichettato nelle loro menti come “monello”, questo concetto si fissa e diventa un filtro.
I genitori vedono il loro bimbo attraverso un loro paradigma, che condiziona il modo di vedere il pupazzo, invece di vedere la creatività del loro bimbo.
Cos’è un paradigma? È un modello o "pattern" che ci aspettiamo di vedere. Il nostro cervello prende scorciatoie mentali (euristiche) che ci permettono di fare meno fatica nella comprensione del mondo e nei processi decisivi. Di fatto vediamo tutto attraverso la prospettiva dei nostri paradigmi e si possono infilare delle distorsioni (bias).
- Creiamo mappe del "territorio" attraverso i nostri sensi
- Poi tutto è impattato dalle nostre esperienze, valori, condizionamenti (famiglia, società, cultura lavorativa, amici), convinzioni e conoscenze apprese (o mancanza di conoscenze).
- E facciamo delle mappe delle mappe con il linguaggio: il tipo di parole che usiamo e i schemi (come usiamo le parole, cosa tralasciamo, etc) .
"La mappa non è il territorio."
Siamo sempre a 3 passi di distanza della realtà. E se la mappa è sbagliata, non arriveremo mai dove vogliamo. Il problema è che non mettiamo mai in discussione la mappa (i paradigmi).
Quindi cosa fare, prendendo l'esempio del bimbo e del pupazzo, se fossimo i genitori?
- Possiamo prima di tutto lavorare per vedere i nostri paradigmi e il loro impatto: il riflesso che rimandiamo al nostro bimbo.
- Cerchiamo di non etichettare, neppure nella nostra testa. Etichettare è un giudizio che porterà il bimbo piano piano ad adeguarsi, con il rischio che sopprima totalmente la sua creatività.
- Se vogliamo dare un feedback, evitiamo di usare il verbo "essere" - che descrive l'identità, e quindi etichetta - e riferiamoci invece ai solo di comportamenti.
>> Questo esempio vale per qualsiasi ambito della vita: non abbiamo spesso consapevolezza dell'impatto dei nostri pensieri. Chiediamoci in tutta umiltà: Quali effetti ha la mia convinzione? (se penso che il mio capo faccia micro-management, che la mia prima linea non sia abbastanza preparata, che mio collega non mette il cuore nel proprio lavoro, etc).
Profezie che si auto-avverano
È importante portare attenzione alle nostre aspettative ricordandoci che le profezie tendenzialmente si autodeterminano.
Come un computer in UK programmato male, che aveva erroneamente classificato due classi: una di alunni “intelligenti”, etichettandola come “tarda”, e viceversa la seconda. Cosi gli insegnanti si crearono paradigmi sui loro allievi sulla base di questa classifica. L'impatto 6 mesi dopo, quando si scoprì l'errore? Il punteggio del QI dei ragazzi “intelligenti” si era abbassato, quello dei supposti “tardi” era salito.
Quando abbiamo una convinzione, la mente cerca evidenze, il cervello seleziona informazioni che confermano nostro punto di vista. E Google alimenta anche questa cosa, dato che dal 2009 ogni ricerca è condizionata dalle precedenti e ci viene portato quello che dovrebbe (com)piacerci di più. Quindi più siamo consapevoli dei nostri paradigmi, della qualità dei nostri pensieri, del nostro linguaggio, più possiamo assumerci la responsabilità di esaminarli e cambiarli.
Considerando che il cervello non capisce il "non fare" (negare un frame lo rinforza), pensiamo a come tradurre "non etichettare" o meglio "non diagnosticare" in un comportamento applicabile:
- Cerchiamo di vedere con occhi nuovi ogni volta e accogliere. Vedere il bambino, ma anche il collega, il capo e ogni essere che incontriamo rispetto al loro potenziale, usando l'immaginazione invece della memoria.
- Così diventa possibile rivedere il nostro approccio alle situazioni, la nostra energia e ottimismo, invece di accontentarci delle conferme di quanto pensiamo. Quanto più libertà e potere ci dà!
Il linguaggio è più importante dell'esperienza diretta
Le neuro-scienze dimostrano che le parole giocano un ruolo maggiore rispetto a quello dell'esperienza diretta. Esercitano una grande influenza sui nostri pensieri, sentimenti, atteggiamenti e azioni. È necessario diventare consapevoli delle parole, espressioni, definizioni che usiamo in automatico, per lavorare sui paradigmi semantici e automatismi inconsapevoli. Riconoscendo che:
- il linguaggio è stato trasmesso dall'infanzia, ed è quindi condizionato;
- generalizziamo e categorizziamo, anche perché il nostro cervello ci porta a farlo;
- non siamo così abituati a pensare che abbiamo una scelta nelle definizioni che accettiamo senza pensarci (luoghi comuni, stereotipi, parole innocue che cambiando contesto possono ferire).
>> Cambiando il linguaggio, cambiamo il pensiero. Nuove parole e definizioni possono fare la differenza, in quanto determinano ciò che vediamo come "realtà" e quindi come rispondiamo a quella realtà percepita.
Il linguaggio costruisce la realtà
Dove non c'è parola, non c'è un mondo condiviso. Se una cosa non ha un nome, non riesco a pensarla, e quindi non esiste.
"I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo." Ludwig Wittgenstein
È essenziale riconoscere il cambiamento che viviamo, e invece di rifiutarlo, esserne curioso. Possiamo far evolvere la lingua per evitare una discrepanza tra la "norma linguistica" e la società in evoluzione.
Un esempio di trasformazione è il superamento del binarismo di genere (che riconosce l’esistenza di due sole categorie, uomo e donna) verso uno spettro di più possibilità (dove il sesso e il genere invece sono concepiti come entità separate). La nominazione permette l'identificazione: genderfluid, neutral, agender, bigender, poligender, genderqueer, aliagender, non-binary, etc. Cosi attraverso un linguaggio che tiene conto delle soggettività, passa il riconoscimento dell’esistenza dell'identità. L'impatto di questo linguaggio nella realtà: si passa da uno stato di confusione o malessere, a uno stato di rassicurazione, ci si sente compresi. E l'identità, quindi l'esistenza, viene affermata.
Anche Google ha modificato l’algoritmo del suo traduttore per offrire traduzioni più inclusive con il maschile e il femminile, e ha sostituito in Chrome e Android i termini "blacklist" e "whitelist" con "blocklist" e "allowlist". E anche noi possiamo scegliere le parole che usiamo: come ricorrere alla parola "collaboratori" invece di "dipendenti" che richiama meno autonomia? O "partner" invece di "clienti" o "fornitori", ponendo la relazione su un altro livello?
Una recente testimonianza del dibattito sul linguaggio, segno del cambiamento che viviamo, è la dichiarazione di Beatrice Venezi. E mi ha colpito il post di Diversity & Inclusion Speaking© sulla questione: sia per il rispetto delle scelta individuali, sia per avere riassunto a meraviglia come le parole che scegliamo di utilizzare producono un impatto sulla realtà.
"Sosteniamo la libertà di ciascuna persona di scegliere il titolo professionale o di studi, che meglio la rappresenta.
Ci sembra, però, utile sottolineare che le professioni raramente hanno nomi neutri e che, più spesso, si declinano nel genere, a seconda di chi le ricopra. Succede ad esempio per attore e attrice, o animatore e animatrice.
La scelta tra Direttore o Direttrice, così come tra Avvocato o Avvocata, etc, non è una questione ideologica, bensì semantica e relativa a quello che le parole evocano in noi. Se dico Direttore, è più probabile che mi venga in mente un uomo o una donna?
E se, come donna che ha un ruolo di responsabilità, scelgo di chiamarmi Direttore, non sto in qualche modo ribadendo di essere un’eccezione alla regola, che vede più spesso un uomo ricoprire quel ruolo?
Se un qualcosa non ha un nome, non riesco a pensarlo, conoscerlo e, soprattutto, a sognare di diventarlo. Ecco perché, se lo si vuole, scegliere di usare un titolo di studi e/o professionale al femminile, può avere un grande impatto su di noi e su chi guarda a noi come a un esempio da seguire."
>> Cosi cambia la realtà, attraverso il cambiamento del linguaggio che la descrive. E possiamo impegnarci ad usare il linguaggio in modo consapevole per costruire una realtà più inclusiva.
Accogliere la diversità non ci viene istintivamente
Dobbiamo avere a mente che la nostra natura ci porta a circondarci di persone che ci assomigliano, che condividono nostro modo di pensare e i nostri valori. Tutti quanti abbiamo delle preferenze. Inconsapevolmente tendiamo ad escludere, cosi soffochiamo creatività ed innovazione.
Cos'è una società che include? È una società dove sentiamo un profondo senso di appartenenza e di sicurezza psicologica. Significa che possiamo far cadere le maschere, ed essere noi stessi interamente, e cosi non dovendo proteggerci, possiamo crescere.
Come arrivarci? Non c'è un'equazione perfetta: è un cammino, fatto di lavoro su noi-stessi e di cambiamento di comportamenti. Ecco alcuni pensieri:
- In primis, sentiamoci orgogliosi di essere diversi: donna in un'ambiente di uomini o vice-versa, venendo da un'altra nazione, arrivando da un background totalmente diverso. Smettiamo di auto-giudicarci "troppo giovani", "troppo vecchi", troppo "______". Perché offriamo una prospettiva distinta che sfida lo status quo. In questo modo, si spezzano alcuni schemi, si creano nuove sinapsi e aumentiamo il valore creativo.
- Facciamo la scelta di mostrarci autenticamente, per ispirare gli altri ad esporsi. Il coaching può aiutare a creare la fiducia in sé stessi: essere unicamente se stesso, superare la sindrome dell'impostore, far sentire la propria voce, così da essere "diversity ambassador" incentivando gli altri a mettere giù, anche loro, le maschere.
- Apriamoci all'Altro. Troviamo ogni giorno l'occasione di connetterci umanamente ad altri che non appartengono al nostro cerchio abituale, cerchiamo chi è diverso da noi. E ascoltiamo spegnendo la voce del giudizio il più possibile. Il coaching permette di riconoscere sia le nostre barriere all'ascolto, che i nostri bias spesso inconsci, per essere più inclusivi.
Si può iniziare per esempio con la creazione di piccoli spazi dove ci si espone intenzionalmente. Come lo suggerisce Pat Wadors, usando domande come ice-breakers prima delle riunioni: "Qual è stato il tuo più grande errore sul lavoro?", "I rischi maggiori che hai presi nella tua carriera?". Raccontando tutti storie di chi siamo in modo vulnerabile, facciamo spazio all'apertura e l'appartenenza.
>> Inoltre in un circolo virtuoso, attraverso l'incontro, autentico, possiamo aprirci alla nostra propria diversità, e scoprire nuove parti di noi in quanto siamo molto mutevoli.
Per concludere: propongo un'àncora
"Per qualunque cosa tu faccia, inizi dalla premessa che siamo umani quando siamo insieme. Non vedi prima un rifugiato, non vedi prima una donna e non vedi prima una persona con disabilità. Vedi prima di tutto un essere umano. E così facendo, dai valore alle loro idee, al loro contributo, grande o piccolo che sia." - Musimbi Kanyoro
Questo è un buon promemoria di quanto possiamo ottenere insieme partendo da questa premessa... coinvolgendo anche i bambini! Educhiamo i nostri piccoli a preoccuparsi di parità ora, evitando gabbie di genere e stereotipi sulla diversità:
- Insegnando che ogni voce conta (anche se hanno 4 anni) attraverso il nostro vero ascolto. Così integrano che non ci sono esseri umani “forti” e altri “deboli”.
- Alimentando la loro naturale curiosità attraverso l'esplorazione del mondo dell'"Altro", aiutandoli attraverso le domande nella comprensione dei propri filtri e della prospettiva dell'altro.
E per gli adulti? L'approccio è lo stesso! Mettiamoci in una posizione di apertura e di apprendimento, dandoci il tempo, perché è un camino. Costruiamo tutti la realtà, un piccolo contributo alla volta.
La responsabilità reciproca di comprendere l'atro e prendersene cura inizia nella più tenera età. "Siamo umani quando siamo insieme" anche - e sopratutto - in condizioni difficili.
#ChoosetoChallenge #ConversationsforChange #IWD2021 #WeCanDoIt
Project Coordinator
3 anniConsapevolezza e cammino da continuare a percorrere...concordo!
Consultant ingénierie de formation et chefferie de projet e-learning/blended learning/ludopédagogie - Conseil développement de compétence et entrepreneuriat auprès des formateurs (Certifié Niveau 1 BCAE)
3 anniMerci Aurélie ! 🙏 Quel plaisir de te lire. Il m'aura fallu un traducteur (je n'ai pas ton talent pour les langues) mais ça en valait le coup ! Sujet O combien utile et nécessaire dans mon domaine la formation et l'enseignement. On devrait même en faire une discipline socle en sensibilisant et initiant les plus jeunes et en poursuivant la pratique jusque dans l'enseignement supérieur. Une belle soirée à toi.
Grazie Aurélie Lagarde per queste riflessioni, autentiche, concrete e utili. E per l'apprezzamento sul lavoro che portiamo avanti, nonché su come abbiamo cercato di dare un punto di vista sulla recente affermazione di Beatrice Venezi, rispetto al proprio titolo professionale. Very appreciated! A presto
Account manager presso Publicis Italy | LePub
3 anniCiao Aurélie, come al solito i tuoi articoli per me sono sempre fonte di tante riflessioni. Mi sono soffermata su questa frase>> Così cambia la realtà, attraverso il cambiamento del linguaggio che la descrive. Mi ritrovo in parte con queste parole. La lingua italiana, da anni non recenti abusata e manomessa, parafrasando un grande scrittore e giurista italiano che è Gianrico Carofiglio, non è la "colpevole" di questo gender gap; non è lei dover cambiare ma sono le persone a dover ri- apprenderne la sua conoscenza. Un linguaggio non discriminatorio già esiste: ci insegnano sin dalla scuole elementari che parole come appunto "direttore" o "avvocato" contengono già in loro la possibilità che ci si vada a riferire ad un uomo o ad una donna. La stessa lingua italiana, da sempre, prevede anche la forma femminile di alcuni degli epiteti professionali più in uso ma sembrerebbe che tutti se ne siano dimenticati e che siano, in qualche modo, espressioni di nuovo conio. Riassumendo il mio pensiero: non è il linguaggio a dover cambiare ma l'uso e la percezione corretta dello stesso.
Corporate Fundraiser
3 anniChi ha la fortuna di conoscerti, sa che dietro ad ogni parola che hai scritto, c'è una persona che poi questi valori li porta nel suo quotidiano. Grazie per questo articolo e per questi spunti di riflessione.